Nel Settecento Giuseppe Parini, nel celeberrimo brano de “Il Giorno” intitolato “La vergine cuccia”, fustigava con sarcasmo l’amore eccessivo che i nobili della sua epoca riservavano ai loro cani, mentre trattavano come bestie i servitori.
Non si sa se allora tutti si comportassero in modo crudele verso gli umani al loro servizio, ma è cosa certa che nel Secolo dei Lumi i botolini di famiglia fossero tenuti in altissima considerazione e che quandomorivano, seguendo la moda inglese dell’epoca, venissero sepolti nei giardini di famiglia con tanto di lapidi, epitaffi e monumenticommemorativi.
Però nel parco di Racconigi (Torino), immerso fra i platani di un bellissimo viale, si trova il monumento che la principessa Giuseppina Teresa di Lorena-Armagnac, vedova di Vittorio Amedeo V Principe di Carignano, fece erigere nel 1790 al suo cagnolino Werther (sic, come il Giovane) quando questo era ancora vivo; sui quattro lati del piedistallo vi sono delle iscrizioni in italiano, latino, ebraico e copto (ri-sic) che recitano tuttela stessa epigrafe composta da Tommaso Valperga di Caluso:
Son io
di Gioseffina
ancora
lieto
a lei presso
ognora,
e già i vezzi
miei blandi
e la mia fede
han qui
eterna
mercede.
A Bologna invece, e sono in pochi a saperlo, esiste un qualcosa che ricorda una storia decisamente commovente.
Era il 1777.
I Marchesi Bovi erano dei grandi proprietari terrieri che spesso si assentavano per lunghi periodi dal palazzo di città per recarsi in campagna a seguire i loro interessi.
Avevano un cagnolino che si chiamava Tago, il quale stava sempre con loro come un compagno inseparabile e li seguiva in ogni spostamento.
Ma quell’anno invece, non si sa per quale motivo, i Marchesi partirono lasciando Tago a Bologna, affidato alla cura della servitù.
Il cane diventò tristissimo; non voleva più mangiare, uggiolava, trascorreva ore e ore affacciato a una piccola finestra dell’ultimo piano del palazzo, proprio al sottotetto, sperando di veder arrivare da un momento all’altro nel cortile la carrozza degli adorati padroni.
Il tempo passava, e l’assenza dei Marchesi Bovi si prolungava.
Finalmente un giorno ecco che Tago sente il rumore della carrozza.
Pazzo di felicità, abbaiando e latrando gioiosamente s’avventa contro la finestrinaper guardare nel cortile; ma nell’eccessivo slancio ci passa attraverso e precipita, andando a sfracellarsi proprio ai piedi dei padroni appena arrivati.
Sino a qualche anno fa, andando a Bologna in via Oberdan 24 dove c’è un bel palazzo dal portone sempre aperto, entrando in quel cortile e alzando lo sguardo si vedeva, sul davanzale di una finestrina dell’ultimo piano, proprio sottotetto, una statua – opera dello scultore Luigi Acquisti (Forlì 1745-Bologna 1823) – ritraente Tago che, seduto su un cuscino, guarda ancora in cortile, attendendo triste l’arrivo dei suoi adorati padroni.
Dal 2006 al 2008 la statua è stata restaurata nel Laboratorio del Museo Civico Archeologico ed esposta poi nella gispoteca. Ora dove sia non lo so (1); se passate per Bologna, potreste andare a controllare se Tago è ritornato a casa sua, in perenne attesa.
(foto da qui)
(1) Oggi Tago si trova ospite delle Collezioni Comunali d’Arte di Palazzo Accursio