Ciapp, Tett e Balabiott

Come i milanesi ribattezzarono i loro palazzi e monumenti

(foto ©Giorgio Branca)

 

I vecchi meneghini, riferendosi alla basilica di San Vincenzo in Prato di via Crespi, la chiamano tutt’ora la Casa del Mago; sconsacrata durante il dominio napoleonico e dopo aver ospitato una scuderia e una caserma, fu affittata come laboratorio a un chimico.

Il fumo acre che usciva perennemente dalle finestre e da sbilenchi comignoli costruiti alla bell’e meglio sul tetto, i fuochi, le caldaie e gli alambicchi sotto le navate, manovrati da misteriosi figuri in lunghi camici neri, avevano acceso la fantasia popolare facendone il supposto regno di un apprendista stregone.

Decisamente più ameno il soprannome affibbiato al palazzo di Corso Venezia 47, lo splendido Palazzo Castiglioni progettato da Giuseppe Sommaruga (1903).

Ai lati del portone, due enormi nudi femminili scolpiti da Ernesto Bazzaro scandalizzarono i milanesi che battezzarono immediatamente la costruzione Cà di Ciapp.

Così le due statue furono sostituite da pudiche decorazioni floreali, e le svergognate chiappone  trasferite in via Buonarroti, su un lato di Villa Romeo-Faccanoni alias Clinica Columbus.

Nessuno scandalo invece per la Dòna di Trè Tètt della fontana di Via Andegari dedicata al Risparmio; una statua muliebre (sulla sinistra) che tiene vicino al seno un salvadanaio rotondo, che occhi maliziosi identificarono in una terza tetta.

Rimanendo in tema anatomico, in Via Serbelloni 10 esiste la Cà de l’Orèggia, che poi sarebbe Casa Sola-Busca, notevole costruzione liberty dotata di uno dei primi citofoni (1930): un enorme orecchio perfetto nei particolari, scolpito dal grande Adolfo Wild.

Conosciutissima è la Cà di Omenoni, nell’omonima via al numero 3.
Progettata e abitata dall’architetto Leone Leoni prima (1565) e da Giulio Ricordi poi, ha sulla facciata 8 enormi talamoni: gli omoni, appunto.

La fontana di fronte al Castello Sforzesco, di forma tonda, chiara  e meringosa, viene detta Turta di Spus; invece il monumento in piazza della Scala, che raffigura Leonardo Da Vinci in cima a un piedistallo ai cui 4 angoli stazionano impalati 4 suoi discepoli, per la vaga somiglianza con una bottiglia circondata da 4 bicchieri viene chiamato -grazie allo scapigliato Giuseppe Rovani noto sbevazzone- On liter in Quatter (un litro in quattro).

Sempre in tema etilico, si chiama Monument al Ciòcch (ubriaco) quello di via Tiraboschi che rappresenta un legionario romano e un soldato del Carroccio che sorreggono  l’eroe della Prima Guerra Mondiale, Giuliano Ottolini: ma le linguacce milanesi decisero che in realtà si trattasse di due amici che ne sorreggevano un terzo, ciucco perso.

Le Sorèll Ghisini sono le due sirene in ghisa che si trovano nel Parco Sempione; il leone dell’obelisco in piazza Cinque giornate è  El Pòer Borleo, definito con tenera pena “povero” perché la sua posizione, dicono, ricorda romanticamente quella di uno stitico al quale sia appena stato fatto un clistere.

Infine El Biotton (il nudone) sarebbe il monumento a Felice Cavallotti in via Marina, che il solito Bazzaro (quello delle ciàpp) volle, nel 1906, nudo con l’elmo in testa, mentre il Balabiòtt (lett. balla nudo, ma anche “scemotto, testa inaffidabile”) sarebbe il Napoleone eternamente immortalato senza veli e stazionante nel cortile dell’Accademia di Brera.

© Mitì Vigliero