10 anni di Placido Blog. E la voglia di ricominciare.

webcamIl 23 marzo del 2004 aprivo Placida Signora.

Sono passati 10 anni da quella data; eppure la ricordo come fosse ieri.

Da qualche mese questo blog è “in sonno”; i motivi sono tanti, ma soprattutto è il tempo che mi manca. E poi la lieve, sottile paura di fare, riaprendolo, una fatica inutile che servirebbe forse solo a qualcuno per scopiazzare e imitare i miei testi, le mie storie e il placido stile. E anche l’impressione netta che i vari Social Network (che pur amo e frequento molto), abbiano cambiato definitivamente il modo di raccontare e recepire idee e notizie; la rapidità, l’immediatezza di un Twitter ad esempio è assai diversa dalla pacatezza lenta e “introspettiva” che caratterizzava questo blog.    

Però… però la voglia di tornare è tanta; tante sono le cose che vorrei raccontarvi. Tante le storie strane e belle di Genova e di altre città italiane. Tante le curiosità antiche che vorrei condividere con voi, tante le ricette di cucina, tante le cose buffe, tante le riflessioni e i pensieri che in 140 caratteri non stanno…

E poi voi mi mancate troppo!

Guardando via webcam, come sempre da 10 anni, il tramonto di stasera, ho così deciso che sì, tornerò. Magari non tutti i santi giorni, magari con testi a volte brevi, magari soltanto con una piccola segnalazione di qualcosa di bello però sì, tornerò.

E que sera sera.

 

 

Il Tempo e la Fretta: Proverbi e Modi di Dire

In questa vita frenetica si perde spesso il senso del tempo; nessuno ha più tempo da perdere, persino i sentimenti come l’amore e l’amicizia sono presi in considerazione spesso solo nei ritagli di tempo e la bella arte di ingannare il tempo nei momenti d’ozio è quasi dimenticata, così come il rammentare che in realtà non è la gente che ammazza il tempo, ma il tempo che ammazza la gente.

Il tempo stringe! pare esser divenuto il nostro motto di vita; perché il tempo vola, il tempo fugge e come la vita   non s’arresta un’ora: ma soprattutto il tempo è denaro.

Perciò bisogna agire perennemente senza por tempo al mezzo, dato che son tempi buitempi duri occorre sempre produrre idee e cose che non lascino il tempo che trovano e che soprattutto siano innovative e non ricordino per nulla quelle che ormai han fatto il loro tempo.

Noi possiamo fare mille progetti, ma da cosa nasce cosa, però è il tempo che la governa; e purtroppo non è soltanto una lotta contro il tempo quella che quotidianamente conduciamo, barcamenandoci in fretta e furia fra orari e scadenze, ma anche una battaglia spesso persa in anticipo verso quelli che fanno il bello e il cattivo tempo in ogni ambiente, sentendosi onnipotenti come Giove Pluvio quando ci impongono tempestando ordini e volontà spesso capricciose o interessate ai fatti loro più che ai nostri.

Nessuno pare ricordare più che il tempo è relativo; cinque minuti passati sotto il trapano del dentista sembrano due ore, e due ore passate insieme alla persona amata sembrano durare cinque minuti.

Tutto, più che eterno, ora ci pare estremamente fugace; chi ha tempo non aspetti tempo, bisogna cogliere l’attimo, perché il momento fuggito più non torna.

Si ha un bel dire che col tempo la lumaca arriva dove vuole; la verità è che si ha sempre l’impressione che tutte le ore feriscono e l’ultima uccida.
Dato che il tempo cammina con le scarpe di lana non si sentono i suoi passi e il tempo perduto mai non si riacquista; ha una tale forza, il tempo, che consuma le pietre, figuriamoci gli uomini fatti di fragili ossa e ciccia.

E pensare che quando eravamo meno civilizzati, al tempo dei tempi, nell’Ecclesiaste (3, 1-8) venne scritto uno dei brani più belli al riguardo:

Per tutto c’è un momento e un tempo per ogni azione sotto il sole. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sbarbare il piantato. C’è un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire. C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. C’è un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per separarsi. C’è un tempo per guadagnare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttare via. C’è un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. C’è un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

Insomma, dato che ogni cosa ha il suo tempo, ricordiamoci sempre di fermarci a tirare ogni tanto il fiato, senza sentirci assolutamente in colpa.

