Storia dei Costumi da Bagno Femminili: dai Gonnelloni ai Fili Interchiappali

 


(immagine tratta da Swimsuits & Bathing Beauties Through Time)

L’uso di frequentare d’estate le spiagge “organizzate” nacque nel 1700, quando vennero scoperte le proprietà terapeutiche dei bagni in mare.
Gli uomini entravano in acqua nudi, le donne indossando sottovesti di flanella a maniche lunghe.

Nel secolo XIX andare al mare divenne invece una  moda oltre una sana abitudine, per questo i costumi da bagno si tramutarono in un vero e proprio capo d’abbigliamento.

Quello maschile era solitamente composto da un paio di mutandoni con sopra una lunga maglia a maniche lunghe; quelli femminili avevano larghi mutandoni altezza cavigliegonnelloni con sottovesti, lunghe casacche con maniche a sbuffo sino al gomito (e sotto camiciole e camicine), cuffiette di stoffa sul cranio, pantalonicalze nerescarpette gommate.
Le signore e signorine più vanitose, o le più burrose, sotto si strizzavano in strettissimi busti di gomma.

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I colori predominanti erano il nero, il blu e il rosso; le fantasie erano rigorosamente a righe bianche e rosse o bianche e blu e i costumi erano tutti in lana spessa che in acqua si inzuppava e allungava diventando una pesantissima zavorra.

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Dal 1890 i più audaci ( e il più pratici) d’ambo i sessi iniziarono a dare dei tagli alle lunghezze; i mutandoni arrivarono al ginocchio così come le gonne e le maniche, e poco per volta sparirono calze e scarpette.

Una piccola rivoluzione avvenne ai primissimi del Novecento in Francia grazie al sarto Paul Poiret detto Le Magnifique, che impose per uomini e donne costumi sempre di maglia, ma più aderenti.

Nel 1906 una nuotatrice australiana, Annette Kellerman, si presentò a una gara negli USA indossando un costume intero fatto a tutina che lasciava scoperte le cosce: fu arrestatamultata e immediatamente rimpatriata con foglio di via.

Ma ormai la corsa alle forbici era tratta.

Nel 1915 nacquero in Francia le prime fabbriche/case di moda specializzate in costumi come la Erté; nel 1920 Coco Chanel, imponendo la moda della donna bella solo se tutta abbronzata, lanciò sul mercato pantaloncini corti sopra al ginocchio e parti superiori decisamente scollate; nello stesso anno in America veniva inventato il primo costume in maglina “elasticizzata” (detto “modello sirenetta”) che permetteva ampie scollature anche sulla schiena.

Negli anni ’30 nacquero gli antenati del due pezzi; pantaloni corti legati a corpetti tramite sottili strisce di stoffa (per curiosità la prima italiana ad indossarli al mare, con grande scalpore dell’opinione pubblica e gran divertimento di Pirandello, fu l’attrice Marta Abba); fu allora che nacquero anche i lunghi accappatoi in spugna che permettevano alle bagnanti di uscire dall’acqua e coprirsi immediatamente senza dare scandalo.

Nel 1939 la casa di moda Jantzen lanciò il primo due pezzi “ufficiale”; il reggiseno era in realtà un bustino che copriva l’ombelico (e che solo nel‘49 divenne un reggiseno vero e proprio), mentre i pantaloncini arrivavano sotto l’anca; ma l’idea di quel costume era stata presa da quello in maglina nera e considerato audacissimo che Greta Garbo indossava nel film “La donna dai due volti” (1934)

Ma una rivoluzione era in agguato.

Mentre il mondo femminile impazziva per i magnifici e sensuali costumi indossati da una giovanissima Esther Williams nei suoi film,

il 2 luglio 1946 gli americani sperimentarono, con grande scalpore, le bombe all’idrogeno, facendole esplodere in un atollo della Micronesia: Bikini.

Pochi giorni dopo (e precisamente il 5 luglio) a Parigi, ai bordi della piscina Molitor, un sarto francese allora assolutamente sconosciuto –Louis Réard– lanciò un’altra bomba: un costume in due pezzi, che lasciava totalmente scoperto l’ombelico, chiamato appunto “bikini”.

In realtà, storicamente non fu una novità: l’avevano già “inventato” gli antichi romani nel IV sec. dC, come dimostrano gli splendidi mosaici di Piazza Armerina.

Nessuna modella famosa volle sfilare con quella roba svergognata e così Rèard lo fece indossare a una ballerina-spogliarellista del Casino, Micheline Bernardini; non era una gran bellezza, ma nel giro di un mese la fanciulla ricevette, grazie alle foto che fecero il giro d’Europa, ben 50 proposte di matrimonio.

Nel 1947, le concorrenti di “Miss Italiasfilarono tutte indossando il bikini (per la cronaca, vinse Lucia Bosè); da allora, tutte le donne dello spettacolo fecero a gara a indossare due pezzi sempre più succinti, intendendoli come strumento di seduzione: indimenticabili le immagini anni ’50 dell’imbronciata e meravigliosa Brigitte Bardot sulla spiaggia di Saint Tropez che sfoggia il primo bikini con reggiseno a balconcino a leziosi disegnini bianchi e rosa, con pizzetti loliteschi.

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Nel 1953 sempre la vulcanica mente di Réard inventò il “reggiseno disco volante”, che stava miracolosamente su senza bisogno di spalline e il pezzo di sotto a guaina (Sexyform) che altrettanto miracolosamente spostava all’insù le natiche.

Nel 1956 Marisa Allasio sconvolse i sonni maschili indossando nel film “Poveri ma belli il bikini più succinto della storia di quegli anni; modello immediatamente copiato dalle più grandi case di moda mare, che mise in allarme i custodi della pubblica morale: sulle spiagge italiane giravano carabinieri in coppia, muniti di centimetro, che avevano il compito di misurare le dimensioni dei bikini indossati dalle bagnanti.
Le “misure” variavano da regione a regione e se erano inferiori al lecito, come accadde ad Anita Ekberg nel 1956 a Ostia, si veniva fermate, portate in caserma, sottoposte a verbale e multate per oltraggio al pudore.

Negli anni Sessanta il bikini venne finalmente accettato dalla morale comune e divenne indumento da indossare senza alcun clamore, forse sdoganato defintivamente dalla splendida Ursula Andress in 007 Licenza d’uccidere.

Nel 1968, ufficialmente seguendo le norme femministe che in nome della libertà e parità sessuale imponevano il rogo ai reggipetti, sempre le attrici lanciarono la moda del topless: in Italia la prima a mostrarsi pubblicamente a tette al vento sulle spiagge fu Laura Antonelli (eh no, la foto dello storico evento non l’ho trovata, mi dispiace ;-).

Nel 1972 , sulla spiaggia di Ipanema (Rio de Janeiro) l’italo-brasiliana Rose Di Primo, per farsi notare in una festa in spiaggia, modificò la parte di sotto del suo bikini inventando il “tanga”: la cosa ebbe un clamore enorme tanto che una leggenda metropolitana raccontava che la poveretta, sconvolta da tanto scalpore e cacciata ignominiosamente dalla famiglia, si chiudesse in convento. Ovviamente non è vero.

In compenso da allora furono migliaia le brasiliane che indossarono provocatoriamente il tanga, nel tempo talmente ristretto sino a diventare perizoma o decisamente “filo interchiappale”®, come parte inferiore del costume; la moda, nata per i piccoli e sodi sederini delle brasilère, arrivò ben presto in Europa e ancora permane – per fortuna oggi con meno frequenza – anche su chiappone mediterranee ahimé non sempre perfette.

© Mitì Vigliero