La Buca dei Genovesi Delatori: Soffiate e Mugugni Anonimi nella Genova del Settecento

 

(Foto ©Flod)

 

Nell’atrio di Palazzo Ducale a Genova, entrando da Piazza De Ferrari, fra la terza porta verde e la finestra sulla sinistra si vedrà sul muro una buca delle lettere in marmo bianco con su scritto  “Avvisi A gl’Ill.mi Supremi Sindicatori”.

Costoro erano cinque cittadini eletti ogni quattro anni tra i rappresentanti del Minor Consiglio, che “sindacavano” sull’operato di magistrati, governatori, amministratori della Repubblica; inoltre si occupavano delle denunce – anonime o meno – che zelanti cittadini, dopo averle vergate su letterine dette “biglietti di calice”, infilavano in quella buca creata all’uopo alla fine del XVI sec., ma usata soprattutto nel XVIII.

Queste “spiate” riguardavano temi disparati; si andava dalla denuncia di chi non pagava le imposte a chi pretendeva o accettava “mazzette” in pubblici lavori. Si facevano nomi di commercianti disonesti, di truffatori, di persecutori di fanciulle,

Alcune sfioravano il pettegolezzo:
1732Un certo Giovinastro per nome Agostino Firpo sedusse Nicoletta Briasca, e vissero costoro per più giorni in Scandaloso Concubinato…”.

Altre se la prendevano coi borsari neri:
1733Nella piccola casa di Ignatio Pallavicino si vende Pane, in casa di Francesco Magiolosi si vende vino e si fa Bettola
e le scommesse:
1786. Ieri al Giuoco del Pallone vi fu gran pericolo di sconcerto, se non si proibiscono le scommesse sul gioco un giorno o l’altro si piangerà”.

Si lamentava l’arroganza dei nobili, come “il Magnifico Carlo Spinola uso marciare in città e fuori con Lachè e bastone proibito” o la “Marchesa Serra che marcia per Genova in bussola preceduta da stafieri con bastoni di grossa canna d’India e pomi d’argento in peso di due libbre che sono capaci a rompere la testa a chi che sia

Si deprecavano i giochi pericolosi:
1785. Si è introdotto il gioco della Lippa nelle strade più frequentate della città, né badando ad alcun ceto delle persone, li giuocatori sull’incertezza del colpo vi tranno un legno coll’altro nell’aria, che impetuosamente suol colpire o le persone, o i vetri, o le lampade, e in uno stesso tempo o da chi vince o da chi perde, si scagliano urli di bestemmie con pubblico scandalo. Questo insulso giuoco, che appena potrebbe aver luogo in una aperta campagna lontana dalle case e dalla gente, fa stupore anco a’ forestieri che si permetta in una Metropoli così ben regolata come questa

Effettivamente giocare alla lippa negli strettissimi vicoli del Centro Storico non era una genialata, eh?

Ma proseguiamo.

I mugugni più divertenti (non per nulla siamo nella risparmiosissima Genova) riguardavano le donne spendaccione.

Ad esempio, nel 1778 un marito denunciava un parrucchiere, tal “Romano, che tutto il giorno inventa fogge nuove per acconciar teste caosando nelle dame della presente città spese rilevanti con le continue invenzioni di tali acconciature

Nel 1781 un geloso mugugnava sempre contro lo stesso Romano, il quale istigava le donne “a donargli somme esorbitanti per farsi toccar la faccia, sotto pretesto di accomodar i capelli

Nel 1704 un fidanzato geremiava sui costi dei corredi nuziali:
La spesa esorbitante per li Sposi è la biancheria finissima d’Olanda, con pizzi in gran quantità che si manda alla Sposa e che serve più alla pompa che al bisogno. Merita provvedimento: perché, SS.Ser.me, non limitarne per decreto il numero? 

E nel 1714 un consorte esasperato annunciava -con sottile ricatto- che se i governanti non avessero messo per legge un freno alle “pretese vanesie de le nostre Signore Dame” che spendevano “senza avvertire né curare che la cosa pregiudica alle borse dei mariti”, i mariti “si rovineranno e non potranno pagare le imposizioni pubbliche necessarie per il sostentamento della Repubblica”.

