Dal greco “butyron”, composto da “bùs”, bue e “tyron”, formaggio.
Lo cita Salomone nella Bibbia; ne parlano Erodoto e Plinio.
Giulio Cesare racconta di avere mangiato a Milano verdure cotte nel burro: non piacquero a nessun romano, tranne che a lui.
Da sempre è tipico dei paesi del Nord, dove le mucche sono assai più diffuse delle piante degli ulivi.
E sin dai primordi vi fu una sorta di lotta tra burro e olio, denominatori di civiltà diverse: e l’olio era il più forte.
Era dalle origini legato alla religione; le lampade che ardevano nei templi delle divinità più antiche erano alimentate da puro olio d’oliva.
L’olio era un dono che proveniva direttamente degli Dei, sacra la sua pianta; e poi era più facile da trasportare e conservare, mentre il burro si squagliava ed irrancidiva: nel “mangiar di magro” imposto nel Medioevo dal Cristianesimo il burro, di origine animale, era bandito.
Ma Martin Lutero con la sua Riforma religiosa nel 1520 abolì questo obbligo; e questa fu soprattutto una questione politico-economica.
Il latte era in eccedenza in certi paesi, e la produzione di burro superava di gran lunga la distribuzione. Bisognava quindi usarlo a tutti i costi, sempre.
Così questo condimento si diffuse ancor di più nelle settentrionali cucine europee; tra il XVI e il XVII sec. la Francia lo impose nelle salse e nella pasticceria; in Inghilterra, Paesi germanici, Italia Settentrionale divenne il condimento principale.
Sino all’800, primi ‘900, veniva preferibilmente fabbricato in casa separando la panna dal latte fresco, facendola irrancidire lievemente e poi lavorandola con la zangola.
Ve ne erano di vari tipi: quelle oscillanti simili a turiboli che funzionavano sul principio del rollio; quelle in vetro a manovella, antenate dei nostri frullatori, quelle a botte; ma le più diffuse, e in varie dimensioni, erano quelle a stantuffo: un cilindro verticale in legno o terracotta munito di un agitatore, una specie di manico di scopa con ad un’estremità un disco di legno perforato .
La panna veniva posta nel cilindro, coll’agitatore si schiacciava su e giù sino a quando, separandosi dal siero, s’induriva e diventava burro.
Tolto il siero, il burro veniva lavato sempre nella zangola con molta acqua fredda; si aggiungeva un po’ di sale per la conservazione, lo si stantuffava ancora un po’ e infine lo si metteva in un vaso di terracotta o vetro scagliandovelo con forza a manciate per liberarlo dall’aria e dall’acqua.
Quando il vaso era pieno, il burro veniva calcato con una specie di pestello ligneo fatto a fungo: infine era riposto al buio e al fresco.
Però molti di voi scommetto ricordano ancora di aver assistito alla preparazione del burro nella cucina della casa di campagna, con la panna posta in un fiasco, agitata per qualche minuto e poi estratta dalla stretta imboccatura sotto forma di morbido compatto tubo poi messo in stampi di legno decorati a foglie, mucche o fiorellini.
Una specie di magia oggi quasi impossibile da compiere a meno che non si abbia a disposizione la panna di latte appena munto; si può fare certo con con la panna fresca in commercio…ma secondo me non è la stessa cosa, il sapore è quasi inesistente.
Severissime leggi sanitarie proibiscono ora la fabbricazione e lo smercio del burro strettamente artigianale: troppo grasso, troppo poco raffinato. Ma buono in modo commovente, come tutti i sapori d’infanzia.
Corollario
Se volete provare a fare il burro in casa, andate a trovare il tesoromio Dario Bressanini (anzi, seguitelo sempre, ché ha uno dei blog “golosi” più belli, interessanti e divertenti che io conosca); ne parla qui, e qui invece c’è il suo commento riguardo Lutero.