Per la Serie “Tipi e Tipetti”: Ludovico lo Sportivo.

Il mio amico Ludovico è un patito degli sport.

Ogni anno, da anni, si dedica ad una disciplina diversa, dilapidando ogni volta un capitale in attrezzi, abbigliamento, corsi e iscrizioni ad associazioni sportive.

Ci fu il periodo del golf, durante il quale Ludovico non parlava d’altro che di teeing-ground, di putting-green, di formula-Medale (“Càppero c’entra un dentrificio?” si domandò la prima volta) e ogni mattina, mentre si faceva la barba, canticchiava come una filastrocca i nomi dei bastoni: “Driver bassie spoon baffy trallallèrò, driving-iron mid-iron mid-mashie trallallà“.

Si alzava all’alba, raggiungendo il campo più vicino e trascinandosi dietro quella martire di sua moglie, Teresa, perché gli facesse da caddy.
Attraversavano i sei chilometri di percorso sfidando tutte le condizioni atmosferiche, sguazzanti nel fango o martellati dal sole. Teresa, annoiatissima, ingannava il tempo contando i piccoli incavi sulla superficie delle palle: 245, circa.
Se gli altri giocatori, per regola, conservavano nella sacca 14 mazze, Ludovico il previdente ne voleva 28 e faceva impazzire Teresa richiedendole all’improvviso cose tipo “Il club-niblik!”, che la sventurata all’inizio credeva fosse una sessione distaccata delle Giovani Marmotte.

Dopo trecentosessantaquattro giorni trascorsi sul verde prato e dopo aver colpito Teresa con una palla scagliata a centottanta chilometri all’ora, mentre stavano per questo trascorrendo la notte di San Silvestro in una corsia di ospedale, Ludovico disse a sua moglie:

“Hai ragione. Il golf non è poi così divertente. Mi darò al tiro con l’arco

Comprò un set completo di archi, frecce e faretre; lottò come un disperato con archi lunghi metri 2,60, dai quali si scagliava al posto della freccia, quando non si trovava la corda di budello avvolta attorno al collo.
Teresa, paziente e memore della palla da golf, gli stava alle spalle come un angelo custode, sino a quando un giorno venne trafitta alla caviglia da una freccia che Ludovico era riuscito, non si sa come, a lanciare all’indietro.
Mentre l’accompagnava al Pronto Soccorso, il novello Robin Hood le annunciò:

“L’arco è noioso e poi tu sei negata, riesci sempre a farti male. Da domani ci dedicheremo allo sci di fondo

Dopo aver acquistato sci, racchette, scarpette, guanti e tute, Ludovico e Teresa iniziarono ad arrancare per chilometri di piste di 1200 metri di dislivello, a 45° sotto lo zero sino a quando un pomeriggio, a Limone Piemonte, Teresa si mise a dialogare con le renne di Babbo Natale, invitandole per il tè.

“Va bene, ho capito” disse Ludovico “Basta con il fondo: faremo dello sci kioring.”

Lo sci kioring consiste nel farsi trainare sulla neve con gli sci da un cavallo montato da un cavaliere e lanciato al galoppo.
Teresa approvò l’idea, ma a una condizione:
“Però sul cavallo ci vado io”.
Difatti saltava sul destriero e lo lanciava a pazza velocità, incurante degli ululati belluiti emessi dal marito che sciava sulla pancia, sul sedere, sul naso, sulla schiena, sulla fronte, insomma ovunque tranne che in piedi sugli sci.

“Lo sci kioring non è un granché” sbottò Ludovico “Però ho imparato ad amare i cavalli. per questo ho deciso di darmi all’equitazione

Acquistò una giacca inglese, un cap, degli stivali, una sella da concorso, redini, martingala, pettorali, testiera, staffali, para glomi, fasce protettive e stinchiere. Tentò immediatamente di indossare queste ultime appena arrivato al circolo ippico, mettendo in grave imbarazzo Teresa che gli spiegò pazientemente che erano da mettere al cavallo e non al cavaliere.

Il cavallo lo comprò su un sito chiamato www.nomadinfuga.hu.

Era un destriero di anni 22 e si chiamava Sofà, nome particolarmente adatto ad un equino che preferiva trascorrere i suoi giorni stando seduto come un barboncino.
Tentò di insegnarli, e di imparare, il passo normale, il passo ambio, il trotto lungo e corto, i vari tipi di caloppo. Durante un’ora di lezione Ludovico cadeva in media sei volte; ma finiva a terra in maniera non traumatica perché Sofà, ogni dieci minuti esatti, si sentiva stanco e si sedeva, facendo scivolare dolcemente all’indietro il suo cavaliere.

Trascorsi sette mesi, il direttore della scuola di equitazione offrì a Ludovico un lauto stipendio affinché diventasse il G.O. ufficiale dei soci del circolo, che si divertivano come pazzi ad assistere alle sue lezioni.
Ma Ludovico rifiutò dicendo:

“L’ippica, in fondo, è uno sport troppo sedentario. Ultimamente ho passato notti insonni a seguire l’America’s Cup: ora so che la mia strada è la vela.”

Dopo aver saccheggiato un intero negozio della Marina Yachting, si iscrisse con Teresa ad una scuola velica.

