Dopo le storie brividose di Genova e Milano, oggi vi racconto quelle torinesi.
Nonostante l’aspetto da madamìn sussiegosa e distinta, di quelle che un tempo mai sarebbero uscite di casa senza indossare cappellino e guantini, Torino è sempre stata considerata città in bilico tra profumo di rosolio e zolfo.
Non per nulla nell’Ottocento fu sfondo ideale dei feuilleton noir della sabauda Carolina Invernizio e nel 1934 del primo giallo Mondadori italiano, “L’uomo dai piedi di fauno” di Vasco Mariotti, ispirato alla storia vera del “mostro di Via Consolata”, Giovanni Gioli, che nel 1902 uccise nei fondi di Palazzo Paesana una bimba di cinque anni.
Non per nulla Torino fu scelta come scenario da Dario Argento, che riuscì a rendere inquietante non solo Piazza CNL, ma a sfruttare al massimo in “Profondo rosso” l’atmosfera lugubre della “Villa del bambino urlante” alias Villa Scott (corso Lanza 57), una splendida casa Liberty costruita nel 1902 dall’architetto Pietro Fenoglio, sospettato di magia nera.
E non per nulla proprio a Torino il Lombroso iniziò a raccogliere nella sua casa in contrada Zecca n° 100 (oggi via Verdi), la collezione di teschi, cervelli in formalina, lembi di pelle tatuata e simili godurie che formarono poi il suo orripilante Museo Criminologico custodito oggi in corso Galileo a Medicina Legale.
Il boia, che per tradizione abitava in via Bonelli, a Torino ebbe sempre un gran daffare; il nome di corso Valdocco pare derivare da “vallis occisorum”, la valle degli uccisi, perché vi venivano giustiziati i condannati a morte.
E lo slargo formato dall’incrociarsi dei corsi Valdocco, Regina Margherita e Principe Eugenio (Via Cigna) si chiama “Rondò d’la furca”.
Lì dove oggi c’è la statua di San Giuseppe Cafasso – detto pure lui “Il Preive d’la furca” perché trascorse gran parte della vita a confortare i condannati – sorgeva infatti il patibolo che rimase a lungo, come memento, anche quando venne abolita la pena di morte.
Pure città di messe nere, Torino: il cardinal Ballestrero nel 1986 denunciò un acuirsi di satanismo e ordinò ben sei nuovi esorcisti.
Ma soprattutto è città di spettri, Torino; in Piazza Carlina (piazza Carlo Emanuele II, ma nessuno la chiama così) durante l’occupazione napoleonica venne collocata la ghigliottina. La prima testa a cadere fu quella della Bella Capléra, una cappellaia che lì aveva fatto fuori il marito e pare continui a manifestarsi come agitato spettro roso dal rimorso…
A Palazzo Madama, nel salone delle feste appare Madama Cristina (Maria Cristina di Francia) con lungo abito a strascico; accarezza, chissà perché, le pareti del salone.
Invece il candido spettro di Maria Adelaide, piissima moglie di Vittorio Emanuele II, si vede sul far dell’alba aleggiare sulla collina di Superga: tiene le braccia allargate, come volesse abbracciare la città da cui fu tanto amata.
E nel Cimitero Generale è conservata la statua della principessa Barbara Beloselskij detta Varvara, morta ventottenne a Torino nel 1792.
E’ ritratta coperta da un lungo velo, che non ne cela la bellezza; talvolta si stanca di star lì, e si reca alla sua sepoltura originaria, l’ex cimitero di San Pietro in Vincoli: dicono che se un uomo la vede, se ne innamora.
Infine in piazza Bodoni la prima notte di luna piena d’ogni mese, si ode un sommesso sussurrare; sono i torinesi illustri ritratti nei 52 medaglioni sovrastanti i portici: lo statista Bogino, la poetessa Diodata Saluzzo, il giurista Barbaroux e molti altri, che nella notte si parlano rimpiangendo forse i bei tempi andati.