“Fare il portoghese” indica quel genere di “furbetto” che utilizza servizi vari (trasporti, impianti sportivi, spettacoli, partite di calcio, concerti ecc), senza pagare il biglietto.
All’epoca del re Giovanni V di Braganza detto il Magnifico, il Portogallo era una nazione fiorente, ricca e potentissima.
Aveva ambasciatori in ogni paese europeo e, ovviamente, il più importante si trovava a Roma – allora sotto il governo dei Papi – presso la Santa Sede.
Uno di questi ambasciatori fu un tal Monsignor Castro, che nel XVIII secolo fu a Roma per lungo tempo, vivendo in Largo di Torre Argentina.
Grande appassionato di musica, sembra sia stato lui a convincere la nobile famiglia Sforza Cesarini a costruire il Teatro omonimo del Largo; teatro nel quale gli appartenenti alla Comunità Portoghese residenti a Roma potevano gratuitamente entrare per assistere agli spettacoli o partecipare ai ricevimenti.
Bastava solo che, al momento dell’ingresso, dichiarassero la loro nazionalità.
Fatto sta che, ogni volta, al botteghino si presentavano centinaia e centinaia di persone le quali, pur con accento da far invidia a Trilussa, Aldo Fabrizi e Alberto Sordi, pretendevano di entrare “a gratis” dichiarandosi tutti cittadini portoghesi.
Quindi i portoghesi, poveretti, non c’entrano niente: il “merito” del detto è tutto dei romani.
(Il quadro in alto è di Giovanni Paolo Pannini: Festa al Teatro Argentina per le nozze del Delfino di Francia)