La Notte Magica: Antiche Credenze Natalizie

ll Natale è un periodo ricchissimo di tradizioni, superstizioni e usanze varie, legate ad ogni momento dei festeggiamenti.

Ad esempio, gastronomicamente parlando, forse non tutti sanno che l’uso di mangiare il tacchino risale al XVI secolo quando gli Spagnoli lo importarono in Europa dal Messico: il primo che lo assaggiò fu Carlo IX, e gli venne presentato a tavola in modo solenne, tra squilli di trombe, salve di cannone e rulli di tamburi.
Ma fu la golosissima Caterina de’ Medici a imporre il pennuto come menù natalizio, possibilmente farcito di castagne e accompagnato da salse alla frutta.

Il costume di servire a tavola salmone, capitone, pesci vari e cappon magro deriva invece dall’antica regola della Chiesa che la notte del 24dicembre, prima della Messa, imponeva ai fedeli una cena “di magro”.

In Romagna, soprattutto a Rimini, per antica tradizione natalizia a tavola dovrà essere stesa una tovaglia a ruggine; di lino o canapone, stampate coi i caratteristici disegni a “galletto” o a “uva” da un macchinario antichissimo chiamato “mangano”. Il color ruggine nasce dalla vera ruggine ottenuta facendo macerare del ferro in acqua.

(Immagine © qui)

Infine in tutta Italia il 25 viene considerato il giorno del Pane, inteso come corpo di Cristo incarnatosi la notte di Natale a Betlemme (bet lehem, casa del pane): per questo è ovunque tradizione mangiare dolci fatti di farina come il pangiallo a Roma, il pandolce a Genova, il panpepato a Ferrara e in Umbria, il panforte a Siena, il pandoro a Verona, il panvisco a Bari, il pane certosino a Bologna e, ovviamente, il panettone a Milano.
Di questi pani è buon uso matterne da parte un pezzetto, per mangiarlo il giorno di San Biagio (3 febbraio), onde preservarsi tutto l’anno dal mal di gola.

Inoltre la notte di Natale è da sempre definita “magica” anche a causa dei vari riti che vi si compiono, unendo sacro e profano.

Nelle campagne del Veneto, dell’Istria dell’Alto Adige i contadini, per sapere come sarà il prossimo raccolto, mettono in una padella arroventata 12 grani di frumento, uno per ciascun mese delll’anno; quelli che si apriranno al calore indicheranno abbondanza, mentre quelli che si carbonizzeranno annunceranno carestia.

Le notti natalizie nelle campagne di MoliseAbruzzo sono rischiarate da innumerevoli lumini posti sui davanzali per cancellare le tenebre e rendere più agevole la strada ai pastori diretti al Presepe: se la mattina i lumini si mostreranno poco consumati, sarà buon auspicio.

Il Natale coinvolge tutta la natura; in Svezia, Scandinavia e Norvegia si crede che il giorno di Natale tutti i boschi si riempiano di folletti; perciò le persone pongono grandi recipienti colmi di birra ai piedi degli alberi affinché le magiche creature bevano a volontà e, riconoscenti, si prendano cura delle piante.
Anche in Germania bimbi dedicano canti e abbracci agli alberi di boschi e giardini affinché diano più frutta e vivano a lungo e sani.

In Friuli e in Umbria si pensa che a mezzanotte esatta le corna degli animali si illuminino sulla punta, e che tutti gli asini si inginocchino per salutare il Bambinello.

Infine si crede che chi nasce la notte di Natale abbia il potere di tener lontane le disgrazie dalla sua famiglia e da quella dei suoi amici; questo quasi ovunque, tranne che in Lunigiana, dove affermano invece che sarà destinato a diventare un Lupo Mannaro, punito per l’arroganza di esser nato in una notte destinata esclusivamente ad un Altro.

In Piemonte si dice che i fiori seminati il giorno di Natale avranno degli splendidi colori; a Napoli che l’aceto usato per condire l’”insalata di rinforzo” della Vigilia, versato sui garofani li renderà pieni di screziature; in Liguria che le foglie di alloro raccolte il 25 non seccheranno per mesi…

E, visto che Natale era anticamente uno dei rari momenti di abbondanza alimentare, è logico che siano molte anche le superstizioni riguardanti la tavola.

Ad esempio, in Puglia, cibo rituale natalizio sono le “pettole”, pallottole di pasta lievitata fritta nell’olio.

Per preparlarle però vi sono riti precisi da seguire: vanno impastate solo dalla mezzanotte all’alba della Vigilia, sennò saran disgrazie.
Mentre frigge, la cuoca non deve né bere né mangiare, sennò assorbiranno troppo olio.
Dall’ultima pettola, prima d’esser buttata in padella, bisognerà togliere un pezzetto e buttarlo nel camino recitando una preghiera. E guai a lodare la frittura che si sta facendo: riuscirà di certo male.

