Quando si pensa al cinema italiano, una delle prime cose che vengono alla mente è Cinecittà, immensa fabbrica del fasullo, e soprattutto grandiosa fiera dello scenario ricostruito; ma nel Lazio esistono molti luoghi che da sempre sono serviti da set naturale – e a volte anche improbabile – di film che per ambientazione dovevano trovarsi in posti lontani migliaia di km dall’Italia.
Ad esempio Ladispoli; i suoi boschi e la spiaggia di Borgo di Palo nel 1953 si travestirono da Maracaibo e Isola di Tortuga per ospitare le gesta di “Jolanda la figlia del Corsaro Nero” diretto da Mario Soldati: nel 1966 gli stessi luoghi – soprattutto quelli attorno alla Torre Flavia – si tramutarono nel Paradiso Terrestre de “LaBibbia” di John Huston.
Il passeggere che nell’Oasi di Ninfa (Latina) passando vicino al Lago di Foglianospesso aveva visioni di truppe di Scipione l’Africano, o di polinesiani di Bora Bora o di Tigrotti della Malesia; e della cosa poteva anche non stupirsi più di tanto vedendo il paesaggio sabbioso e pieno di palme.
Qualche dubbio però poté nascergli nel 1960 quando Luchino Visconti, causa dissapori con le amministrazioni pubbliche lombarde che gli avevano negato dei permessi di ripresa per “Rocco e i suoi fratelli”, proprio a Fogliano spianò le dune sabbiose, eliminò le palme e piantò un grande cartello con su scritto “Idroscalo di Milano”.
A Grottarossa sulla via Flaminia, dove ora si trova il mega Centro Tecnico della Rai, il paesaggio ameno dato da una cava abbandonata di pozzolana e da una specie di pozzanghera stagnante e puteolente che si crede una succursale della palude dello Stige, negli anni ‘70 è stato scenario perfetto per dozzine di film dell’orrore brulicanti morti viventi, mummie, fantasmi e vampiri.
In Brancaleone alle crociate, Gasmann sbarcava sulle rive del Lago di Bracciano; i protagonisi di Tre uomini e una gamba nuotavano nel Laghetto di Vulci.
Ma di sicuro uno dei luoghi più utilizzati come “fondale” di film di ogni genere è la zona di Mazzano Romano, nel Parco Regionale della Valle del Treja; ogni volta che in un film italiano si vedono un bosco, un laghetto e tre piccole cascatelle che vi cadono dentro, si è certi che si tratti delle cascate di Montegelato.
Il primo ad usarle come set pare sia stato nel 1950Roberto Rossellini in “Francesco giullare di Dio”; ma le cascatelle compaiono spessissimo, ad esempio in “Per grazia ricevuta” con Manfredi, in “Sogni mostruosamente proibiti” con Villaggio, in “Per qualche dollaro in più” di Sergio Leone e in decine di western all’italiana anni ’60 oltre che in dozzine di film erotici.
E sono presenti in innumerevoli film mitologici e storici (in quelle acque si sono bagnati dozzine di Sigfridi, Lancillotti, Maghi Merlini, Tarzan, Veneri e Macisti) oltre che in quelli di Bud Spencer e Terence Hill, che di solito ci finivano dentro scazzottandosi.
Le troviamo persino in “Storia di una capinera” di Zeffirelli, quando la protagonista invitata dal padre a fare una passeggiatina intorno alle falde dell’Etna, passin passetto arriva alle tre cascate laziali pullulanti ragazzini siculi che fanno il bagno nudi: magìe del cinema.
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