La Sacra di San Michele e il Salto della Bell’Alda

(Foto di Pietro Izzo, su flickr)

Uscendo al casello di Avigliana della statale n°25 Torino-Frejus, dopo una dozzina di km della strada che s’inerpica sul monte Pirchiriano si raggiunge – a quota 962 m.- la splendida Sacra di San Michele .

Un complesso monastico millenario decisamente spettacolare (vi consiglio un giretto su flickr per ammirarla), affidato prima ai Benedettini e poi ai Rosminiani, che merita una visita fosse solo per ammirare– oltre la vista mozzafiato – la romanica Porta dello Zodiaco o il ripidissimo (e mozzafiato pure lui, ma in altro senso) Scalone dei Morti, così detto perché conservava in apposite nicchie alcuni scheletri di monaci.

Dalla terrazza vicina alla chiesa, si vedono i ruderi imponenti dell’originario monastero; fra questi, impressionanti come altezza, quelli della Torre della Bell’Alda.

Narra la leggenda che quando bene non si sa, forse ai tempi del Barbarossa o forse nel ‘300, quando tutta la Val di Susa pullulava di mercenari sanguinari, o forse ancora nel ‘600 coi Lanzichenecchi pestilenziali di manzoniana memoria, la Sacra – vista la sua posizione – era una sicura fortezza dove trovavano rifugio i villici durante le varie incursioni nemiche.

Durante una di queste, arrivò un gruppo di contadini; fra loro vi era una fanciulla che si chiamava Alda, nota in tutta la zona per la sua avvenenza.

Ed era bella, ma tanto bella, ma così bella che tutti la chiamavano – con slancio di fervida, poetica e originale fantasia – la Bell’Alda.

Quella volta però i nemici riuscirono ad invadere la Sacra; saccheggiarono la chiesa, massacrarono i monaci, uccisero i contadini e violentarono le donne.

La Bell’Alda riuscì a fuggire e, in preda alla disperazione e al terrore, s’arrampicò sulla cima della torre; la soldatesca la seguì sin lassù.

Non aveva più scampo.

Invocò l’aiuto della Madonna e si lanciò nel vuoto.

Ma dal cielo scesero lievi due angeli i quali, prendendola delicatamente per le braccia, la depositarono incolume a terra.

Passò un po’ di tempo e la Bell’Alda, inorgoglita, non faceva che vantarsi raccontando a tutti il miracolo di cui era stata protagonista; ma nessuno le credeva.

“Ma come?” diceva “Osereste mettere in dubbio la parola d’una Prescelta e Prediletta dalla Vergine, dagli Angeli e dai Celesti tutti?”.

E il popol tutto rispondea: “Sì!”.

Offesa e seccata, un bel giorno la Bell’Alda – pestando piccata il piedino a terra – sbottò: “Ok. Venite con me che vi faccio vedere io”.

Seguita dalla folla dei compaesani, corse alla Sacra, si ri-arrampicò sulla cima della torre e, sicura d’un nuovo aiuto divino, si ri-lanciò di sotto.

Ma il Cielo punì la sua superba boria: degli angeli quella volta non si vide manco la piuma di un’ala e la Bell’Alda si spiaccicò violentemente al suolo.

Di lei, dice sempre la leggenda, “’L toc pi gross rimast a l’era l’ouria” (il pezzo più grosso rimasto era l’orecchio).

Nel punto esatto dello schianto, la pietà umana pose una croce e la fervida e poetica fantasia popolare le dedicò una canzone la cui ultima strofa declama:

La Bell’Alda insuperbita
qui dal balzo si gettò,
sfracellata nella valle
la Bell’Alda se ne andò.


© Mitì Vigliero

 

PlacideNovelline per Riflettere

Aristotele e il seccatore
   Un facondo e prolisso parlatore, convinto di essere un grande filosofo, seccava Aristotele con discorsi petulanti, banali e noiosissimi; ad un tratto gli chiese: “Ebbene, maestro: non siete stupito di quanto vi ho detto?”.
“Ciò che mi stupisce” rispose Aristotele “è che io faccia uso degli orecchi per ascoltarvi, quando ho i piedi per fuggirvi”.

Modestia di poeti
   Victor Hugo ricevette un giorno una lettera che portava questo semplice indirizzo: “Al più grande poeta di Francia”.
Egli, senza aprirla, la mandò a Lamartine il quale  la rispedì a Hugo.
Non si seppe mai quale dei due aprì la lettera per primo.

Saggezza presidenziale
   Il Presidente degli Stati Uniti Grant stava lucidandosi le scarpe nel suo ufficio quando entrò il suo segretario che gli disse scandalizzato:
“Ma come? Il Presidente si lustra le scarpe da solo?”
E Grant rispose: “Sicuro! Del resto è meglio lustrarsi le scarpe da sé, che dover lustrare quelle degli altri!”.

Manzoni e il presuntuoso
 Un giorno Alessandro Manzoni, quand’era Senatore al primo Parlamento italiano, seccato di ascoltare un altro senatore presuntuoso che quando parlava diceva “il mio signor padre, la mia signora madre, la mia signora moglie, i miei signori figli” eccetera, chiamò il suo cameriere e ad alta voce gli disse: “Mio signor cameriere, dite al mio signor cocchiere d’attaccare alla mia signora carrozza i miei signori cavalli”.

La vanità è donna
   Il celebre giornalista Vassallo detto Gandolin, stava passeggiando insieme ad un amico e alla moglie di questo; la signora discuteva animatamente con Gandolin, il quale aveva avuto il torto di affermare che la Vanità sia difetto comune a tutte le donne.
Ad un tratto videro entrare in una chiesa una processione di comunicande, Figlie di Maria, suore eccetera.
Gandolin disse alla signora: “Contesti la mia idea? Va là che te la dimostro!” e alzando la voce per essere udito bene esclamò:
-“Quante donne pie! Peccato che la più bella abbia il naso sporco…”.
E tutte le pie portarono la mano al naso.

Presentazioni
   L’abate Tanzini, fiorentino del ‘700, era un uomo molto intelligente, dotato di un carattere schietto e totalmente indifferente all’eleganza. Un giorno si trovava nel’anticamera di un Principe e due cortigiani, vedendolo mal vestito e con la faccia imbarazzata dalla sontuosità del luogo, gli si avvicinarono e gli chiesero chi fosse.
“E voi, chi siete?”, rispose seccato l’abate.
Il primo dei due disse sussiegoso: “Io sono un gentiluomo che ha l’onore di servire Sua Eccellenza in veste di segretario”.
“Ed io” disse l’altro “ho l’onore di servire il Principe come ciambellano”.
“Ed io – ribatté Tanzini – sono l’abate Tanzini, che ha l’onore di non servire nessuno”.  

©Mitì Vigliero