Per alcuni arrivano dall’India o della Cina, nate come semplificazione del gioco degli scacchi; infatti nelle carte sono presenti quasi tutti i simboli della “battaglia” scacchistica: Re, Regina, Fante (Alfiere), Asso (Torre e Cavallo), mentre tutte le altre sono i “soldati”, ossia le “pedine”.
Altri affermano che siano state introdotte in Europa dagli zingari che le usavano, oltre che per giochi, per predizioni; per altri ancora, ed è forse la teoria più esatta, le carte hanno origine dagli arabi naib, giochi istruttivi per bambini.
Infatti è certo che le carte da gioco vere e proprie vennero fatte conoscere dagli arabi agli spagnoli (per i quali si chiamano ancora naipes) nella metà del XIV sec. e una cronaca conservata negli archivi di Viterbo, recante la data del 1379, attesta che in quell’anno le carte giunsero a Viterbo portate dai Saraceni, mentre un altro documento fiorentino della stessa epoca cita il gioco dei naibi, definendolo “novello”.
In Europa ebbero un immediato successo, soprattutto in Germania, Belgio e Francia, perché comode da portarsi appresso, maneggevoli, divertenti e stimolatrici di innumerevoli giochi.
All’inizio variavano da paese a paese.
Sino al 1500, le tedesche erano molto grandi e al posto dei semi vi erano raffigurati animali e fiori; nel 1400 a Colonia vennero stampate delle curiose carte rotonde, decorate con scene e personaggi legati alla caccia; vi era il Re di Falco, la Dama di Lepre, il Valletto (Fante) di Fagiano, l’Asso del Tordo e così via.
D’invenzione sicuramente italiana, risalente alla fine del 1300, furono invece i Tarocchi, la cui iconografia simbolica venne attinta dalle figure che ornano la cappella Bolognini in San Petronio a Bologna.
Una curiosità; pur variando come tipi e numero, i simboli erano sempre quattro; erano l’emblema dei quattro ceti sociali più importanti nel Medioevo europeo: denari o melograni rappresentavano i mercanti, le coppe il clero, i bastoni i contadini, le spade e le scimitarre i militari.
Le carte più simili alle nostre moderne furono quelle francesi del 1400; in numero di 52, divise in quattro serie e quattro simboli: cuori, quadri, fiori (o trifoglio), picche.
E dal ‘700 furono così ovunque.
Trattandosi di un gioco comunissimo, divennero il riflesso delle caratteristiche storiche e sociali dell’epoca in cui venivano pubblicate: nacquero carte satiriche, come quelle francesi del XVI secolo in cui il Re Enrico III si fa aria col ventaglio mentre l’autoritaria Regina brandisce lo scettro.
Durante la Rivoluzione francese, dalle carte furono bandite le aborrite figure reali e cambiati i significati dei semi: il Re venne sostituito da un uomo col berretto frigio, chiamato Genio della Guerra (spade), del Commercio (denari), della Pace (coppe) e delle Arti (fiori).
Le quattro Regine divennero quattro Libertà: di Professione, Matrimonio, Stampa e Culto.
I Fanti a loro volta vennero cambiati in Uguaglianze: di Classe, Condizioni, Doveri e Diritti.
Retorica pomposa, comune a tutti i regimi illiberali, perciò identica a quella che caratterizza le carte dell’era napoleonica, in cui ovviamente il Re aveva sempre la faccia del Bonaparte dipinto dal David; per una strana forma di nemesi, furono proprio le carte le uniche compagne di Napoleone nell’esilio di Sant’Elena: non per nulla uno dei più celebri solitari fu inventato proprio da lui.