In Emilia Romagna invece si credeva che tutti gli avanzi della cena della vigilia avessero effetti medicamentosiburro e olio per curare tagli e bruciaturecera delle candele contro le contusionivino per cicatrizzare le piaghe sulla schiena di animali e umani e, versato nella vigna, un’ottima vendemmia l’anno dopo; le briciole di pane date ai pulcini per farli crescere vigorosi e mai preda di volpi e rapaci.

In Istria, per proteggere il bestiame da ogni malanno, gli si dava da mangiare un poco del cibo del Cenone; e in tutta l’Italia rurale quella era l’unica volta che anche gli animali domestici quali gatti e cani potevano circolare tranquillamente attorno alla tavola ove si cenava, coccolati e viziati con bocconcini lanciati dai commensali.

Questo perché si credeva che alla Mezzanotte esatta gli animali acquistassero la favella, e potessero raccontare a tutti i comportamenti dei loro padroni, anche quelli meno edificanti…Quindi era meglio tenerseli buoni.

La Notte Santa era anche l’unica notte in cui era possibile tramandare “esercizi segreti”; così in tutto il Meridione, VenetoLiguria, le nonne insegnavano alla nipote prediletta i riti per levare il malocchio, mentre in Campania, Sicilia Piemonte i nonni “guaritori” passavano ai discendenti  maschi l’arte per curare ossa e distorsioni.

E  ovviamente, non potevano mancare le credenze legate all’amore.

Nelle Marche, la sera del 24 dicembre le ragazze da marito mettevano sotto il cuscino del letto tre fave (simbolo di fecondità): la prima completamente senza buccia, la seconda sbucciata a metà e la terza intatta. Al risveglio, infilando la mano sotto il guanciale ne sceglievano una a caso: quella senza buccia indicava un futuro marito povero, le altre medio-ricco o decisamente Paperone.

Nel Lazio, le fanciulle indecise fra vari corteggiatori prendevano delle cipolle e scrivevano su ciascuna il nome dei papabili; poi le riponevano in un luogo buio e fresco. La prima cipolla che avesse germogliato, sarebbe stata quella col nome “dell’uomo del destino”.

A loro volta, nella Sardegna logudorese, le nubili facevano sistemare su un tavolo dalle altre donne di famiglia cinque scodelle contenenti rispettivamente cenere, acqua, chiavi, trucioli: una doveva restare vuota.
Bendate, sceglievano una di queste mettendoci una mano: se trovavano acqua, avrebbero sposato un agricoltore, cenere un fornaio, trucioli un falegname, chiavi un ricco possidente, vuoto…un poveretto.

Nelle Murge bastava che la ragazza la mezzanotte esatta del 24 si guardasse allo specchio con i capelli sciolti per vedere, al posto della sua immagine, quella del futuro marito.

Infine nella zona della Cisa si credeva che scambiarsi gli anelli di fidanzamento il 25 dicembre fosse particolarmente propizio a una lunga e felice unione. Probabilmente un tempo Natale era  l’occasione di presentare ufficialmente le due famiglie, che spesso abitavano in luoghi magari vicini ma non facilmente raggiungibili in inverno per via delle neve e delle strade difficoltose. E per festeggiare, si riunivano tutti a casa della futura sposa, formando per la prima volta un’unica famiglia.

© Mitì Vigliero

Scaloppine di Tacchino al Ginger

Riordinando la dispensa in preda ad uno dei miei periodici attacchi di Casalinghitudine, ho trovato un barattolino di fettine di Ginger conservate sott’aceto di riso. Non ricordo affatto dove e quando l’avevo comprato, ma doveva trattarsi di un bel po’ di tempo fa, visto che era pericolosamente vicino alla data di scadenza.
Così, decidendo di usarlo in fretta, ieri l’ho provato in uno dei miei soliti esperimenti culinari al galòp.

Ho preso delle fettine di tacchino, le ho battute molto bene e lievemente infarinate
In una larga padella antiaderente ho sciolto un pezzo di burro.
Ho messo a rosolare il tacchino, unendo poi due bei cucchiai di fettine di ginger (il sapore del ginger sotto aceto di riso è molto meno piccante dello zenzero fresco. Ergo, se si usasse quello fresco, meglio evitare di abbondare).
Spruzzato con un poco di vino bianco tiepido.
Infine ho unito sale, una bella manciata di prezzemolo tritato, spento il fuoco e servito immediatamente.

Finito il tacchino, i commensali hanno poi accuratamente lucidato piatti e pentola  facendo goduriose “scarpette” (che in questa casa sono concesse, sempre ;-)


Nido e Fondue a modo mio

fondue-chinoise.bmp
La casa è a posto. Vabbé, il restauratore mi deve portare ancora qualcosa, il corniciaio deve consegnarmi un po’ di quadri, mancano ancora dei punti luce, ci sono ancora sparsi in un altra casa un po’ di scatoloni pieni di piatti e robe varie da portare qui…Però diciamo che (dopo un anno esatto di delirio e truppe cammellate) ora è decisamente abitabile.

