Cose Da Raccontare La Notte Di Halloween: I Luoghi Prediletti Dalle Streghe Italiane

(The Witch’s Dance, 1911)

Il nostro Bel Paese abbonda di Streghe: ecco una rapida carrellata sui luoghi meno conosciuti ove, secondo secolari leggende,  prediligono riunirsi.

Al secondo piano del castello di Cles in Val di Non, sino al secolo scorso tutte le streghe del trentino si radunavano per il Sabba; dopo un esorcismo però se ne andarono seccate, trasferendosi sulla vetta del Roen. Invece pare che le Streghe di Boves (CN) si scatenino in Sabba infernali sul pian Balur .

Coloro che risiedono nei pressi del monte Conero (AN) l’ultimo week end del mese si debbono guardare dai mosconi che ronzano in casa, dagli uccelli neri, dalle gatte troppo affettuose e dalle donne piccole di statura perché sono i travestimenti adottati dalle streghe di tutta Italia le quali, ogni tre venerdì, si radunano in zona per celebrare i loro raduni plenari fatti di orge, riti, fatture e intrighi.

A Ponte di Legno le Streghe amano radunarsi sul monte Tonale dove, dopo essersi fatte insultare un bel po’ dallo Stregone Capo, energumeno estremamente maleducato e dalla vociaccia sguaiata e ringhiante, ricevono in cambio la sua “benedizione”.

Le streghe di Carezza abitano nelle Caverne della Roda di Vael e a ogni plenilunio escono per tenere il bael, un concerto decisamente agghiacciante; poste in semicerchio urlano come pazze sino a che la luna scompare e alla fine lanciano dall’alto delle palle di fuoco che cadono sulle rocce dietro Ciampediè: perciò le creste di quei monti si chiamano zigolades, ossia “bruciacchiate”.

Poco distante da Bagni di Lucca, a mille metri sul mare si trova Pratofiorito, amenissimo luogo pieno di fiori e di erbe ritrovo prediletto di Sabba stregoneschi; lì pure le piante hanno magiche proprietà e il poeta Shelley un giorno vi cadde svenuto a causa dello stranamente intenso profumo di viole.

Ma le Streghe più organizzate professionalmente sono indubbiamente quelle di Domodossola le quali, radunandosi al Pian di Strì sulle falde del monte Gridone, seguono un settimanale calendario sociale dettagliatissimo manco fossero un Club di Soroptimist.

Ecco l’elenco delle loro riunioni notturne:

Lunedì: Streghe che impauriscono i viaggiatori.
Martedì: Megere che insinuano la gelosia tra coppie e seminano grane in famiglia.
Mercoledì: Grande party di Streghe e Stregoni “libertini” sotto forma di capre e caproni.
Giovedì: Streghe specializzate in beveroni abortivi e filtri d’amore.
Venerdì: Capi-Stregoni cerimonieri delegati ad organizzare il grande Sabba del Sabato notte, con sarabanda, danze in costume adamitico, bevande e cotillons sino a quando le campane di Olgia suoneranno l’Ave Maria.

© Mitì Vigliero

Le Burde Dolorose: Il Compianto del Cristo Morto di Nicolò dell’Arca a Bologna

Ne “Le faville del maglio Gabriele D’Annunzio racconta una sera d’autunno, quando da ragazzino entrò col padre in una chiesa a Bologna per ascoltare della musica sacra.

Mentre il padre sedeva su una panca, egli si mise a vagolare nella chiesa fiocamente illuminata e ad un tratto si trovò di fronte qualcosa che lo colpì profondamente:

Intravidi nell’ombra non so che agitazione impetuosa di dolore. Piuttosto che intravedere, mi sembrò esser percosso da un vento di dolore, da un nembo di sciagura, da uno schianto di passione selvaggia.”

Che cosa aveva visto?

Per scoprirlo andate in via Clavature 10 ed entrate nella chiesa Santa Maria della Vita, nome derivato dal fatto che faceva parte di un complesso ospedaliero (Ospedale della Vita) fondato dall’antichissima Confraternita dei Devoti Battuti, flagellanti convinti che il dolore fisico fosse l’unico modo per riportare la pace nel mondo.

All’interno, nella cappella di destra a fianco dell’altar maggiore, vi è un’opera d’arte che la Confraternita commissionò a Nicolò dell’Arca nel 1460: il Compianto del Cristo Morto.

Guardandola si capisce perché l’Imaginifico allora ne rimanesse sconvoltonon è la solita Pietà che raffigura il dolore composto e rassegnato della Vergine e degli amici riuniti attorno al cadavere appena deposto dalla croce.

Non vi è nulla di asceticodivino e silenziosamente solenne in quelle figure in terracotta, a grandezza naturale, che circondano quel cadavere.

