Roma, 8 Dicembre 1857: Vi Racconto La Storia Della Colonna Mariana

Nel 1777 a Roma, durante i lavori di restauro al convento delle Benedettine in Campo Marzio, venne alla luce una splendida colonna d’epoca romana in marmo cipollino alta 12 metri e con 1 metro e mezzo di diametro.

Ma, visto che in quell’epoca i reperti archeologici spuntavan come funghi, la colonna fu trasportata in via Missione (Montecitorio) e mollata lì.

L’8 dicembre del 1854 Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione e, per celebrarlo, ordinò agli esperti di pensare a un monumento in grado di rappresentarlo.

A Pietro Ercole Visconti, Commissario alle Antichità Romane, venne in mente quella colonna abbandonata e ingombrante che tra il resto stava sempre fra i piedi ad intralciare il traffico, tanto che qualcuno aveva proposto di risotterrarla.

In fretta a furia, scelta la sede – l’odierna Piazza Mignanelli vicino a Piazza di Spagna – e bandito un concorso vinto dall’architetto modenese Luigi Poletti, il 6 maggio del 1855 venne benedetta e posta la prima pietra al monumento che passerà alla storia come Colonna Mariana o dell’Immacolata.

I lavori furono frenetici.

Gli scavi delle fondamenta rallentati dal continuo saltar fuori di reperti: una scultura greca, un’altra colonna, un busto acefalo, un enorme testone raffigurante Vulcano…

Il trasporto della colonna da Montecitorio a piazza di Spagna fu fatto a braccia da un centinaio di galeotti e prima di erigerla (1856) dovette essere fasciata per un terzo da cerchioni di ferro celati da decorazioni in bronzo, perché il marmo era sfaldato e danneggiato.

Nel frattempo cinque grandi scultori lavoravano alacremente alle statue: le quattro della base furono forgiate da Adamo Tadolini (il David), Salvatore Rovelli (l’Isaia), Carlo Chelli (l’Ezechiele) e Ignazio Jacometti (il Mosè).

Quest’ultima statua, dalla bocca troppo piccola, quasi a cul di gallina, scatenò il solito Pasquino:
“Parla!” gl’intimò michelangiolescamente. Mosè rispose “Non posso”. “Allora fischia” disse Pasquino. “Sì” ribatté Mosè: “Fischio lo scultore”.

Giuseppe Obici di Spilamberto (Modena) forgiò invece la Madonna in bronzo posta alla sommità della colonna; 4 metri d’altezza e 20.000 libbre di peso, che piacque a tutti.

Solo le donne romane ridacchiarono pettegole e maliziose, ben sapendo che la modella utilizzata per la Vergine era la suocera dell’Obici, donna splendida ma notoriamente un po’ troppo…espansiva col genero e i suoi colleghi.

L’8 dicembre del 1857, davanti – e “davanti” proprio nel senso di “appiccicata” – alla facciata al palazzo dell’Ambasciata di Spagna fu costruita una tribuna in legno e cartapesta con timpano e 10 colonne ioniche: sopra, di fronte al balcone centrale,un’altra tribuna a colonne.

Checché ne dica una maligna leggenda metropolitana d’allora, la quale affermava che l’inaugurazione fu un trionfo privo d’incidenti (cosa che l’Ambasciatore di Spagna temeva grandemente, vedendo nei suoi incubi notturni la colonna e la Madonna che gli si abbattevano sulla casa) grazie all’assenza di Papa Mastai considerato menagramo, il Papa circondato dalla Corte e dai Cardinali s’affacciò  invece davvero a quel balcone, mentre quasi 200 pompieri (il numero citato dalle cronache dell’epoca varia dai 120 ai 220) agli ordini del Poletti, issavano la statua dell’Immacolata coperta da un grande telo in cima alla colonna, la scoprivano e ponevan fiori.

Per questo da allora ogni 8 dicembre sono i Vigili del Fuoco a portare i fiori sulla Colonna dell’Immacolata, e il primo mazzo deposto è sempre quello dell’Ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede.

