Storie e Tradizioni di Liguria: La Danza della Morte d’u Màsciu e della Léna a Taggia

Una leggenda medioevale, riportata dal vescovo di Genova Jacopo da Varagine (di Varazze) nella sua “Legenda Aurea” (1260), racconta che per sfuggire alle persecuzioni cristiane scatenatesi dopo la morte di Gesù, vari apostoli insieme a famigliari e a Maria Maddalena salirono su una zattera senza remi che li condusse per il Mediterraneo sino a Marsiglia.

Da qui Maria di Magdala, divenuta eloquente come un apostolo e dopo aver compiuto vari miracoli, si ritirò in eremitaggio in una grotta (Sainte Baume) dove visse ancora trent’anni e alla sua morte fu accolta trionfalmente in Cielo.

Durante il viaggio in mare però la zattera toccò vari paesi; fra questi Taggia, nella Liguria di Ponente, dove pare che la Maddalena abbia sostato un po’ in un eremo immerso fra i boschi delle alture, per far penitenza dei suoi giovanili peccati.

Ancora oggi un proverbio locale – per indicare i trascorsi non proprio virginali di una persona – dice “Ha fatto anche lei le sue maddalenate”.

La devozione per la Santa “mirofora” (“portatrice di profumi”, fu lei a ungere d’unguento profumato il cadavere di Gesù) è quindi a Taggia molto sentita; nel 1716 nacque la Confraternita dei Maddalenanti che da quella data, ogni penultima domenica di luglio, subito dopo il giorno onomastico (Santa Maddalena, 22 luglio) organizza la “Festa de Santa Maria Madarena du boscu”.

I confratelli, tutti uomini a dorso di mulo o a piedi, partono da Taggia sfilando lungo il Pantan (via Soleri) e raggiungono in tre ore di cammino la chiesina-eremo della Maddalena del Bosco; dopo aver cenato abbondantemente con minestrone e stoccafisso e dormito all’aperto, il giorno dopo vengono raggiunti dalle donne (e dai turisti).

Una Messa al campo, un’altra pantagruelica mangiata, musiche e giochi e poi la parte più caratteristica della festa: il Ballo della Morte.

E’ un rito arcaico: protagonisti due Maddalenanti, uno detto “u Màsciu” (il Maschio), l’altro “la Léna” (diminutivo di Maddalena).

Danzano una sorta di tarantella allegra, mimando corteggiamenti amplessi; ad un tratto però la Léna stramazza a terra, morta.

U Màsciu disperato, fra funebri note, la copre di lavanda, premendogliela soprattutto sul ventre: a quel punto Léna, sollevandosi con una botta di reni, risorge fra grida di gioia.

La danza, ripetuta per tre volte, l’ultima nel centro del paese, come la maggioranza delle manifestazioni popolari cristiane è strettamente legata al mondo rurale che da sempre unisce paganesimo e cattolicesimo.

La fine di luglio è un periodo critico per la campagna, la canicola rischia di bruciare i raccolti che dovrebbero assicurare benessere per tutto il resto dell’anno.

La Léna è dunque la Terra resa fertile dall’uomo, ma è esposta a gravi rischi sia metereologici che, simbolicamente, del peccato, come la Maddalena.

La lavanda che la fa risorgere simboleggia la redenzione (l’unguento profumato con cui l’ex peccatrice unse Gesù) e quindi i frutti della rinascita (il raccolto): infine il colpo di reni con cui  Léna risorge balzando in piedi è quindi sia il parto della Terra, sia la nuova vita dell’anima salvata.

© Mitì Vigliero

Qui un documentario sulla manifestazione