Si tratta di veri, semplici esseri umani che dimostrano con gesti e movimenti ed espressioni la disperazione più assoluta che si prova di fronte alla morte di una persona cara.

E’ una rappresentazione universale del dolore; Gesù, la Vergine, Giovanni Apostolo, Giuseppe d’Arimatea e le tre Marie (di Cleofe, di Salonne e la Maddalena) interpretano da secoli la parte di parenti e amici colti nel momento del massimo “dolore furiale”.

Giuseppe in ginocchio, con in mano il martello col quale ha tolto i chiodi che reggevano Cristo alla croce; col volto girato verso chi osserva e lo sguardo che pare chiedere: “Trovi parole, tu?

Giovanni, che col braccio sinistro si cinge la vita e con la mano destra si regge il viso; gli occhi fissi, inebetiti, volti da una parte, come per non guardare quel Corpo che sempre D’Annunzio descrive “supino, rigido, coi piedi incrostati di grumi risecchi trafitti dal chiodo che aveva lasciato uno squarcio aspro, teneva distese le braccia e le mani conserte su l’anguinaia, annerata la faccia, la barba ingrommata”.

Immobilizzati nel dolore gli uomini, al contrario delle quattro donne; la Madre accartocciata su se stessa, piegata da un lato come spezzata, le mani non giunte ma strette a pugno l’una contro l’altra, il viso straziato. Maria di Salonne al suo fianco pare lanciare urla soffocate, piantandosi le unghie nelle cosce tentando di trattenere l’esplosione  del dolore.  Maria di Cleofe tende le mani come per nascondere alla vista quella morte; le vesti agitate dal vento, sembra tremare.

Ma la più sconvolgente è Maddalena; un’ossessa che arriva di corsa (“Puoi tu immaginare nel mezzo della tragedia cristiana l’irruzione dell’Erinni?”) scomposta nella veste svolazzante, il viso deformato dalla bocca spalancata in un lacerante “urlo impietrato”, gli occhi bassi a guardare il corpo, gonfi e pieni di lacrime.

Oggi quel gruppo scultoreo è considerato uno dei più belli della nostra Storia dell’Arte (quiqui e qui tre video che mostrano l’opera nei dettagli), eppure dal 1600 in poi gli Amministratori dell’Ospedale della Vita lo rifiutarono, dicendo che spaventava gli ammalati e lo nascosero in una nicchia. Ad un certo punto finì addirittura all’aperto, nei pressi del mercato.

Da lì nacque il soprannome crudele affibbiato dal popolo bolognese alle Marie disperate: le Burde (streghe).

E se i bambini facevano i capricci, le mamme minacciavano: “Guarda che ti porto dalle Burde!”

© Mitì Vigliero

 

Toccaferro in Pillole – Noce e Noci: Sesso, Streghe e Soldi

Nella Roma del tempo di Catullo le noci, grazie alla loro forma che ricorda anatomici attributi maschili, simboleggiavano virilità e forza proliferatrice (infatti erano dette Jovis glans, le “ghiande di Giove”) ed erano considerate afrodisiache, tanto che durante i banchetti di nozze venivano distribuite come oggi i confetti, da consumare con apposite focaccine: per questo si dice “Pane e noci, mangiare da sposi”.

Nel Medioevo invece, forse per punizione della sensuale nomea, il noce venne ritenuto il pericoloso “albero della notte“, sotto le cui fronde si radunavano spiriti maligni di ogni tipo;  famoso era  il “Noce di Benevento” ove si diceva che la vigilia della festa del Battista (24 giugno) si radunassero tutte le streghe italiane per un Sabba infernale.

E per colpa di quelle cattive compagnie, in Sicilia si pensa che dormire sotto un noce  faccia risvegliare storpi; in Calabria con l’emicrania, nelle Marche con la febbre.

In realtà l’unico pericolo possono essere i fulmini; è un albero talmente bello, alto e maestoso, che spesso purtroppo li attira.

Invece i frutti di questo meraviglioso albero sono sempre di buon augurio: l’unico avvertimento è mangiarne pochi – sono ipernutrienti e possono risultare pesanti – e sempre in numero dispari.

Tre noci mangiate a Capodanno mentre scocca la mezzanotte portano ricchezze; mescolate ad altri cibi infondono coraggio in ogni campo e il liquore ottenuto dai malli, il celeberrimo nocino, avrà virtù magiche solo però se le noci saranno state raccolte tra il 23 e il 24 di giugno, giorni dedicati a San Giovanni.

In Liguria le noci sono simbolo di prosperità e benessere economico tanto che le mance e le gratifiche date a Natale venivano dette “dinâ da nöxe“, denaro della noce

© Mitì Vigliero

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