Sono passati tanti anni dalla prima edizione del mio – ormai testo d’antiquariato – Stupidario della Maturità; molti Maturandi di allora probabilmente hanno figli già alle prese con l’Esame-Incubo per eccellenza, la prima “Grande Prova” della loro vita.
Eppure, nonostante il tempo trascorso e il passaggio generazionale, le sensazioni che l’Esame di Maturità provoca nei ragazzi sono sempre le stesse, identiche a quelle provate dai loro padri e nonni. Non importa che il livello di difficoltà si sia indubbiamente e generalmente abbassato; l’agitazione, l’ansia, la paura, sono sempre uguali. E oggi come allora, contribuiscono alla creazione delle meravigliose, surreali, assurde stupidatepartorite dai maturandi durante gli scritti e orali.
Ne riporto qui alcune estratte dai vari capitoli dello Stupidario annata 1991, dedicandole con un mare di affetto ai Maturandi annata 2018; prendetele come un intervallo rilassante e tutto da ridere, cercando però di non ripeterle all’esame, eh? ;-)
Non mi riferisco a quelli nobiliari o di studio, ma ai titoli delle cosiddette opere d’ingegno; canzoni, opere, commedie, libri.
Parliamo di questi ultimi.
Innanzi tutto dovete sapere che la cosa più difficile dello scrivere un libro non è tanto scriverlo, quanto intitolarlo.
Il titolo è fondamentale: deve essere facile da ricordarsi, semplice a comprendersi, stuzzicante, divertente, curioso, illuminante.
Quando scrissi per la Rizzoli Lo Stupidario della Maturità ebbi il merito (o il demerito, fate vobis) di consacrare un termine che non solo diede vita ad un’interminale sequela di altri Stupidari riguardanti i più vari argomenti, ma di “ufficializzare” una parola entrata poi a tutti gli effetti nel linguaggio comune (…E mannaggia, potevo brevettarla in esclusiva eh?).
Ma Stupidario l’avevo chiamato sin da quando era solo un immenso fascicolo di appunti miei privati, raccolti in anni e anni di scuola.
E così è stato pertutti i miei altri libri; prima l’idea, poi il titolo, infine la stesura.
Tranne per uno.
Quando, ancora nel secolo scorso, consegnai alla Mondadori un perfetto manoscritto di 190 pagine riguardante le scuse umane, non avevo in mente nessun titolo in particolare e per trovarlo feci più fatica che scriverlo.
Prima pensai a: Tutte scuse!, Caduti in pretesto, L’Inventascuse, L’Acchiappascuse e Il Cercascuse.
Mio fratello propose Scusami, ma…; mio padre Italiani che si scusano o Le scuse degli italiani che si scusano, mentre vicini di casa molto intellettuali mi consigliavano titoli grondanti cultura classica quali Profasìsomai (“Accampare scuse”), De excusatione, opera omnia e Apologia (“La Difesa”), che sarebbe stato perfetto se non ci avesse già pensato quel grafomane di Platone.
Amici poeti mi proposero di inventare un titolo che non c’entrasse un tubo con l’argomento, ma che fosse altamente aulico come Le bianche farfalle dell’Oklahoma.
Mia madre invece, adducendo il fatto che i pretesti e le scuse quasi sempre altro non sono che semplici menzogne, frottole, fandonie, bubbole, fanfaluche, insomma balle o palle che dir si voglia, mi suggerì Il Raccattapalle.
Nel frattempo io sfornavo Il Prontuario dei pretesti, Il Vademecum della giustificazione, L’Enciclopedia della discolpa, Il Galateo delle scuse, T’insegno a scusarti, L’ABC della scusa.
Alla fine scrissi tutti i titoli su dei bigliettini, li infilai in un cappello e feci pescare a caso dall’Editor.
In tal modo ebbi anche l’ottima scusa di non scrivere la solita prefazione del libro (cosa che odio fare) ma di usarla per raccontare questa storia, concludendola così: “Quindi se questo titolo non piacerà, sappiate che non è stata colpa mia, ma del Fato.”
Sono particolarmente assente da qui in questi giorni, troppe cose a cui pensare, risolvere, sbrogliare.
Però la stanchezza da galòp – placido termine che dopoesser finito nelsito Rai grazie a lei , passerà direttamente negli italici dizionari ;-D – svanisce completamente quando mi trovo “abbracciata” da donne dolcissime comeFrancesca, che mi manda splendidi regali; o Enrica, che festeggia il suo bi-blog-compleanno brindando alla nostra amicizia; o Elisabetta, lettrice senza blog, che mi spedisce questa email: Ciao Miti’, mentre digitalizzavo le molte foto della mia vita pre-fotocameradigitale, ho ritrovato questa. Me l’ha scattata mio marito durante il mio primo viaggio a Genova, nel 1998. Eravamo a Moneglia e io leggevo qualcosa dalla sua biblioteca… Non trovi che il mondo sia minuscolo? Sono contenta di averti ritrovata e di leggere il tuo blog, oltre alle tue poesie che ho trovato meravigliose! Baci! eli
Che dire a queste Tesoremie, che un gentilissimo destino mi ha fatto incontrare grazie al blog? Che voglio loro un mondo di bene. Ma proprio tanto, eh? :-**
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