(Da che pulpito, eh? ;-)

©Mitì Vigliero

Come Ti Battezzo il Pupo: i nomi di battesimo come specchio della società e della cultura del periodo in cui si nasce

nomi

(prima cliccate qui: Massimo Troisi – Ricomincio da tre – Massimiliano, Ugo o Ciro)

Tel AvivUna coppia di israeliani ha chiamato la loro figlia Like (“mi piace”, in italiano), in omaggio al noto social network Facebook. Lior Adler, 37 anni, e sua moglie Vardit, 35 anni, di Hod Hasharon, vicino Tel Aviv, sono entrambi “devoti” al sito di Mark Zuckerberg, tanto da chiamare la loro bambina come il nome della funzione ben nota” (qui tutto l’articolo comparso sul Secolo XIX) (E qui un altro esempio del dicembre 2012)(E qui un altro dell’agosto 2015)

Perché i nomi di battesimo sono lo specchio della società e della cultura del periodo in cui uno nasce: quelli che si chiamano Rachele Adolfo non potranno mai nascondere la loro età, così come i vari Palmiro/a, LeninNikita.

Anche la moglie di Cuccia fu vittima dell’amore politico del padre che la nomò Idea Socialista; poi lui, durante il fascismo, cambiò opinione, ma a lei il nome rimase, anche se politicamente equilibrato dal cognome: Beneduce.

In compenso ora, se nessuno per fortuna si sogna di chiamare una figlia Forzitàla, Radicala,  Piddina, Udicina o Quintastella, tra i musulmani residenti in Italia continuano a nascere parecchi Osama.

Pare che, talvolta, i novelli mamma e papà ritornino ai nomi dei nonni; ma forse a causa delle famiglie allargate, per non fare torti a nessuno dei nonni in esubero, ci ritroviamo oggi – elenco del telefono alla mano – con un Gianantonandrea Sassari e una RinapiannaRoma.

Però basta sempre sfogliare gli elenchi telefonici di qualunque città per rendersi conto che i nomi dei nostri concittadini sono in generale ancora un po’ particolari

Secoli fa la gente chiamava i figli come diavolo le pareva; ciò spiega la presenza di nomi romantici come Caligola, Spurio, Baleatico, Poppilla, Cazzutoro o Cangrande; ma col Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa mise dei vincoli, stabilendo per legge che ai neonati dovessero essere dati esclusivamente nomi di Santi, personaggi dell’Antico Testamento o comunque ispirati alla religione cristiana.

Da qui i vari Natalina, Pasquale, Salvatore, Assunta, Quaresimina, RosarioResurrezione.

Ma dal ’700 in poi, mossi da smanie rivoluzionarie, molti genitori si ribellarono alla legge clericale raggiungendo spesso nella scelta dei nomi livelli di lieve follia, abitudine che continuò soprattutto in Emilia Romagna, terra anarco-socialista per eccellenza; sino al 1950 era facile trovare pargoli col ciuccio che si chiamavano Ribèllo, Ateo, Collettivo, Comunarda Molotov.

Un operaio di Rimini, a cui il padre aveva imposto il nome Sciopero, forse per vendetta volle continuare la tradizione sui suoi 3 figli chiamandoli Scintilla, Ordigno, Avanti, ed Emilia Libera era il nome di una matura brigatista della prima ora.

I genitori clericali rispondevano a queste provocazioni battezzando la prole Santafede, Crocifissa, Confessione, Chirieleison, Litania, Dedeo, Diesire (dies irae), Pronobi (ora pro nobis) e Purif, mite casalinga di Massalombarda degli anni 70, che doveva il nome a una ricorrenza segnata su tutti i calendari: “Purif.(purificazione) di Maria Vergine“.

La passione per la letteratura ha ispirato molti genitori del modenese facendo loro chiamare i bimbi annate 1950-60 Athos, Portos, Aramis; e la S finale ha preso la mano una trentina d’anni fa creando, sempre in zona emiliano-romagnola,  Amos, Neris, Nolis, Manes Meris.

