Vi Racconto La Storia Di Una Femminista Femminile Del XV Secolo: Nicolosa Castellani Sanuti

bologna1400

Bologna, in via D’Azeglio 31, si trova il bel palazzo Sanuti (ora Bevilacqua); lì nel XV secolo visse Nicolosa Castellani, bella e colta moglie del primo conte di Porretta Nicolò Sanuti, nonché da anni amante ufficiale del signore della città e della provincia tutta, Sante Bentivoglio.

La dama passò alla storia per aver contestato pubblicamente nel 1453 il bando“suntuario” del Cardinale di Bologna, Bessarione, che poneva un freno “alla soverchia ambizione delle donne” riguardo alla moda dell’abbigliamento.

1400 vestiti2

Ad esempio gli strascichi dei vestiti non dovevano superare i “due terzi di braccio” per le mogli e le figlie dei militi, mezzo braccio per quelle dei nobili e dei dottori, un terzo per quelle di operai, artigiani e contadini.

Erano inoltre vietate le stoffe intessute d’oro e d’argento, limitato il numero pro capite di abiti di lusso in velluto cremisi o in broccato, le fodere d’ermellino e così via.

1400 vestiti1

Nicolosa scrisse al cardinale una lettera in latino, nella quale con retorica e umanistica veemenza, lo accusava di non voler tener conto della grandezza delle donne che discendono tutte da Saffo, Artemisia, Cornelia ecc; di voler fomentare liti e discordie nelle famiglie; di obbligare le bolognesi ad esser inferiori alle consorelle d’altre italiche città e concludeva dicendo: 
Poiché si vieta alle donne di entrare nelle magistrature, nella milizia, nel sacerdozio, queste non tollerano che loro siano tolti anche gli abbigliamenti simbolo della loro femminilità”.

1400

A Nicolosa rispose Matteo Bosso, giovane canonico veronese, il quale innanzitutto disse che non credeva che l’orazione fosse stata partorita da una dama notoriamente “pudica, onesta e casta” quale la Nicolosa, bensì da qualche dotto maschio nemico dei padri di famiglia e della Chiesa.

Poi, dopo aver confutato una a una le virtù delle celebri antiche femmine citate, concluse dicendo che la moderazione nell’abbigliamento avrebbe salvaguardato l’economia domestica ed evitato invidiose ed ambiziose guerre di sfarzo fra le bolognesi.

In realtà Nicolosa temeva soprattutto che simili restrizioni l’avrebbero resa meno fascinosa agli occhi del Sante Bentivoglio il quale, non certo per questo motivo ma per diplomazia politica, nel 1454 sposò Ginevra Sforza e, alla faccia del bando cardinalesco, organizzò un lussuoso corteo di matrimonio composto da ben 634 coppie di nobili con le dame vestite sfarzosissimamente di broccati e velluti intessuti d’oro argento ed ermellini, nonché dai chilometrici strascichi.

1400 vestiti

Il corteo si diresse a San Petronio per il rito, ma trovò la porta sbarrata. 
Deviò allora in via degli Orefici ove nella Chiesa di San Giacomo ebbe a disposizione dei frati disposti a celebrare le nozze. 
Ma il Cardinale sospese a divinis quei frati, e scomunicò tutte le dame del corteo.

Tutte tranne Nicolosa, che furiosa e ferita nel suo orgoglio d’amante tradita, non solo non prese parte alla cerimonia nuziale ma scrisse un’altra pubblica lettera, stavolta in italiano, nella quale si dichiarava pentita e pure un po’ stupida – “Oymé che pur testè riconosco la mia gran soccheçça (sciocchezza, ndr), la mia bestialità…”- per aver dato tanta importanza ai vacui, ma soprattutto “vani” ornamenti femminili.

© Mitì Vigliero

Goliardi e Sport: Un Vendicativo Scherzo Alle Olimpiadi Universitarie Di 42 Anni Fa

In queste notti insonni causa caldo e stress, leggo e soprattutto rileggo libri divertenti e  poco impegnativi.

