I Pacciughi di Coronata: Storia d’Amore, Gelosia, Trucido Assassinio e Miracoloso Happy End

A ponente di Genova, sopra Cornigliano e sulla riva destra del Polcevera, si erge il colle di Coronata.

Sulla vetta di questo già nel IX secolo venne eretta una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo; a fianco a questa, nel 1157, ne sorse un’altra in onore di “Mariae de Colunata” e infine nel 1500 i due edifici vennero uniti in un unico Santuario.

La Madonna di Coronata è considerata dai genovesi una delle loro massime protettrici; invocata in caso di guerre, epidemie, cataclismi vari, è notissima però anche come Nume tutelare degli innamorati.

E ora vi racconto il perché.

Si racconta che a Genova, nel sestiere di Prè, vivessero un marinaio detto Pacciugo con la moglie Pacciuga; erano tranquilli e felici sino a quando lui, viaggiando verso l’Oriente, cadde prigioniero dei Turchi e condotto schiavo in Algeria.

La Pacciuga, disperata, ogni sabato si recava a piedi al Santuario per supplicare la Madonna di far tornare il suo sposo.
Trascorsero 12 lunghissimi anni e un bel giorno, ovviamente di sabato, Pacciugo tornò a Prè.

Non trovando la moglie in casa, domandò a una vicina dove fosse; questa, carogna, gli fece malignamente intendere che da quando lui era partito la Pacciuga, ogni santo sabato che cadeva in terra, si metteva tutta elegante e se ne andava a un appuntamento chissà dove e chissà con chi

Pacciugo, che in schiavitù aveva imparato ad incassare e tacere, quando finalmente fu riabbracciato dalla Pacciuga le propose di andare insieme il giorno dopo a ringraziar la Madonna di Coronata per la grazia ricevuta; sarebbero andati in barca sino a Cornigliano e da lì, a piedi nudi come veri pellegrini, avrebbero affrontato l’erta salita del monte fino al Santuario.

La mattina seguente in barca, appena furono fuori dal porto, Pacciugo smise di remare e iniziò a insultare urlando la moglie, accusandola di tradimento e condotta riprovevole.

Fuori di sè, la strozzò; poi legò il corpo a un sasso e lo scaraventò in mare.

Sbarcato a Cornigliano però venne preso da un feroce rimorso e corse al Santuario per invocare perdono; ma appena entrato vide, genuflessa di fronte all’altare della Vergine, la moglie viva e vegeta che gli raccontò che appena caduta in mare, due mani invisibili l’avevano salvata trasportandola per l’aria e depositandola nel Santuario.
Insomma, un miracolo.

E una leggenda.

Se vi recherete nel bel Santuario di Coronata, troverete fra gli ex voto deliziose tavole dipinte  che ritraggono la truce storia a lieto fine e, in una nicchia, le due statue affiancate del Pacciugo e della Pacciuga , elegantissimi nel costume tradizionale genovese.

E, come scrisse Remo Borzini:

Di notte, quando la chiesa è vuota, le immense navate sono buie come le stive e gli ex voto sembrano brillare di luce propria come stelle, allora questi coniugi di cartapesta raccontano alla Madonna tante cose.
Lei le parla di Prè, dei dodici anni di attesa, del basilico coltivato sul davanzale per fare il pesto al Pacciugo non appena fosse tornato etc etc.
Lui le racconta le storie dei turchi, e ogni notte ne ha una nuova.
E la Vergine ancora oggi ascolta e sorride
.

© Mitì Vigliero

Genovesi e Gatti: da sempre un Grande Amore

 


(Berio, gatto della Biblioteca di Genova)

 

Razza mugugnona per definizione e poco incline a smancerie, quella genovese sin dalle sue origini ha sempre mostrato una spiccata simpatia e una profonda stima nei confronti dei gatti.

Remo Borzini li definiva la “presenza soffice, misteriosa ed irreale” di Genova, indispensabile a una città dotata di grande porto, stretti vicoli e piena sempre di tanta bella rumenta attiratrice di topi.

I gatti erano apprezzati perché non erano dei mollaccioni mangiapane ad ufo, ma si guadagnavano vitto e alloggio lavorando dignitosamente; una legge della Repubblica (mantenuta anche sotto i Savoia) li assumeva in pianta stabile negli Archivi di Stato per salvaguardare dai sorci la carta dei documenti.
Come stipendio cibo, cure mediche, protezione e caldi posti in cui dormire.

I potentissimi Fieschi avevano nello stemma un gatto; il grande Magnasco nel dipinto “I frati attorno al fuoco”, ritrasse i religiosi radunati vicino al camino, con attorno tanti gatti, e persino il rude ammiraglio Andrea D’Oria volle essere ritratto assieme al suo gatto Dragut. Da bravo uomo di mare, sapeva che “chi alleva de gatti no alleva de ratti”; lo stesso Cristoforo Colombo volle su ognuna delle 3 Caravelle due gatti, maschio e femmina, che moltiplicandosi avrebbero difeso cambusa e merci.

 

Anonimo veneto - Ritratto di Andrea Doria
(Anonimo veneto – Ritratto di Andrea Doria)

 

Inoltre, ai capitoli 65 e 66 dell’antico testo di leggi del “Consolato del Mare” (tradizione giuridico marittima del Mediterraneo, in uso sin dal XIV sec.) stava scritto che ogni Comandante di Bordo aveva il “dovere di procurarsi gatti”, affinché i topi non danneggiassero il carico.