Poi veniva lamentata la presenza di “donnine allegre”…
Havvi quantità non piccola di donne e ragazze che girano di giorno per la città, e di notte portansi a capo di molte strade e luoghi ove si va a teatro o a passeggio, tentando e allettando ogni persona e singolarmente la incauta e fervida gioventù, di modo che fra brevi anni si troverà la città piena di (malati) cronici, ed atti all’Ospedaletto quei giovani che dovrebbero servire al bene della Repubblica e alle arti sociali…”

…e di relativi schiamazzi notturni:
Sig. Ser.mi, il libertinaggio introdottosi a Genova in materia di costumi è giunto all’eccesso, di notte si cantano a gran voce canzoni così dissolute ed oscene che devonsi certamente scandalizzare e le monache e tutte le persone nubili e innocenti

Infine vi erano altre denunce d’offese al pudore (o al senso estetico?), come questa del 1732:
La prima ballerina del teatro non ha che una fascia a mezza vita ed è nel resto perfettamente nuda: la figura è più stomachevole che indecente”, unite a vere e proprie grida di dolore , come questa di un probo genovese indotto “in tentazione” (1772):
Perché, perché permettere che le attrici del teatro compariscano così spettorate, quasi di invito alla debolezza degli spettatori?”

© Mitì Vigliero

Con una sassata le chiedevano “Vuoi sposarmi?”: Antichi e bizzarri corteggiamenti in Val di Susa

La Val di Susa possiede un vasto patrimonio di leggende e tradizioni; fra quest’ultime (da me scovate in varie ricerche, anche consultando la “Storia della Val di Susa” di Michele Ruggiero, Editip, 1976) particolarmente curiose sono quelle dedicate agli antichi metodi di corteggiamento, che variavano da paese a paese e in molti casi rimasero in auge sino ai primi del secolo scorso.

Salbertrand, in Alta Valle, le dichiarazioni venivano fatte il giorno di Santa Caterina; i ragazzi giravano in gruppo il paese suonando strumenti musicali, fermandosi sotto le finestre delle ragazze.

Queste, ciascuna al suo verone, s’affacciavano, e facevano entrare in casa il prescelto all’insaputa dei familiari: si sarebbero potuti sposare solo se egli fosse riuscito a restarci nascosto sino al giorno dopo, senza farsi beccare dal padre di lei.

Le ragazze di Mompantero, antico borgo di rudi valligiani ai piedi del Rocciamelone, nei dì di festa decoravano le gonne dei loro costumi con vezzosi nastrini rossi e azzurri; non erano bellurie feminee ma vere dichiarazioni dei redditi, visto che ogni fiocchetto indicava le migliaia di lire che ciascuna portava in dote.

I ragazzi da parte loro, una volta scelta la futura compagna – vuoi per numero di fiocchetti vuoi per vero amore – si dichiaravano romanticamente tirandole un sasso alle spalle; da qui il detto “a l’à tiraje l’roc”, “ha tirato la pietra”: una sorta di “dado è tratto”, insomma.

Novalesa, alle falde del Moncenisio, il 25 marzo si dirottava il ruscello che nasce all’inizio del borgo, facendolo scorrere per la via principale; gli uomini si recavano nel parco della splendida omonima Abbazia dove raccoglievano ramoscelli di bosso: poi li bagnavano nell’acqua del ruscello e spruzzavano come in una pagana benedizione la fanciulla dei loro sogni.

L’amore scatena pettegolezzi, si sa; per questo a Chiomonte (fra Gravere ed Exille) gli innamorati non ancora ufficialmente fidanzati cercavano in ogni modo di tenere nascosto il loro sentimento, per evitare l’onta della “porà”: una striscia di segatura che univa pubblicamente le due abitazioni dei piccioncini.
Anche a Susa veniva usata; si chiamava “bernà” ed era di farina.

Anche il giorno del matrimonio veniva arricchito (o complicato, a seconda dei punti di vista) da curiosi rituali.

Per esempio ancora oggi, a Giaglione Gravere, lo sposo prima di entrare in chiesa deve tagliare un nastro simbolico, ma un tempo il tapino si trovava il portone sbarrato da cumuli di masserizie, mobili e carri compresi (la “barricata”), che doveva sgombrare da solo.

MeanaMattie, infine, il futuro sposino prima di raggiungere la chiesa doveva spaccare in due con un unico colpo un grosso e nodoso ceppo di legno che gli amici affettuosi gli facevano trovare la mattina delle nozze di fronte all’uscio di casa, completo d’ascia.

Se la cosa non gli riusciva alla prima accettata, frizzi e lazzi l’avrebbero accompagnato per tutta la giornata, mettendo in dubbio la sua “forza e abilità” durante la fatidica Prima Notte.

©Mitì Vigliero