A Bologna c’è il signor Foscolo Maria mentre a Ferrara vi sono due fratelli fabbricati da due scatenati fans di Sir Conan Doyle, che si nomano rispettivamente Holms Uotzon (sic).
Sempre in Emilia la passione per l’opera lirica ha prodotto moltissimi Aida, Gioconda, Azucena, Violetta, Falstaff, Otello, Radames, mentre in casa di Giovannino Guareschi lavorava una colf che si chiamava Luisamiller.

Se non sono storia e arte a suggerire nomi per bambini, ci pensano sport, cinema e tv.

Solo nel giugno 1984 a Napoli, quando era ancora incerto l’ingaggio di Maradona, furono ben 118 i neonati che vennero chiamati DiegoDiego Armando, così come molti furono i bimbi battezzati nell’estate ’82 PabloPablito, in omaggio all’eroe di quei Mondiali,  Paolo Rossi: in compenso a Genova c’è una ragazza che si chiama Doriana, che potrebbe essere nome normale se non fosse il diminutivo di Sampdoriana.

Indubbiamente nate intorno agli anni ’70 tutte le Sabina (in omaggio alla Ciuffini del Rischiatutto), così come Lara furoreggiò dal 1966 alla fine degli anni ’70 a causa della celebre colonna sonora del Dottor Zivago, mentre la maggioranza delle Sabrine è annata 1954, grazie all’omonimo film con Audrey Hepburn: in compenso, per la sindrome da rotocalco, nel cosentino oggi c’è una ragazza che si chiama Ledidiana (sic).

Le telenovele nell’ultimo quarantennio rimpinzarono i nostri asili di Dilan, Gessica, Geiar, Geson (sic, sic, sicsic), Suellen (ri-sic, spesso italianizzato in Suella) e Samantha.

Talvolta a peggiorar le cose si aggiungeva l’accento regionale di chi andava a registrare in neonato in municipio.

Ciò spiega ad esempio perché nelle Marche, dove la pronuncia è un po’ dura (Lugìa, gampagna ecc) vi siano ragazze nomate Samanda, o che a Monterotondo (Rm) una leggiadra Ortensia sia diventata Ortenza.

E se la smania dell’esotico ha  creato, soprattutto nelle famiglie VIPmonster quali Jacaranda, Bramina, Volmer, Siron, Aliosha, OceanoCocis, in Sardegna anni fa, causa la caratteristica di alcuni cognomi tipici del loco, si diffuse la moda di creare nomi hollywoodiani; e così, come in una barzelletta, oggi possiamo trovare Sofia Loriga, Alain Delogu, Bruce Ligas e Demi Murgia.

Lo storiografo Thomas Carlyle diceva “dare il nome a qualcuno è in realtà un’arte“; certo occorre molta ispirazione per chiamare un indifeso neonato Canzianilla, Amelberga, Osmundo, Volusiana, Eroteide, Godeardo, Eliconide, Valdetrude, Olibrio, Filigonio (tutti nel bolognese) o Ademara, Serrana, Ardelio, Foresto, Argene, Dardaco e Drusiana (Toscana).

Biella c’è un signor Edile; a Bologna Manilio, Manlisco, Divo; a Reggio Emilia Arto (papà ortopedico?); a Forlì Decio, Norcio, Edel e, giuro, i fratelli SalitoDisceso. A Ferrara Araldo Anronio (questo forse risultato della pessima scrittura dell’addetto comunale che fece decifrar male un innocuo Antonio); a Recanati EuticchioMarchiano, come un errore (gravidanza indesiderata?).

A Roma ho trovato un Esubero (figlio probilmente di un’esasperata pluripara) e una Eclide; a Napoli un Principio, a Barletta una Sterpeta e a Padova una signora Ema, sperando non sia un diminutivo, strumento che è stato utilissimo ad esempio alla giornalista Gruber per celare sotto il vezzoso Lilly un teutonicissimo Dietlinde; all’ex signorina buonasera Aba Cercato un coloniale Addis Abeba e infine a Nilla Pizzi un allegro Adionilla.

© Mitì Vigliero

(ora ascoltate la colonna sonora Offlaga Disco Pax – Onomastica)

Ne avete altri da segnalare per continuare la collezione?