Veniva anche precisato che, se i roditori avessero guastato la merce “prima” che il Comandante si fosse procurato i gatti e mentre la nave era ancora in porto, non doveva pagare i danni: ma se il “sinistro” fosse avvenuto in navigazione e si fosse provato che i gatti non erano stati imbarcati, allora il Comandante non solo doveva risarcire personalmente tutto il carico rovinato, ma anche finir sotto processo per gravissima “Colpa Nautica”.

Una volta a bordo, e di solito in gran numero, i gatti venivano affidati alla responsabilità di un nostromo in seconda detto “u penéise”, il pennese, il quale oltre la responsabilità di cime, nodi e vele, aveva quella di star dietro –  a rischio licenziamento –  alle gnaolanti e unghiute creature, solitamente molto poco amanti dall’acqua in genere.

Doveva tenerli calmi in caso di tempesta ed evitare che cadessero in mare; badare che avessero sempre la loro razione di cibo, premiarli ogni volta che prendevano un topo, occuparsi della loro salute, difenderli dagli scherzi dell’equipaggio e soprattutto, ogni volta che si arrivava ad un porto, radunarli e chiuderli in un posto sicuro all’interno del bastimento onde evitare che scappassero, rifugiandosi sulla terra ferma.

E ammettiamolo, doveva essere un vero spettacolo vedere il pennese, prima di ogni attracco, lanciarsi all’inseguimento di una ciurma di gatti che velocissima s’infilava nei pertugi della coffa, si nascondeva sotto pile di cime o s’arrampicava sino in cima agli alberi del veliero.

© Mitì Vigliero

Pacciughi a Coronata: Genovese Storia d’Amore, Gelosia, Trucido Assassinio e Miracoloso Happy End

 Pacciuga-e-Pacciugo

A ponente di Genova, sopra Cornigliano e sulla riva destra del Polcevera, si erge il colle di Coronata.
Sulla vetta di questo già nel IX secolo venne eretta una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo; a fianco a questa, nel 1157, ne sorse un’altra in onore di “Mariae de Colunata” e infine nel 1500 i due edifici vennero uniti in un unico Santuario.
La Madonna di Coronata è considerata dai genovesi una delle loro massime protettrici; invocata in caso di guerre, epidemie, cataclismi vari, è notissima però anche come nume tutelare degli innamorati.
Si racconta che a Genova, nel sestiere di Prè, vivessero un marinaio detto Pacciugo con la moglie Pacciuga; erano tranquilli e felici sino a quando lui, viaggiando verso l’Oriente, cadde prigioniero dei Turchi e condotto schiavo in Algeria.
La Pacciuga, disperata, ogni sabato si recava a piedi al Santuario per supplicare la Madonna di far tornare il suo sposo.
Trascorsero 12 lunghissimi anni e un bel giorno, ovviamente di sabato, Pacciugo tornò a Prè.
Non trovando la moglie in casa, domandò a una vicina dove fosse; questa, carogna, gli fece intendere che da quando lui era partito la Pacciuga, ogni santo sabato che cadeva in terra, si metteva tutta elegante e se ne andava a un appuntamento chissà dove e chissà con chi
Pacciugo, che in schiavitù aveva imparato ad incassare e tacere, quando fu riabbracciato dalla Pacciuga le propose di andare insieme il giorno dopo a ringraziar la Madonna di Coronata per la grazia ricevuta; sarebbero andati in barca sino a Cornigliano e da lì, a piedi nudi come veri pellegrini, avrebbero affrontato l’erta salita del monte fino al Santuario.
La mattina seguente in barca, appena furono fuori dal porto, Pacciugo smise di remare e iniziò a insultare urlando la moglie, accusandola di tradimento e condotta riprovevole; fuori di sè, la strozzò: poi legò il corpo a un sasso e lo scaraventò in mare.
Sbarcato a Cornigliano però venne preso da un feroce rimorso e corse al Santuario per invocare perdono; ma appena entrato vide, genuflessa di fronte all’altare della Vergine, la moglie viva e vegeta che gli raccontò che appena caduta in mare, due mani invisibili l’avevano salvata trasportandola per l’aria e depositandola nel Santuario.
Insomma, un miracolo. E una leggenda, certo.
Però se vi recherete nel bel Santuario di Coronata, troverete fra gli ex voto deliziose tavole dipinte  che ritraggono la truce storia a lieto fine e, in una nicchia, le due statue affiancate del Pacciugo e della Pacciuga  , elegantissimi nel costume tradizionale genovese.
E, come scrisse Remo Borzini, “di notte, quando la chiesa è vuota, le immense navate sono buie come le stive e gli ex voto sembrano brillare di luce propria come stelle, allora questi coniugi di cartapesta raccontano alla Madonna tante cose.
Lei le parla di Prè, dei dodici anni di attesa, del basilico coltivato sul davanzale per fare il pesto al Pacciugo non appena fosse tornato etc etc.
Lui le racconta le storie dei turchi, e ogni notte ne ha una nuova.
E la Vergine ancora oggi ascolta e sorride
.”

© Mitì Vigliero