Da Partula a Santa Pupa: Antiche Divinità Protettrici Dei Bambini

incisione di Bartolomeo Pinelli

Gioacchino Belli, padre d’un bimbo vivacissimo, scrisse un sonetto dedicato a “Santa Pupa”, la figura popolare protettrice dei bambini:

Santa Pupa è una santa che davero
Je peseno, pe cristo, li cojoni;
E appett’a lei tanti santi barboni
Nun zò, Terresa, da contalli un zero.
Va a dì a li fiji tui che ssino boni!
Lo so io co li mii si me dispero,
E me spormòno er zanto giorno intiero:
Senza de lei Dio sa li cascatoni!
Eppuro, a sta gran zanta, poverella,
Je vedi mai una cannela accesa? 
J’opre gnissuno un bucio de cappella
?

santa pupa Museo di Roma in Trastevere

(Santa Pupa) 

In realtà Santa Pupa radunava in sé tutte quelle divinità minori che gli antichi romani invocavano per i loro figli sin dalla nascita.

Al momento del parto, che avveniva sotto la direzione generale di Partula (identificabile in origine con la Parca Cloto), si pregava la dea Lucina che portava i neonati “alla luce”; altro suo nome era Candelìfera, alla quale s’accendeva una candela votiva.

Sia Partula che Lucina, con l’avvento del Cristianesimo, furono sostituite da Sant’Anna: il rito della candela accesa di fronte all’immagine della madre della Madonna è ancora vivo in molte regioni dell’Italia rurale.

Appena nato il bebè, era fondamentale l’immediato intervento del dio Vagitano, colui che gli faceva lanciare il primo vagito/strillo il quale, mettendo in moto i polmoni, gli permetteva di respirare.

Se il bimbo era inappetente s’invocava la dea Edusa (da “edo”, mangiare); per il bere c’era invece Potina (“poto”, bere), la quale badava che non si strozzasse deglutendo.

La dea Cuba (“cubo”, dormire) o Cunina (“cuna”, culla) veniva inondata di suppliche se il pargolo con la sua insonnia rendeva insonni gli altri, e nello stesso tempo vegliava sui suoi sogni cacciando gli Incubi.

Se Pavenzia (“paveo”, temere) l’aiutava a superare gli spaventi improvvisi, Carda ne proteggeva il fisico e il cuore, Stimula ne affinava i sensi mentre Sentia (“sentio”, pensare) si occupava dei suoi ragionamenti, curandone il raziocinio e la prima consapevolezza, insegnandogli pian piano a diventare indipendente.

L’evoluzione dalla lallazione – ossia dal balbettìo di sillabe ripetute dal neonato senza però formulare parole complete e sensate – al linguaggio parlato vero e proprio, avveniva sotto la protezione del dio Fabulinus (“fabulor”, chiacchierare).

Invece il passaggio dal gattonare all’avanzar traballando e precipitando col popò a terra ogni due passi, sino ad arrivare al camminare eretto aveva come nume tutelare il dio Statulino (“stare”, essere fermo in piedi).

Sotto l’egida della dea Iuventas, divinità del passaggio dall’infanzia all’adolescenza contrassegnata dal primo apparire dei pelini sul volto, per i maschietti era Barbatus; per le femminucce al primo menarca invece c’era Dria, dea della pudicizia.

Da quel momento i pupi, diventati grandicelli, iniziavano a uscire di casa da soli; in quel caso mamma e papà si mettevano a invocare la protezione della dea Abeona (“abeo”, vado), mentre chi li guidava riconducendoli sani e salvi al paterno ostello era Adeona (“adeo”, torno”).

Contemporaneamente a ciò i genitori iniziavano – e lo fanno sempre, da millenni – a implorare un’altra divinità che sarebbe da allora diventata, stavolta per loro, sempre più indispensabile: Santa Pazienza.

© Mitì Vigliero

Nomi e Onomastici: Anna, 26 luglio

E’ un nome che amo moltissimo, perché era quello di mia madre; così come amo questo meraviglioso dipinto di Leonardo da Vinci: Anna che tiene seduta in braccio la figlia Maria che a sua volta stringe suo Figlio.

Un’immagine speciale del rapporto che unisce le madri alle figlie; figlie che, per le mamme, il più delle volte  restano le loro  “bambine” per sempre, qualunque sia il loro destino da adulte e anche se diventeranno madri a loro volta.

Anna deriva dall’ebraico Hanna, “la benefica“: antichissimo, è usato da millenni.

Per i Romani Anna Perenna era la divinità che regolava lo scorrere del tempo proteggeva parti e le partorienti.

Per i Cristiani Sant’Anna è la mamma della Madonna, anche lei protettice di parti e partorienti.

E’ uno dei nomi più diffusi al mondo; anche se oggi qui pare un poco passato di moda, solo in Italia sono quasi un milione le Anne, oltre le varie Annamaria, Annalisa, Annarita, Annarosa ecc.

In Francia troviamo Anne, Annie, Annette,  Anaïs, Nanette, Ninon.

In Inghilterra Anne, Ann, Nan, Nancy, Nace, Nanny.
In Spagna Portogallo Aña, Anina e Anita.
In Russia Hanna Annick.

Portafortuna per le Anne:
Il colore : il blu.
La pietra: lo zaffiro.
Il metallo: l’oro.