@ Mitì Vigliero

Roma, 8 Dicembre 1857: storia di una Colonna, di una Madonna e dei Pompieri

Nel 1777 a Roma, durante i lavori di restauro al convento delle Benedettine in Campo Marzio, venne alla luce una splendida colonna d’epoca romanain marmo cipollino alta 12 metri e con 1 metro e mezzo di diametro.

Ma, visto che in quell’epoca i reperti archeologici spuntavan come funghi, la colonna fu trasportata in via Missione (Montecitorio) e mollata lì.

L’8 dicembre del 1854 Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione e, per celebrarlo, ordinò agli esperti di pensare a un monumento in grado di rappresentarlo.

A Pietro Ercole Visconti, Commissario alle Antichità Romane, venne in mente quella colonna abbandonata e ingombrante che tra il resto stava sempre fra i piedi ad intralciare il traffico, tanto che qualcuno aveva proposto di risotterrarla.

In fretta a furia, scelta la sede – l’odierna Piazza Mignanelli vicino a Piazza di Spagna – e bandito un concorso vinto dall’architetto modenese Luigi Poletti, il 6 maggio del 1855 venne benedetta e posta la prima pietra al monumento che passerà alla storia come Colonna Mariana o dell’Immacolata.

I lavori furono frenetici.

Gli scavi delle fondamenta rallentati dal continuo saltar fuori di reperti: una scultura greca, un’altra colonna, un busto acefalo, un enorme testone raffigurante Vulcano…

Il trasporto della colonna da Montecitorio a piazza di Spagna fu fatto a braccia da un centinaio di galeotti e prima di erigerla (1856) dovette essere fasciata per un terzo da cerchioni di ferro celati da decorazioni in bronzo, perché il marmo era sfaldato e danneggiato.

Nel frattempo 5 grandi scultori lavoravano alacremente alle statue: le quattro della base furono forgiate da Adamo Tadolini (il David), Salvatore Rovelli (l’Isaia), Carlo Chelli (l’Ezechiele) e Ignazio Jacometti(il Mosè).

Quest’ultima statua, dalla bocca troppo piccola, quasi a cul di gallina, scatenò il solito Pasquino:
“Parla!” gl’intimò michelangiolescamente. Mosè rispose “Non posso”. “Allora fischia” disse Pasquino. “Sì” ribatté Mosè: “Fischio lo scultore”.

Giuseppe Obici di Spilamberto (Modena) forgiò invece la Madonna in bronzo posta alla sommità della colonna; 4 metri d’altezza e 20.000 libbre di peso, che piacque a tutti.

Solo le donne romane ridacchiarono pettegole e maliziose, ben sapendo che la modella utilizzata per la Vergine era la suocera dell’Obici, donna splendida ma notoriamente un po’ troppo…espansiva col genero e i suoi colleghi.

L’8 dicembre del 1857, davanti – e “davanti” proprio nel senso di “appiccicata” – alla facciata al palazzo dell’Ambasciata di Spagna fu costruita una tribuna in legno e cartapesta con timpano e 10 colonne ioniche: sopra, di fronte al balcone centrale, un’altra tribuna4 colonne.

Checché ne dica una maligna leggenda metropolitana d’allora, la quale affermava che l’inaugurazione fu un trionfo privo d’incidenti (cosa che l’Ambasciatore di Spagna temeva grandemente, vedendo nei suoi incubi notturni la colonna e la Madonna che gli si abbattevano sulla casa) grazie all’assenza di Papa Mastai considerato menagramo, il Papa circondato dalla Corte e dai Cardinali s’affacciò  davvero a quel balcone, mentre quasi 200 pompieri (il numero citato dalle cronache dell’epoca varia dai 120 ai 220…) agli ordini del Poletti, issavano la statua dell’Immacolata coperta da un grande telo in cima alla colonna, la scoprivano e ponevan fiori.

