Ci sono in Italia tre chiese che hanno in comune una caratteristica curiosa: il dono della fertilità femminile.
La prima è ad Aosta, nella cripta della Collegiata di Sant’Orso; dietro l’altare, scavato nella roccia ad altezza terra si trova un piccolo stretto passaggio di forma quadrata.
Qui si svolge l’antichissima cerimonia del “Musset”; mentre fumano incensi e candele, una lunga fila di donne si mette a quattro zampe strisciando carponi attraverso il pertugio sino a sbucare dall’altra parte: sono tutte devote a Sant’Orso e compiono quella ginnica manovra fiduciose nel miracolo che debellerà la loro sterilità.
Ad Oropa nel Santuario c’è la “Roc d’la vita”; attorno a questa pietra già i pagani celebravano riti di fecondità collegati al culto di Mater Matuta: le sterili vi giravano attorno e infine vi si strusciavano trasferendo nel loro corpo le energie collegate alla sacralità del masso.
Nel 369 dC Sant’Eusebio nascose in una nicchia della roccia la statua lignea della Vergine per salvarla dalle persecuzioni.
Attorno a questa venne costruita una cappella prima e il Santuario poi: rimase un piccolo varco tra il masso e il muro ma le donne, pur con fatica, riuscivano ugualmente a passare per continuare il rito che la Chiesa tentava di cancellare.
Oggi il passaggio è ostruito da una colata di cemento, ma alcune si siedono sulla parte sporgente del masso, ugualmente certe di facilitare la gravidanza.
La terza si trova in Basilicata nella Chiesa Vecchia , l’Abbazia della Santissima Trinità a Venosa che pare abbia come fondamenta un tempio dedicato a Imeneo, divinità greca protettrice dei rapporti matrimoniali.
Lo scrittore Norman Douglas, grande studioso delle tradizioni del Sud Italia, nel suo “Vecchia Calabria”, nel 1915 scriveva:
<<Un bel capitello normanno, ora trasformato in acquasantiera, è conservato qui ed io ho seguito con interesse il comportamento di una processione di pellegrine, in relazione ad esso.
Tremanti per l’emozione girarono intorno alla pietra sacra, baciandone ognuno dei quattro angoli; immersero quindi le mani nel bacino e le baciarono devotamente.
Una vecchia, maestra di cerimonie, bofonchiava: “Tutti santi, tutti santi!” ad ogni bacio.
Si prostrarono poi sul pavimento leccando le fredde pietre e dopo esservi rimaste per un po’ si rialzarono ed iniziarono a baciare una fessura nel muro, mentre la vecchia sussurrava “Santissimo!”.
Questa antigienica crepa nel muro, con le sue suggestioni da adorazione della Yoni, mi attrassero talmente che supplicai un prete di spiegarmene il significato mistico.
Ma lui rispose solo, con un tocco di disprezzo medievale: “Sono femmine!”.
Poi mi mostrò una colonna romana situata vicino all’ingresso della chiesa, levigata dallo sfregamento delle donne che si insinuano fra essa ed il muro per diventare madri. Il fatto sembrava divertirlo: evidentemente riteneva trattarsi di una particolarità di Venosa.
“Nel mio Paese” gli dissi “presso il bel sesso sarebbero state più popolari colonne con l’effetto contrario.>>