© Mitì Vigliero

Auguri a tutte le Anne che passano da qui!

Da Commari Giovannuzza al Culorosso: gli Strani Nomi Popolari di Piante, Animali e Malattie

E’ scritto nel libro della Genesi che quando Dio fabbricò Adamo, il primo incarico che gli diede fu quello di trovare un nome a tutti gli animali, alberi, frutti e fiori creati prima di lui; Adamo fu quindi il primo homo nominans della storia: il primo inventore di parole.

Da allora, di vocaboli ne sono stati inventati a migliaia, e purtroppo molti sono anche stati dimenticati o rischiano di esserlo, soprattutto quelli che appartengono alla sfera contadina, e che riflettevano una civiltà religiosa spesso confinante con la superstizione; il senso del magico era sempre presente anche perché la vita umana era allora dominata dalla paura, dalla precarietà, dalla minaccia di pericoli non solo immaginari.

Per questo ogni oggetto e ogni essere vivente veniva considerato possessore di qualità fatate e misteriose: i succhi, le foglie, le radici, i fiori, custodivano un’oscura potenza mentre mentre gli animali erano dotati di un potere superiore e per questo, soprattutto se feroci, pericolosi e nocivi, dovevano essere trattati con gentile cautela attraverso l’uso di nomi parentelari utili ad ingraziarsi l’essere temuto.

Così la volpe, razziatrice di pollai, in molte zone viene ancora chiamata col familiare nome di ZiaComareCummari Giuvannuzza in SiciliaZi Rosa in Calabria.

Per lo stesso motivo, in Sardegna il lupo è Compare Giommaria; in Calabria Zio Nicola; nel nord della Francia Compére Guette Grise (compare zampa grigia); in Estonia addrittura Cognato.

Tra le popolazioni europee e asiatiche, l’orso viene chiamato Nonno scalzo, Nonnino pelosoVecchio Martino, mentre in provincia di Reggio Calabria il rospo è Zidomìnicu (zio Domenico).

Anche le malattie, invisibili portatrici di sofferenza e morte, vengono definite con soprannomi parentelari; i contadini russi appellano la febbre madre, sorella, amica, madrina, tata, mentre il vaiolo è detto zietta e il morbillo nonna.

La morte in Piemonte ha da secoli il nome di Maria Catlina (Maria Caterina), e Maria Giovanna è divenuta in seguito – e in tutta Italia – la denominazione popolare della cannabis, detta in inglese Mary Jane e in spagnolo Maria Juana (marijuana).

Il nome diviene così tutt’uno con la cosa da esso designata; sostituendo il nome che fa paura con un altro di stampo familiare-amichevole, o con un altro magari negativo, ma sempre diverso dall’originale, si attenua il timore.

Esempio classico è il diavolo, che già nel Vecchio Testamento e nel Vangelo viene definito con vari sinonimi: il Nemico, il Maligno, l’Anticristo, la Tentazione, la Bestia, il Brutto, l’Avversario.

Nel Parmense usano le perifrasi Cullu là zò (quello laggiù) e Cullu da i cornén (quello dai cornini); nel Lombardo Angior di orecc d’oss (angelo dalle orecchie d’osso, le corna) e in Piemonte Braghe bluGaribaldi, dal colore del camiciotto e dei calzoni blu o rossi con il quale il diavolo veniva rappresentato un tempo nei tarocchi.

Le credenze popolari erano un’altra fonte per la nominazione; per esempio il pipistrello in molti luoghi è detto Topo amoroso, allusione ai Bestiari medioevali che facevano del pipistrello il simbolo della lussuria.

Così come una leggenda racconta che Gesù lasciò cadere una goccia di sangue su una piccola pianta che stava ai piedi della Croce e che, da quel giorno, si chiamò Passiflora Fiore della passione.

E gli stessi Santi del calendario servivano a nominare piante o fenomeni atmosferici che avvenivano in quel determinato periodo dell’anno: per questo diciamo uva di Sant’Anna,  pioggia di Santa Bibiana, venti di Santa Caterina e chiamiamo Giuanìn (Giovannino, in Piemonte) quel vermetto che si trova nelle ciliegie proprio alla fine di giugno, periodo dominato dalla ricorrenza di San Giovanni.

Infine, uno dei metodi di denominazione più usati e semplici era quello che collegava il nome dell’oggetto alle sue caratteristiche fisiche.

La lucciola per esempio, viene tutt’ora definita Verme lucenteFoghéto (Istria), Ciaerabella (chiarabella, Liguria); Verme slusaròl (Veronese), Bao lùster (Val di Fiemme), Baeto da fogo (Vicentino), Bas lusignùi (Friuli), Gata lusènta (Ticino), Moschina d’oro (Grigioni), LusiroeùlaLumin di pra (Milano), Clarìn (Verbano), Lanterna del poverello (Messina), Lanternetta di San Pietro (Roma), Luneta (Capodistria) sino ai “romantici” Culolucente (Valtellina) e Culorosso (Pavia).

© Mitì Vigliero

Ne conoscete altri?

Librando: Come erbe dedicati ai santi so che esiste l’erba di San Pietro. E dei fiori detti “occhi della Madonna“, che assomigliano ai non ti scordar di me. Poi ho sempre sentito parlare delle “orecchie di lupo“, ma non ho mai capito che pianta sia.

Elesa: mia nonna chiamava le coccinellegalline di San Paolo