Storia della Diplomazia: come nacque una delle “arti” più difficili del mondo

diplomatici

La parola deriva dal greco “diploma” (da “diplωn“, doppio)  lett. “scritto piegato in due“, il foglio che  gli antichi ambasciatori ricevevano dai loro capi e sul quale stava scritto lo scopo della missione da compiere.

I documenti più antichi riguardanti la nobile arte della diplomazia risalgono al 1300 a.C.; trovati sulla riva destra del Nilo a Tel-el-Amarna, riportano i trattati di alleanza fra Ittiti ed Egiziani.

Altri, risalenti al VII sec. aC. e rinvenuti a Ninive, raccontano le frenetiche manovre diplomatiche del re Assurbanipal con tutti gli altri potenti Orientali.

Da sempre era uso che gli ambasciatori fossero muniti di una specie di passaporto speciale detto “credenziale“, una lettera in cui erano scritti tre punti fondamentali: scopo della missione, identità dell’ambasciatore e la ferma esortazione “a credere” tutto ciò che questo avrebbe detto senza torcergli un capello perché, come si dice ancora oggi, “ambasciator non porta pena“.  Ossia non ha nessuna colpa di ciò che viene a riferire.

Nell’antica Grecia, divisa lungamente in minuscole ma litigiosissime  città-stato, i rapporti diplomatici erano affidati ai primi ambasciatori ufficiali della storia, gli “àngheloi” (messaggeri), scelti accuratamente tra i cittadini che in patria avevano da sempre mostrato buone doti di abilità di rapporto con gli altri.

Se la missione a loro affidata andava a buon fine, una volta tornati a casa questi venivano festeggiati pubblicamente come eroi e incoronati d’alloro.

I trattati firmati dai vari capi di governo erano considerati letteralmente sacri; se qualcuno faceva il furbo e li violava, veniva multato: se non pagava, veniva disintegrato tramite “guerra santa“.

I rapporti fra Roma antica e le città straniere invece, erano mantenuti dal collegio dei “feziali” (da “foedus“, alleanza): 20 sacerdoti potentissimi che avevano il compito di dichiarare armistizi, guerre, paci.

Chi di loro veniva spedito in terra straniera come ambasciatore, veniva definito “legato” (inviato).

Nell’Urbe monarchica era il Re a nominare gli ambasciatori (e così in quella imperiale); in quella repubblicana erano i senatori a farlo: fu in quel periodo che proprio a Roma vennero aperte le prime scuole specializzate in “ars diplomatica, frequentatissime da studenti anche provenienti da stati esteri.

La figura del diplomatico straniero residentein modo fisso in una Corte d’altro stato, fu inventata della Chiesa quando inviò Nunzi Pontifizi a vivere stabilmente nel palazzo imperiale di Bisanzio.

Lo stesso metodo venne seguito dalle Repubbliche Marinare di Venezia e Genova, che sparsero nelle più importanti città d’Oriente i loro rappresentanti ufficiali, i quali le tenevano costantemente informate tramite l’invio di “copie” riservate.

In età moderna, cioè dopo la scoperta dell’America e la conseguente nascita di grandi e potenti stati nazionali sempre pronti a farsi vicendevolmente le scarpe, la presenza di ambasciatori fissi in terra straniera divenne indispensabile.

Nei momenti di crisi, dalle varie capitali partivano ambasciatori straordinari che raggiungevano quelli permanenti; i più famosi di questi, nel XVII sec., furono due giovani e abilissimi prelati destinati a una grande carriera nella storia: Richelieu e Mazzarino.

© Mitì Vigliero