Li Cancelletti: Antichi Rimedi d’Ordine Pubblico a Roma


Nel 1800 le osterie fungevano da seconda casa per i romani; numerosissime dentro e fuori porta, erano luoghi d’incontri, affari, ozi,  festeggiamenti pubblici e privati.

Ogni occasione era buona per brindare e far baldoria; non v’era nomina cardinalizia, nascita, matrimonio, morte di popolano o nobile, visita d’un capo straniero, ricorrenza religiosa o avvenimento meteorologico, politico o sociale che non venisse celebrata da uomini e donne con vari “buccali” di quello buono.

L’arrivo del vino dai Colli Albani a qualunque osteria della città veniva accompagnato da un cerimoniale estremamente chiassoso; i barili, allineati sul tradizionale “carretto a vino trainato da un cavallo adorno di piume e penne tintinnanti sonagliere e guidato un carrettiere nerboruto dalla testa avvolta nella “sciarpa romana” (per intenderci, quella in capo alla “Madonna della seggiola” di Raffaello) e dagli inizi dell’800 da un alto e oblungo cappellone, erano accolti da uno schiamazzante corteo di abitanti del rione.

Al rullo di tamburi un banditore assunto all’uopo, sventolando una bandiera che lanciava in alto e riprendeva al volo, annunciava al vulgo l’evento, decantando ad altra voce la qualità del nettare.

Tutti restavano davanti all’osteria sino a quando l’oste, con fare solenne, issava all’esterno grandi frasche di lauro, emblema significante l’etilico lieto arrivo nelle cantine.

Attorno a tavole di legno, circondati da scritte beffarde stile “Quando questo gallo canterà, allora credenza si farà”, all’osteria nascevanogiochi, stornelli, pettegolezzi e amori, ma anche trame, cospirazioni e pure furibonde risse dove frequentemente balenava fulminea la lama d’un coltello.

Così nel 1824 Papa Leone XII, presago della borbonica frase “’’sto popolo si governa solo con le tre F: farina, forca e feste”, per “allontanare i cattivi esempi” diminuì i dazi sul vino ma ordinò la chiusura al pubblico di tutte le osterie del suo territorio perché “il vino bevuto in troppa grande abbondanza cagiona frequentemente scene funeste”.

Davanti agli usci, obbligatori dei “cancelletti attraverso i quali l’oste avrebbe venduto il vino agli avventori, che però dovevano andarselo a bere a casa loro.

Ovviamente i romani, oltre a fermarsi per ore a bere per strada davanti a li cancelletti,  s’adontarono pure profondamente.

Il Belli ringhiò un sonetto di cui l’unica strofa qui pubblicabile è questa:

La sera, armanco, doppo avé ssudato,
s’entrava in zanta pace in d’un buscetto
a bbeve co l’amichi quer goccetto,
e arifiatà lo stommico assetato
.
(per chi volessere leggerlo tutto: qui, n° 16)

E la statua di Pasquino sparì letteralmente sotto centinaia di foglietti riportanti pasquinate furibonde:

Questo papa sempre a letto
dentro Roma allarga il ghetto,
alle scienze l’interdetto,
anche al vino il cancelletto, 
questa legge é di Maometto. 
Oh, governo maledetto!

Gli animi si calmarono solo quando il nuovo papa Pio VIII, nato a Frascati, abrogò i famigerati “cancelletti”, permettendo ai romani di tornare ai bagordi di sempre.

Solo allora Pasquino diventò gentile, esponendo gli anonimi versi:

Allor che il sommo Pio
comparve innanzi a Dio
gli domandò: “Che hai fatto?”
Rispose: “Nient’affatto”
(proprio niente di importante e buono, NdPS)
Corresser gli angeletti:
“Levò li cancelletti”

©Mitì Vigliero

Quale il vino, tale il latino

Proverbi e Modi di Dire sul Vino

Bacco del Caravaggio

“Se Dio avesse proibito il vino, perché mai l’avrebbe fatto così buono?” si chiedeva il Cardinale Richelieu.

Per gli spagnoliun pasto senza vino è come un giardino senza fiori”, ma deve essere sempre dei migliori perché “la vita è troppo breve per bere del vino cattivo”.

A questo proposito esiste il curioso modo di dire “quale il vino, tale il latino” la cui origine è questa; un professore di latino, invitato a pranzo un suo scolaro, gli offrì un vinello insipido e molto giovane: chiedendogli come lo trovasse si sentì rispondere “Bonus vinum”.
Allora gli diede un bicchiere di vino vecchio e profumato, gli domandò come fosse e la risposta fu: “Bonum vinum”.
E quando il professore fece notare l’errore grammaticale della prima risposta, l’allievo rispose: “Quale vinum, tale latinum”.

A proposito di intellettuali, Baudelaire era convinto che “Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”, forse perché “in vino veritas”. 

Se per i piemontesichi beve barbera ha la mente sincera”, i francesi osservano che anche gli stati d’animo influiscono sulla scelta del vino: “chi beve bianco è vicino al pianto, chi beve rosso ha la gioia indosso” e in ogni caso, concludono i tedeschi sempre estremamente logici, “anche il vino bianco fa il naso rosso”.

Ma i veneti ammoniscono di non mescolare troppi vini: “bianco e negro, menami a casa”, bianco e rosso, portami a casa perché avendoli bevuti tutti e due, sono talmente ciucco che non sto in piedi.

Per questo gli olandesi dicono: “il vino è un buon cavallo, ma spesso getta a terra il cavaliere”.

E se per i romagnoli  è “mej puzé ‘d ven che ‘d zera”, meglio puzzare di vino che di cera, quella dei 4 moccoloni sistemati solitamente attorno alle bare, può essere anche giudicato musulmanamenteil dolce veleno di Satana”, tentatore gradevole che può far molti danni rendendo, come minimo, l’uomo troppo bevitore “da leone a co***” (la rima mettetecela un po’ voi ;-)).

Sì lo sappiamo tutti che “buon vino fa buon sangue” e “l’acqua fa ammalare e il vino fa cantare”; lo dicevano anche Maria Monti e Giorgio Gaber in quella vecchia canzone da osteria in cui per ogni male era consigliato un vino diverso.
Ad esempio: “Se ti viene l’insolazione/ non far uso di rinfresco/ bevi bevi del barbaresco/ e ogni mal ti passerà” e che terminava così  “Per gli uomini dabbene/generoso il vin si versi/ che l’acqua serve pei perversi/ Il Diluvio lo provò”. 

E sempre la Monti cantava come annegare i dispiaceri nel vino: E’ meglio un bicchier di dalmato-che l’amor mio….

Vabbé che secondo i friulanifruts e i cjòcs e’ àn simpri l’agnul custode cun lôr“, bambini e ubriachi han sempre accanto l’angelo custode: ma anche ai miracoli c’è un limite.

Infatti “chi va a letto ubriaco si leva invecchiato”, a meno che non vi si sia andati “ubriachi d’amore e di felicità”, perché l’ubriachezza, dicono i saggi cinesinon è colpa del vino, ma di chi lo beve”.

©Mitì Vigliero