Pensieri Nati Guardando La Luna

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(La Luna del 16 febbraio, foto ©Fabs)

Dopo una giornata trascorsa con gli occhi rivolti all’ingiù per leggere pratiche e documenti,  scrivere al pc, seguire brutte notizie su monitor e schermi, affrontare  terrene, banali e solite grane, per disintossicarsi è bello la notte affacciarsi alla finestra e alzarli finalmente, quegli occhi, a guardare la Luna.

Pallida e luminosa, più dolce del Sole perché se lui è simbolo di forza, concretezza, razionalità, lei è introspezionesenso del sovrannaturale, della poesiariflessione, ingredienti di cui l’umanità pare sempre più carente.

La Luna rimarrà sempre un mistero, nonostante l’uomo sia riuscito a passeggiarci sopra seminando sui crateri sismografi, microfilm, palline da golf, bottigliette di Coca Cola, bandierine di plastica, dimostrando una volta di più che ovunque il Bipede Raziocinante passi debba lasciare segni tangibili della sua superba presenza con cumuli di spazzatura.

Ma per me resta sempre l’intatta Luna, quella che dialogava col Pastore Errante e sorniona non rispondeva alla domanda

Che fai tu Luna in ciel,
dimmi che fai, silenziosa Luna.

Anche ora continua a guardarci dall’alto, e credo che sia un po’ malinconica perché le mancano le poetiche dediche passate, sensuali come la dannunziana

O falce di luna calante 
che brilli sull’acque deserte

o la stranamente dolce definizione di un futurista come Luciano Folgore

…morbida
come un cuscino di piume

fino alla gozzaniana

…romantica Luna fra un nimbo leggero, che baci le chiome
dei pioppi, arcata siccome un sopracciglio di bimbo…

Signora solo apparentemente incurante dei nostri dubbi e delle nostre cure, rimane serena lassù, la bella faccia tonda e un po’ attonita china ad osservare noi, sempre più simili a formichine omologate costrette a camminare in fila seguendo non più istinti, ma mode e comandi.

Talvolta si commuove, e per risvegliare la nostra fantasia tenta di stupirci vestendosi di rosso fuoco, o sembrando appesa apposta nel cielo da qualche Cupido che voglia ammaliarci: chi è che in una placida notte di chiaro di Luna non ha almeno sognato di poter dare e ricevere un bacio, e poi due e poi mille ancora?

La guardo e mi chiedo quanti sospiri d’amore corrisposto o di lancinante solitudine abbia ascoltato in questi millenni; quante lacrime e quanti sorrisi abbia tinto d’argento; quanta gioia e quanto dolore abbia carezzato e assorbito coi suoi raggi.

Perché la Luna, come l’amore e tutti gli altri sentimenti, è volubile. E della volubilità è il perfetto simbolo.

Varia il suo aspetto da pieno a tre quarti, da mezzo a unghia sottile; lunatico è detto chi cambia spesso umore e non per nulla dominato dalla Luna è l’ipersensibile e dolce segno del Cancro, capace di passare dal riso al pianto nel giro di un battito di ciglia. 

Per tutto questo mi affascina la Luna, un po’ fata e un po’ strega: proprio come le umani passioni può dare emozioni, ma fare anche paura.

Regola maree, flussi, parti, semine e raccolti; però alla sua luce si svegliano pure i Lupi Mannari, si acuiscono i mali della mente.

Otello, subito prima di tirare il collo a Desdemona, diceva “E’ colpa della Luna; quando si avvicina di più alla terra rende gli uomini folli”.

In questi ultimi tempi deve essersi avvicinata un po’ troppo, vista l’imperante e collettiva pazzia che ci circonda.

Continuo a guardarla, e ricordo l’Ariosto quando raccontava che sulla Luna finiscono tutte le cose perdute e dimenticate dagli uomini: ideali, lumi della ragione, giuramenti, progetti, reputazioni, onestà, giustizie, obiettività, amori, senno, promesse, amicizie…

E riabbassando gli occhi a terra realizzo di colpo che se Astolfo ci tornasse ora, sulla Luna, troverebbe il materiale aumentato a dismisura.

© Mitì Vigliero

Motti di Vita: qual è il vostro?


(immagine tratta da Wikipedia)

Un tempo li usavano in molti, incisi sugli stemmi di famiglia o su quelli delle Corporazioni lavorative; parole e piccole frasi  che rappresentavano l’ideale di pensiero e comportamento.

Erano i Motti di Vita, miniguide dell’esistenza.

Ora son passati di moda, ma molti di noi continuano ad averne uno.

Succede di solito durante l’adolescenza, quando leggiamo una frase di un libro, il verso di una poesia, di una canzone, un aforisma, un proverbio, che ci colpisce particolarmente perché pare “illuminare” ciò che vorremmo.

E quelle parole diventano immediatamente nostre, spesso per sempre: si tramutano nel nostro Motto di Vita.

E’ quello che ripetiamo più spesso a noi e agli altri; quello che farà dire ai nostri posteri familiari: “Mio nonno (mio zio, mia madre) diceva sempre…”

Il mio motto lo trovai a 14 anni come dedica a un vecchio romanzo trovato nella biblioteca in campagna; del romanzo ricordo poco o nulla, in compenso quella frase mi è rimasta stampata in testa e nel cuore, per sempre:

Guardati da ciò che desideri perché finirai per ottenerlo.
(Ralph Waldo Emerson )

Crescendo, ne ho sperimentato la verità nel momento dei sogni, dei progetti, delle scelte.
E continuo a farlo.

Voi avete un Motto di Vita? E se non ci avete mai pensato, quale vorreste che fosse?

Pigrizia e Memoria

 

snoopy

In questi giorni mi è tornata all’improvviso in mente la primissima poesia studiata alle elementari:

La Pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò,
mezzogiorno era suonato
quando a casa ritornò.
Prese l’acqua,
accese il fuoco,
si sedette e riposò
ed intanto a poco a poco
anche il sole tramontò.
Così persa ormai la lena,
sola al buio ella restò
ed a letto senza cena
la comare se ne andò
.

E’ La Pigrizia, di Francesco Pastonchi.

Perché sia resuscitata così di colpo dai meandri della mia memoria, lo ignoro.
O forse posso supporlo: in questo periodo non ho né la forza né la voglia di fare assolutamente niente.
Ergo, sono pigrissima. E mi identifico perfettamente con l’ultima battuta di Snoopy, lassù.

Però è sorprendente rammentare  una cosa di 46 anni fa e mai più ripetuta o ascoltata, e poi magari non riuscire a ricordarsi il menù della cena fatta 12 ore prima…

Voi ricordate ancora le poesie studiate a memoria da bambini? E se sì, quali?