Era il 18 gennaio del 1606 quando il veliero Santa Chiara di Montenero salpò da Alicante diretto a Genova; a causa di una tempesta però fece naufragio nel golfo di Porto Conte, in Sardegna.
Gli abitanti di Alghero, recuperando il carico, trovarono una cassa contenente un Crocifisso ligneo del XVI sec, che aveva le braccia snodate; lo consegnarono ai frati Osservanti di Santa Maria della Pietà, che nel 1855 lo affidarono a loro volta alla Confraternita della Chiesa della Misericordia.
Dal 1625 ogni Venerdì Santo quel Crocifisso è il protagonista di una delle sacre rappresentazioni più drammatiche e suggestive che esistano in Italia e che richiama tutte le Confrarìas (confraternite) di Incappucciati sia dell’isola che della Catalogna.
E in molte altre parti della Sardegna (Cagliari, Castelsardo, Cuglieri, Nulvi, Olbia ecc) si svolge la stessa spettacolare cerimonia, con altri crocifissi snodati e differenze di limba (lingua) e gestualità.
Ad Alghero, il Cristo viene staccato dalla Croce da quattro “baroni siriaci” in costume orientale (tra loro Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea) che salgono su scale a pioli poggiate dietro il crocifisso compiendo quel rito che in catalano si chiama “desclavament” (discendimento-deposizione) e in sardo “s’Iscravamentu” (lett. “schiodamento”).
Prima gli tolgono la corona di spine, che viene posta sul capo della statua di Maria Addolorata; poi il barone siriaco Giuseppe sfila lentamente il chiodo dalla mano destra, Nicodemo quello dalla sinistra e gli altri due quello dei piedi.
Calano con fatica il corpo dalla croce – e lo snodamento delle braccia rende quel corpo di legno tremendamente simile a uno vero- e lo depongono nel “bressol”, una bara barocca decorata in oro zecchino: infine il Cristo viene “tumulato” nel sepolcro ai piedi dell’altar maggiore.
Prima del s’Iscravamentu, solenni e lunghe processioni con diversi personaggi in costume si snodano per le vie di città e paesi; ceri-fiaccola detti axas, confratelli incappucciati, centurioni, faraoni, Marie in lutto, Maddalena, sacerdoti, il Crocifisso e altre statue di santi dette i “Misteri”, i simboli della passione: martelli, tenaglie, scale.
La statua della Madonna Addolorata è vestita di nero e si ferma – nel rito della “Cerca” – di chiesa in chiesa, cercando appunto suo figlio; a Mamoiada in Barbagia i “Tenores” dei “sos croffarios” (membri delle confraternite) ad ogni sosta della “sa’i’ra” (la ricerca) cantano strofe di laudi popolari dando voce alla madre disperata: “Vidu l’azzes a fizzu meu, in custu logu est passadu?” “Visto avete mio figlio, in questo luogo è passato?”.
E la cerimonia de s’Inscavamentu diviene un commovente, inquietante e sorprendentemente coinvolgente dramma scenico in crescendo.
Iniziano canti pieni di dolore: “O triste fatale die, oras penosas e dura…” (O triste e fatale giorno, ore penose e dure,…) alle quali la Madre risponde “A mie tocca su piantu, a mie su sentimentu, ca so affligida tantu, chie ta mortu e chie?” (A me tocca il pianto, a me il patire, perché sono tanto afflitta, chi ti ha ammazzato, chi?).
Infine, dopo la deposizione nel Sepolcro dell’altare e il Miserere interpretato sempre dai Tenores, piomba improvviso il silenzio su musica, voci e campane, che riprenderanno solo all’alba de “ sa Pasca Manna”, la domenica pasquale.