E’ venuta proprio come la volevo; un nido a modo mio.
Comodo, caldo, curioso, spazioso.
E quasi ogni mobile, oggetto, quadro, coso vario ha una sua storia speciale che emana carattere:  mi è stato detto “Questa casa è affettuosa come una persona”.
E ciò mi rende felice.

Per questo sto ricominciando piano piano a dedicarmi a una delle cose che più amo: invitare Amici, di quelli veri.
Con loro qui butto via stanchezza e pensieri, dimentico grane, responsabilità, impegni e mi dedico solo a coccolarli.

Per quelli che verranno a cena stasera (niente link, fatti miei ;-) ho deciso che preparerò la Fondue Chinoise.

E’ strettissima parente della Fondue Bourguignonne (identico il meccanismo e la “cerimonia”), ma la preferisco perché molto più “leggera”, dato che la carne e le verdure non vengono fritte nell’olio bensì lessate nel brodo.

Per farla uso una “marmitta mongola” identica a quella della foto; è elettrica, e riesce a mantenere costante la temperatura del brodo.
Altrimenti si può usare o la marmittina della Bourguignonne (ma al massimo per 2 persone), o una qualunque pentola dai bordi alti posta su un fornello a spirito o elettrico, di quelli da campo.

Si sistema la pentola piena di brodo nel centro della tavola, e con le classiche forchettine o gli appositi cestini (quelli che vedete nella foto) si tuffano nel brodo bollente sottilissime fettine di carne, tacchino, piccoli gamberi, funghi champignon a fettine, verdura a tocchetti, lasciandoli cuocere.

Una volta cotti e bollenti, verranno pucciati nelle varie salse che ogni commensale avrà messo nel suo piatto; io utilizzo i classici della Bourguignonne , ma van bene anche quelli normali.

Una volta spazzolata via la carne e le verdure, porto in tavola delle tazze e con mestolo e colino le riempio col brodo rimasto (di solito ne resta un mestolo a testa), che è concentratissimo, profumatissimo, buonissimo, e le distruibuisco ai commensali, che non sono mai più di 6.

Amo molto la Chinoise perché, essendo piatto unico, mi permette per tutta la durata della cena di starmene tranquillamente seduta a tavola con gli amici, senza dover fare il solito avant-indrè fra sala e cucina.
Quindi preparo tutto nel pomeriggio, poi non ci penso più e mi rilasso.

Come ingredienti della PlacidaChinoise di solito utilizzo:

100 gr a testa di controfiletto tagliato sottilissimo, stile carpaccio.
100 gr a testa di tacchino tagliato nello stesso modo
450 gr di gamberettini lessati

Carote, sedano, zucchine, cipolle
lessati prima quasi sino a completa cottura (nel microonde, con un dito d’acqua, si fa velocissimi. Verranno poi praticamente solo scaldati: se li porterete crudi a tavola, ci metteranno una vita a lessare e passerà la fame)

4 litri di brodo leggerissimo, o di pollo o di dado (le pentole come la mia ne tengono circa 3 litri, meglio abbondare per aggiungerne se la cena andasse per le lunghe e il brodo si restringesse troppo)

Salse salse e ancora salse.

Oltre le solite Senape e  Rubra (dal dopoguerra detta americanisticamente ketchup , ma io mi rifiuto di chiamarla così e usarne altre imitazioni) , in tavola metto:
Aceto balsamico, di quello talmente denso che sembra lava liquida (C’è chi compra le borse Pr*da/G*cci/MarcaRadicalsnobAcàso, chi l’aceto di Modena invecchiato: la vita è solo tutta una questione di scelte…;-)
Salsa di Soya
-Un bagnet verde (prezzemolo, aglio, acciuga, mollica di pane bagnata nell’aceto, capperi, olio, sale, tutto frullato col mixer)
-Un bagnet rosso piccante (passata di pomodoro cruda e tanto peperoncino)
– Un altro bagnet verde stile Chimichurri, ma sempre a modo mio: foglie di sedano, aglio, succo d’arancia, olio, sale, frullare, alè.
-La maionese.
Ne faccio un poco in casa da servire da sola, e uso quella in vasetto come base per le altre salse (è molto più leggera e meno “invasiva” come sapore)

In tanti ciotolini (perfetti quelli del pinzimonio di varie dimensioni) metto un paio di cucchiai di maionese mescolandoli (in ciotolini diversi eh?) a:
cipolla cruda tritata ed erba cipollina
-un cucchiaio di panna e il succo di mezza arancia
3 spicchi d’aglio tritati
-foglioline fresche di timo o maggiorana o origano o basilico, salvia, insomma, quel che volete voi
rubra con o senza un goccino di cognac o Whisky
curry
zenzero
E poi yogurt, senape in polvere, peperoni o finocchio tritati finissimi…tutto quello che viene in mente.

E poi pane fragrante. Che con la Chinoise se ne mangia tantissimo.
Poi, da domani, dieta.
Sino alla prossima placidacena.

© Mitì Vigliero