Ora sul comodino ho Bacco, Tabacco e Venere. Usi, costumi, vita, tradizioni, scherzi e mattane della goliardia italiana  (di Franco Cristofori, ed. SugarCo, 1976).

In omaggio a questi giorni di Olimpiadi londinesi,   vi racconto in poche parole un episodio ambientato a Torino durante le Universiadi del 1970.

I numerosissimi Goliardi che avevano lavorato come buoi – e completamente a gratis – durante i preparativi della manifestazione sportiva, chiesero di avere almeno un riconoscimento sotto forma di tessere omaggio che permettessero loro di assistere a tutte le gare.

Ma l’ingrato Presidente della Fidal ne mise a disposizione solo 10, dicendo che di tessere omaggio ne erano state già distribuite sin troppe.

I Goliardi allora meditarono vendetta tremenda vendetta.

Poiché filavano in perfetto accordo con tutte le giovani e carine segretarie dell’Organizzazione, non faticarono a “trovare” 100 tessere di libero ingresso ovviamente vidimate, ma ancora da compilare con gli accrediti.

Riempirle con nomi e cognomi attendibili però sarebbe stato troppo serio e logico; e così vennero compilate in tal modo:

Alighieri Dante, Comitato Olimpionico. Incarico: Cronista.
D’Arco Giovanna, Servizi Tecnici. Incarico: Riscaldamento.
Monti Vincenzo, Comitato Olimpico. Incarico: Traduttore d.t.d.o. (dei traduttor d’Omero).
Verdi Giuseppe, Servizi Tecnici. Incarico: Capobanda.
Volta Alessandro, Servizi Tecnici. Incarico: Enel.
Leopardi Giacomo, Servizio Stampa. Incarico: Corrispondente della “Voce Adriatica”.
Marconi Guglielmo, Servizi Tecnici Sanità. Incarico: Radiologo.
E così via.

Riuscirono tutti ad entrare, giusto in tempo per cantare l’inno ufficiale: Gaudeamus Igitur.

Il giorno dopo, sulle pagine sportive de La Stampa si poteva leggere:

“All’ingresso si sono presentati insieme Mao Tse Tungredattore di “Pechino Sera”, e Richard Nixon, Ufficio Legale. Un usciere ha fatto storie perché “ufficio” era scritto con una sola effe; nel fattempo però entrava tranquillamente uno con un tesserino che recava la scritta Nembo KidRecordman.”

© Mitì Vigliero

Perché si dice “Agosto Moglie Mia Non Ti Conosco”, “Canicola” e “Mettere Le Corna/Essere Cornuto”

“Agosto moglie mia non ti conosco” è forse uno dei proverbi italiani più strani e buffi che esistano.

Deriva dall’antica credenza che per gli uomini fosse estremamente dannoso per la salute avere rapporti sessuali con temperature elevate.

Ma era cosa difficilina evitarli perché, come scriveva Esiodo, l’astro di Sirio proprio ad agosto accentuava il languore passionale delle donne: per colpa della “Canicula” (altro nome di Sirio, stella più grande della costellazione del Cane Maggiore) in agosto “le donne son tutte calore e gli uomini tutti fiacchezza”.

Altra spiegazione indubbiamente più logica era quella che, rimanendo gravide in questo mese, le donne avrebbero partorito a maggio, mese inderogabilmente dedicato alla semina e ai lavori nei campi; faticose manovre nelle quali le “braccia” di tutti, anche quelle femminili, erano estremamente necessarie e una partoriente al nono mese o una novella puerpera non avrebbero di sicuro avuto la forza di svolgerli.

Nel corso dei secoli, e col variare delle abitudini e dei costumi, il proverbio ha preso un altro significato ancora; poiché le mogli andavano spesso in vacanza da sole coi figli, i mariti -rimasti da soli in città a lavorare- avevano più occasioni d’intrecciare extraconiugali avventure galanti.

Ma in nome della parità dei sessi la cosa era spesso ricambiata, visto che i treni carichi di mariti che arrivavano il venerdì sera dalle città nelle località delle Riviere dove le mogli erano in vacanza, dagli anni ‘20 sino ai ‘70 del secolo scorso venivano affettuosamente chiamati “i treni dei cornuti”.

