(Jean-Baptiste-Camille Corot, ‘Le Songeur’, 1854)
La casa di mamma non è più mia.
Da una parte è un sollievo, perché significa che ho finito il tremendo, faticosissimo mio lavoro di smantellamento durato mesi, coi relativi traslochi.
Sono stati in tutto 10.
10 camion, pieni di tutto, diretti a varie destinazioni.
Vabbé manca ancora la cantina. Sì, perché c’era una cantina. E me ne sono ricordata ad agosto, quando non trovavi un trasportatore manco a pagarlo. Ma entro la prossima settimana svuoto anche quella.
E poi basta.
E se da una parte è un sollievo, dall’altra…non so.
Dal notaro, durante il rogito, ad un certo punto ho avuto la netta sensazione che mi si spezzasse qualcosa dentro.
Come si staccasse l’ultimo brandello di cordone ombelicale.
Come se qualcuno o qualcosa sussurrasse “ora è tutto solo in te“.
Dentro me; nella mente e nel cuore.
E davanti agli occhi, con le cose di là che ho portato qua.
Con le immagini incorniciate, e oggetti, quadri, mobili scelte fra quelle che ho visto sin da quando sono nata.
E’ una sensazione indefinibile, che tutti – purtroppo – prima o poi provano.
Però, nonostante tutto, è anche una sensazione dolce.
Dolce come il fluire della vita, dolce come la certezza di non avere perso nulla; perché la vita che abbiamo vissuto e chi si è amato, non vanno mai via davvero.
Rimangono per sempre.
Con la nostra anima come culla.