Torta di Pane e Mele

Io amo il pane.

Guai se resto senza pane, divento nervosa all’idea di un pranzo e di una cena priva di pane in tavola.
Poi magari non ne tocco una briciola, chessò, magari cucino la pizza e il pane con la pizza non si mangia.
O magari sì, un pezzetto, mentre si aspetta seduti a tavola che la pizza finisca di cuocere…
Vabbé, insomma: in casa mia c’è sempre un sacco di pane.
Che però a volte avanza.
E gettare il pane è cosa che non si fa.

E allora?

E allora ne faccio una facilissima torta.
Di mele.
Di pane.
E qualcosina d’altro.

130 gr. di pane avanzato (io uso di solito il cosiddetto pugliese, ma va bene un casereccio qualunque)
1 kg di mele
80 gr di zucchero
50 gr di uvetta
4 uova
1 limone
polvere di cannella
mezzo litro di latte
miele
burro

Accendere il forno a 180°.
Mettere a bagno l’uvetta.
Togliere la crosta al pane e  tagliarlo a dadini piccini picciò.
Togliere il torsolo coi semi alle mele, sbucciarle, tagliarle a fettine sottili sottili e metterle in un’ampia ciotola.
Grattugiare la scorza del limone e metterla in un’altra ampia ciotola.
Spremere il limone, versare il succo sulle fettine di mela.
Nella ciotola dove c’è la scorza del limone unire le uova, il latte, un cucchiaino di cannella, 2 bei cucchiai di miele, 40 gr di zucchero e sbattere bene.
Prendere la ciotola delle fettine di mela, scolare via il limone, unire i dadini di pane, l’uvetta ben strizzata, mescolare delicatamente e versare in una teglia antiaderente.
Livellare e versarci sopra il contenuto dell’altra ciotola.
Mettere in forno per 30 minuti.
Tirare fuori la teglia, versare sulla torta 30 gr di burro fuso e i rimanenti 40 gr di zucchero, rischiaffare nel forno e cuocere per altri 30 minuti.

Il Pollo alla Garibaldi di Ne

Quando Federico Barbarossa venne in Italia, subì una tale serie di sconfitte che gran parte dei suoi soldati decise di mollarlo e di stabilirsi vita natural durante nelle verdeggianti vallate dello stivale, prediligendo in particolare quelle non troppo lontane dal mare.

Uno di questi soldati si chiamava Grunbauer e scelse come dimora la Val Graveglia, nella Liguria di Levante.

Passarono i secoli e il cognome sassone dei numerosi discendenti del soldato venne man mano storpiato, addolcito, facilitato, insomma italianizzato sino a tramutarsi in Garibaldi.

Infatti moltissimi abitanti di Ne, uno dei centri principali della Val Graveglia, si chiamano così e proprio a Né nacque la famiglia del Garibaldi più famoso del mondo il quale, nel 1864, venne eletto al Parlamento Italiano proprio grazie ai voti degli abitanti della Val Graveglia.

E a Ne è dedicata a Garibaldi anche questa meravigliosa, profumatissima, semplice ricetta a base di pollo:

1 pollo pulito e tagliato a pezzi piccoli
150 gr di olivette nere
2 litri di brodo di carne (anche di dado, basta non sia vegetale)
2 foglie di alloro
1 rametto di salvia
1 rametto di rosmarino
1 pomodoro maturo
1 bicchiere di vino bianco secco
olio
burro
sale.

In una casseruola mettere burro e olio; farvi soffriggere le olive e l’alloro, aggiungere i pezzi di pollo, salare e rosolare sino a quando saranno dorati.
Unire il vino bianco e i sapori tritati insieme al pomodoro.
Rosolare e mescolare velocemente.
Appena il vino sarà evaporato, unire il brodo sino a coprire completamente il pollo: mettere un coperchio e cuocere lentissimamente per due ore circa.

©Mitì Vigliero

Lasagne ai Carciofi Dimenticati

Non so se capita anche a voi, ma io qualche volta faccio la spesa e poi mi dimentico quello che ho comprato.

Ad esempio dieci giorni fa avevo preso 4 meravigliosi carciofi, con tutta l’intenzione di mangiarli in pinzimonio.

Erano in un sacco di carta, grosso, come quelli del pane; in frigo non ci stavano, son finiti appoggiati in un angolo della cucina e lì son rimasti sino a ieri.

Ovviamente si erano intristiti molto (non avete idea di quanto possa esser triste l’espressione di un carciofo abbandonato); avevano perso freschezza, messo su rughe…

Il carciofo ligure non è che abbia molta polpa tenerella; saporitissimo, sì, ma pieno di spine. E quando diventa vecchio perché qualche distrattona lo dimentica, si prosciuga diventando particolarmente legnoso.

Allora ho preso i carciofi, e ho tagliato i gambi; da questi ho tolto la corteccia, mantenendo solo la parte verdina interna, e l’ho affettata sottile schiaffandola in una ciotola piena di acqua fredda e succo di limone.

Poi ho affrontato le teste, decapitandone la punta maledettamente spinosa e togliendo tutte le foglie esterne e le spine interne, mantenendo solo il cuore.
Poi sono andata in bagno a disinfettarmi le 17 stigmate che le spine mi avevano procurato su dita, palmi e polsi.
Tornata, ho tagliato i cuori a fettine sottili e ho messo pure loro nella ciotola dell’acqua.

Mentre i carciofi stavano in ammollo, ho affettato una cipolla, preso una pentola antiaderente bella larga, messo un filo d’olio, rosolato la cipolla a fuoco basso basso; ho aggiunto i carciofi scolati ma non troppo: alzato il fuoco, mescolato, bagnato con vino bianco, fatto evaporare.

Poi ho coperto tutto con abbondante brodo vegetale (acqua e dado in polvere senza glutammato), abbassato il fuoco e me ne sono andata in studio a fumarmi una sigaretta e rispondere a un po’ di email.

Tornata in cucina dopo mezz’ora, ho scoperto nel frigo due piccoli pomodori che stavano meditando il suicidio per esplosione, tanto erano maturi. Così li ho lavati, tagliati a dadini e buttati nella pentola coi carciofi insieme a un paio di foglie di menta; due mescolate veloci e fuoco spento.

Poi ho aggiunto ancora una mestolata di brodo (il sugo deve restare un po’ liquido) e la besciamella; se siete virtuosi ve la fate da soli. Io che non lo sono ho usato quella in pacchetto, ché non avevo tempo per mettermi lì a mescolare latte farina burro, dio che fatica.

Ho preso delle lasagne secche di quelle che non hanno bisogno di esser bollite prima; le mie erano verdi (quelle c’erano, in dispensa).
Ne ho tirate fuori 8, passate una a una velocemente sotto l’acqua calda, messe a scolare nel colino e ho acceso il forno a 200°.

Nel frigo ho recuperato anche un etto di fontina, e l’ho tagliata a dadolini.

Poi ho tirato fuori una teglia piccola e alta, l’ho imburrata e ho posato nel centro due lasagne affiancate in verticale.   
Le ho coperte coi carciofi, un po’ di fontina e altre due lasagne messe stavolta in orizzontale. Carciofi, fontina, 2 lasagne in verticale e così via, sino alla fine delle lasagne e dei carciofi.

Coperto le ultime lasagne con tanto parmigiano, messo la teglia in forno per 30 minuti, sfornato e pappàto.

Ve le consiglio, sì.

©Mitì Vigliero