Per questo da allora ogni 8 dicembre sono i Vigili del Fuoco a portare i fiori sulla Colonna dell’Immacolata, e il primo mazzo deposto è sempre quello dell’Ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede.

@Mitì Vigliero

Qui le foto della cerimonia di oggi, a cura di Rossdibi

Li Cancelletti: Antichi Rimedi d’Ordine Pubblico a Roma


Nel 1800 le osterie fungevano da seconda casa per i romani; numerosissime dentro e fuori porta, erano luoghi d’incontri, affari, ozi,  festeggiamenti pubblici e privati.

Ogni occasione era buona per brindare e far baldoria; non v’era nomina cardinalizia, nascita, matrimonio, morte di popolano o nobile, visita d’un capo straniero, ricorrenza religiosa o avvenimento meteorologico, politico o sociale che non venisse celebrata da uomini e donne con vari “buccali” di quello buono.

L’arrivo del vino dai Colli Albani a qualunque osteria della città veniva accompagnato da un cerimoniale estremamente chiassoso; i barili, allineati sul tradizionale “carretto a vino trainato da un cavallo adorno di piume e penne tintinnanti sonagliere e guidato un carrettiere nerboruto dalla testa avvolta nella “sciarpa romana” (per intenderci, quella in capo alla “Madonna della seggiola” di Raffaello) e dagli inizi dell’800 da un alto e oblungo cappellone, erano accolti da uno schiamazzante corteo di abitanti del rione.

Al rullo di tamburi un banditore assunto all’uopo, sventolando una bandiera che lanciava in alto e riprendeva al volo, annunciava al vulgo l’evento, decantando ad altra voce la qualità del nettare.

Tutti restavano davanti all’osteria sino a quando l’oste, con fare solenne, issava all’esterno grandi frasche di lauro, emblema significante l’etilico lieto arrivo nelle cantine.

Attorno a tavole di legno, circondati da scritte beffarde stile “Quando questo gallo canterà, allora credenza si farà”, all’osteria nascevanogiochi, stornelli, pettegolezzi e amori, ma anche trame, cospirazioni e pure furibonde risse dove frequentemente balenava fulminea la lama d’un coltello.

Così nel 1824 Papa Leone XII, presago della borbonica frase “’’sto popolo si governa solo con le tre F: farina, forca e feste”, per “allontanare i cattivi esempi” diminuì i dazi sul vino ma ordinò la chiusura al pubblico di tutte le osterie del suo territorio perché “il vino bevuto in troppa grande abbondanza cagiona frequentemente scene funeste”.

Davanti agli usci, obbligatori dei “cancelletti attraverso i quali l’oste avrebbe venduto il vino agli avventori, che però dovevano andarselo a bere a casa loro.

Ovviamente i romani, oltre a fermarsi per ore a bere per strada davanti a li cancelletti,  s’adontarono pure profondamente.

Il Belli ringhiò un sonetto di cui l’unica strofa qui pubblicabile è questa:

La sera, armanco, doppo avé ssudato,
s’entrava in zanta pace in d’un buscetto
a bbeve co l’amichi quer goccetto,
e arifiatà lo stommico assetato
.
(per chi volessere leggerlo tutto: qui, n° 16)

E la statua di Pasquino sparì letteralmente sotto centinaia di foglietti riportanti pasquinate furibonde:

Questo papa sempre a letto
dentro Roma allarga il ghetto,
alle scienze l’interdetto,
anche al vino il cancelletto, 
questa legge é di Maometto. 
Oh, governo maledetto!

Gli animi si calmarono solo quando il nuovo papa Pio VIII, nato a Frascati, abrogò i famigerati “cancelletti”, permettendo ai romani di tornare ai bagordi di sempre.

Solo allora Pasquino diventò gentile, esponendo gli anonimi versi:

Allor che il sommo Pio
comparve innanzi a Dio
gli domandò: “Che hai fatto?”
Rispose: “Nient’affatto”
(proprio niente di importante e buono, NdPS)
Corresser gli angeletti:
“Levò li cancelletti”

©Mitì Vigliero