Ma lo sapete perché si dice “Essere un cornuto?

Anche se a noi oggi può sembrare incredibile, nell’antichità le corna erano originariamente simbolo di forza, coraggio, ardore e virilità.

Per questo molte divinità e molti personaggi potenti venivano rappresentati – in quadri, statue e affreschi – cornuti, ossia dotati di un bel paio di corna più o meno grandi sulla fronte.

Orazio e Tibullo cantarono le “corna d’oro” del dio Bacco, molti re di Macedonia, Siria e Tracia ornavano i loro diademi oppure, nel caso dei sovrani guerrieri Alessandro e Pirro,  i loro elmi di corna. 

E allora perché ad un tratto l’epiteto “cornuto” divenne un insulto?

Tutta colpa dell’imperatore bizantino Andronico I Comneno, nato nel 1120; un tipaccio violento, sanguinario, esperto in congiure e grande sciupafemmine.

I suoi lo detestavano, sia perché non faceva che tramare contro l’Impero di famiglia maneggiando con nemici storici quali Ucraini e Sultani di Damasco, sia perché riusciva a portarsi a letto ogni donna di parente altrui, cognata o cugina che fosse.

L’Imperatore Manuele, suo cugino, prima lo schiaffò in prigione per nove anni poi, per toglierselo dai piedi, lo esiliò nominandolo governatore della Cilicia.

Qui Andronico si annoiava a morte, così piantò moglie legittima e tre figli e andò ad Antiochia dove sedusse la principessa Filippa di Poitiers.

Ma si stancò presto della relazione; così la mollò, fece un salto a San Giovanni d’Acri, rapì la regina Teodora vedova di re Baldovino III e la portò prima a Damasco poi in Georgia sul Mar Nero e infine di nuovo a Costantinopoli dove, furbone, fece pace con Manuele, vecchio e malato.

Quando questo morì ottenne la tutela del figlio di lui, l’imperatore Alessio II; stette calmìno per due anni poi, con una solita congiura, lo strangolò, ne prese il posto e, già che c’era, cacciò via Teodora e i due figli avuti da lei,  impalmando la giovanissima vedova di Alessio, Agnese di Francia.

E ora arriviamo finalmente alle corna.

Una volta preso il potere, dal 1183 al 1185 Andronico Comneno si abbandonò a una serie interminabile di nefandezze.

Mentre blandiva il popolo con trovate demagogiche e populiste, si accaniva sui nobili di Costantinopoli e città vicine, soprattutto su quelli che lo avevano sempre avversato.

Li faceva arrestare per un motivo qualsiasi, rapiva le loro mogli tenendosele come concubine e sollazzandosi con esse sino a quando gli andava; poi, come sommo scherno, faceva appendere sulle facciate dei palazzi dei poveretti delle simboliche e beffarde teste di cervi e altri animali naturalmente cornuti da lui abbattuti a caccia.

Fu allora, e precisamente nel 1185, che nacque in Grecia il modo di dire “cherata poiein”, mettere le corna, per indicare il pubblico ”infortunio” coniugale subìto dai mariti sudditi di Andronico.

Il 24 agosto di quell’anno i soldati dell’esercito siciliano di re Guglielmo II il Normanno conquistarono Salonicco, e rimasero stupitissimi nel vedere decine e decine di palazzi decorati con teschi di animali muniti di corna; quando ne conobbero il motivo, fecero conoscere l’epiteto “cornuto” anche in Sicilia , da dove si diffuse in tutta Italia prima e in tutta Europa poi.

che fine fece Andronico Comneno il Cornificatore?

Quando l’11 settembre giunse a Costantinopoli la notizia della caduta di Salonicco, il popolo – cornuti in testa – si ribellò; l’Imperatore venne catturato, mostruosamente seviziato e – proprio come uno dei suoi macabri trofei – appeso per un piede alla facciata del suo Palazzo.

© Mitì Vigliero