Tra fiocchi, bompresso, trinchetto, stralli, rande, controrande e boma, trascorsero mesi allucinanti e litigiosi perché Teresa si scandalizzava molto quando le ordinavano gridando di cazzare la vela, e si ostinava a chiamare valzerone il tangone replicando seccata a chi la riprendeva: “Bé? Sempre grosso ballo è”.
La passione velica svanì alla prima bomata che, colpendo Ludovico in piena fronte, lo scaraventò in mare un 14 di gennaio.

Scampato alla broncopolmonite, Ludovico proclamò:
“Meglio il tennis“.

Si fornì di braghette e magliette rigorosamente firmate; e poi racchette, palle, fascette antisudore, polsiere…Ma questa volta non volle portarsi dietro Teresa, perché molti anni prima era stata campionessa juniores.
Preferiva quindi allenarsi con la macchina lanciapalle, che regolava alla velocità minima.
Ma un giorno un fulmine colpì la centrale elettrica del tennis club e la macchina impazzì. Impiegarono tre ore a ritrovare Ludovico seppellito da una montagna di Dunlop gialle fosforescenti.

Dopo il tennis vi fu la mania per lo squash, la pelota, il ping-pong. Un breve amore per il trekking, una cotta per il deltaplano, un colpo di fulmine per la savate. Qualche lieve sbandata per snorkeling, canyoinig e running. Un passeggero interesse per il tiro a segno, il baseball e l’aikido.

Un giorno venni a sapere che si era dato alle corse automobilistiche e, questa volta seriamente preoccupata, decisi di parlargli. 
Lo trovai spaparanzato sul divano in salotto, mentre sfidava Teresa alla F1 2010.

©Mitì Vigliero

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Per la Serie “Tipi e Tipetti”: il Malizioso

PierArturo è un Tipo Malizioso; trascorrere anche solo un paio d’ore in sua compagnia è un’esperienza spossante che potrebbe mettere a dura prova il vostro sistema nervoso, ma in compenso divertire pazzamente uno psicologo freudiano.

Questo perché  vede doppi sensi licenziosi dappertutto: in qualunque parola, in qualsiasi gesto, in ogni oggetto.

Frasi banalissime quali che buona l’insalata coi finocchi, io preferisco i cetrioli, dammi una banana, a me il salame piace stagionato, guarda che bell’uccellino, non riesco a farlo venire, non vuole uscire, entra per favore, te la dò subito, agitalo bene ecc, scatenano in lui scoppi di risa convulse e imbarazzanti soprattutto per chi, come me, riguardo alla comprensione dei “doppi sensi” è particolarmente tardo.

Difatti ogni volta il Malizioso mi guarda come se fossi scema e mi dice ridacchiando con faccia da schiaffi: “Ma lo sai cosa hai detto?”.

Un giorno ha sghignazzato per mezz’ora alla frase: “Devo comprare un uovo di Pasqua”.
Non ho mai capito il perché delle sue risate, né lui me l’ha mai spiegato.

Certo è che a stare un po’ di tempo con PierArturo si rimane contagiati e si scoprono doppi sensi ovunque: nei pali della luce, nei semafori, nei frullatori, nei banchetti del mercato, nelle tastiere dei computer e nei tombini.

Però, se qualcuno gli racconta una barzelletta inequivocabilmente sconcia, PierArturo diventa improvvisamente serissimo e con offeso tono di accusa dice: “Non l’ho mica capita…”.

© Mitì Vigliero

Della stessa serie:
La Strafiga

L’Acuto 

Per la Serie “Tipi e Tipetti”: L’Acuto

Il cosiddetto Tipo Acuto è un individuo dotato, appunto, di un acume straordinario; la sua vivacità cerebrale è estremamente lampante, soprattutto nelle sue brillantissime constatazioni.

PierPaola è uno di questi esseri, a cui Sherlock Holmes fa un baffo: la incontrate, per esempio, al supermercato mentre spingete un carrello stracolmo di frutta, verdura, detersivi, scatolame vario eccetera.

L’eccelsa vi fissa a lungo con occhio scaltro e all’improvviso vi domanda:
“Fai la spesa?”

Se vi imbattete in lei sulla spiaggia mentre gocciolando acqua salata arrancate verso la vostra sdraio camminando sui durissimi sassi con le eleganti movenze di un orango sovrappeso e tenendo in mano pinne, maschera e boccaglio, siate pur certi che la genialoide, dopo avervi sottoposto ad un’accurata osservazione, vi chiederà:
“Hai fatto il bagno?”

Se sarete sui gradini di una chiesa voi, di bianco vestite, con un velo sul cranio e un mazzolino di fiori d’arancio tra le mani, verrete sicuramente avvicinate dalla perspicace fanciulla che, tutta elegante e regolarmente munita d’invito alla cerimonia, vi porrà la scaltra domanda:
“Ma ti sposi?”

In tutti i casi non avrete mai nulla di intelligente da ribatterle; pensarete in preda al panico che il vostro quoziente intellettivo non sia affatto all’altezza del suo dato che, agli astuti quesiti posti da PierPaola, non si potrà che rispondere un o un no a seconda dei casi, sentendosi inoltre un po’ stupidi nel farlo.

E lei, biecamente fiera della sua sagacia, ogni volta vi chiederà di rimando:
“E perché?”

© Mitì Vigliero

Della stessa serie: La Strafiga