Le Pulizie di Primavera all’Epoca di Nonna Giannina e del Dottor Mantegazza

pulizie primavera

All’epoca delle nostre nonne (bis, tris, e per qualcuno anche quadris), i concetti “pulizia” e “igiene” venivano inculcati sia attraverso gli insegnamente tradizionali materni, sia tramite libri  ”per le scuole femminili e le giovanette” i quali avevano placidi titoli edificanti come La buona Giannina educata ed istruita (P.Fornari, Stamperia Reale di Torino di G.B. Paravia e Comp. Quelli che ho io sono del 1880).

giannina

A questi si univa un altro testo sacro: L’Enciclopedia Igienica di Paolo Mantegazza(1831-1910) celebre tuttologo-medico-antropologo di gran moda in quel periodo, il quale esortava tutte le buone Giannine nel periodo primaverile ”col fiorire dei rami di pesco, a fare una visita minuta, un esame coscienzioso della casa affinché da per tutto l’occhio vi possa penetrare senza farvi arrossire e che nel cantuccio più inesplorato della vostra abitazione le mani e i piedi possano inoltrarsi senza paura“.

mantegazza

Le Nonne Giannine, armate di stracci, secchi, palette e scope,  iniziavano così ad aggredire i vani di tutta la casa.

In saloni, salotti, sale, tinelli, camere e camerette, studi e studioli i mobili venivano spostati dalle pareti, spazzolati accuratamente col “granatino di padule” (un piumino fatto con penne d’anatra o altri uccelli), ripassati con petrolio rosso considerato un ottimo antitarlo e infine lucidati con cera vergine.

quadri, tirati giù dai muri, erano liberati dal grasso e dalla fuliggine di camini e stufe sfregando leggermente sulla tela delle patate crude tagliate a metà, mentre le cornici venivano ripassate intarsio per intarsio con un piccolo pennello intinto nell’olio di lino.

I tappeti si stendevano sui terrazzi, sfregati con crusca umida e poi battuti senza alcuna pietà; le seggiole di paglia, i cui sedili si erano smollati e affossati al centro, venivano lavate con acqua caldissima e poste ad asciugare al sole, perché in tal modo la paglia si ritirava e ritornava tesa e dura: una volta asciugata la si spennellava con succo di limone
olio di cedro onde evitarne la screpolatura.

battipanni-epoca-vittoriana

Per rendere invece splendenti vetri e specchi, la nostra ava alchimista Giannina gettava 3 cucchiai di aceto in mezzo litro d’acqua bollente, unendo 50 grammi di Bianco di Spagna: la mistura produceva una schiumetta effervescente che veniva raccolta accuratamente, spalmata sulle superfici e infine, una volta asciutta, strofinata via con uno “zaffo“, un duro tampone di tela che conteneva un turacciolo.

Poi si partiva all’arrembaggio delle pareti  che venivano nettate centimetro per centimetro prima spolverandole con drappi di lana legati alla cima di un bastone, per togliere ragnatele e polvere; poi, con una spugna morbida e strizzatissima, lavandole dal basso e mai dall’alto, onde evitare di far scorrere sui muri già sudici dell’altro sporco.
Le macchie scure venivano cancellate con mollica di pane e l’unto delle tappezzerie di stoffa si smacchiava con amido di mais e colpi di spazzola.

secchio zinco antico

Una volta finito con le pareti, si andava all’attacco dei pavimenti: prima di scoparli bisognava spruzzarli con l’innaffiatoio, un particolare imbuto la cui parte inferiore era chiusa e bucherellata da tre fori: l’acqua caduta pioggerellando al suolo impediva l’alzarsi di nugoli di polvere durante l’energico passaggio della scopa di saggina detta “granata“.

Tolta la polvere, i pavimenti si disinfettavano coprendoli con sale da cucina su cui era stata versata qualche goccia di acido solforico: si aspettava che agisse (giusto il tempo di un paio di svenimenti dovuti alle esalazioni mefitiche) e poi si sciacquava con magmi fumanti composti da soda caustica, liscivia, alcol, sali ammoniacali e robine così.
Per lucidarli, esisteva la galera; pesantissimo arnese in ghisa -munito di manico come una scopa- sotto al quale si poneva uno straccio di lana per far brillare la cera (rigorosamente solida) stesa prima manualmente stando a 4 zampe.

granate

Ogni Giannina aveva la sua ricetta privata (che si tramandava da generazioni) di qualche casalingo lavacro disinfettante e miracoloso, la cui efficacia era proporzionale all’intruglio di veleni mischiati.
Questo perché il Mantegazza ammoniva:
La pulizia è il primo e più forte nemico di tutti i parassiti. I sorci, i ratti, le cimici, le pulci, i pidocchi, le blatte, le mosche, le zanzare amano i luoghi sudici e le persone che non amano la nettezza e l’ordine sia domiciliare che personale“.

calderone

Perciò le Giannine brave massaie rischiavano ogni volta avvelenamenti tremendi pur di liberare le loro dimore dalla presenza di ospiti indesiderati.
Con pasta fosforata mista a polenta e cacio forgiavano delle palline fetide e ributtanti che avvelenavano i topi e talvolta anche i cuccioli di casa (cani, gatti e bambini).

Contro le mosche spargevano nelle stanze vischio o felci irrorati di latte; contro le cimici dei letti (dette “parassiti minori fetidi“) inzuppavano i pagliericci di acido fenico e tramavano contro gli scarafaggi riempiendo  grosse terrine di vino rosso, infilandole sotto l’acquaio di cucina, nell’attesa trepida che le repellenti bestie prima bevessero il vinello ubriacandosi e poi ci cascassero dentro, annegandoci.

casalinghe-antan

Riguardo la pulizia del gabinetto (la cui storia vi ho raccontato qui), lascio direttamente la parola al Dottor Mantegazza (pag 98):

Il cesso è una solfatara domestica; è una bolgia che dal suo cratere emana i gaz più velenosi e più asfissianti; è un nemico occulto che lentamente ma sicuramente ammorba l’abitato e appesta l’aria che respiriamo.
Il cesso è un nemico; conviene dunque ucciderlo o farlo fuggire disinfettandolo.
(…) Uno dei disinfettanti più economici è il carbone. Pigliate delle bracie ardenti, rompetele e fatele in polvere nel mortaio, aggiungetevi nell’acqua e versate quel nero intingolo nel vaso di Pandora chiudendo subito.
(…) Altrimenti gettate nella velenosa voragine un pugno di questa polvere facilissima a preparare: carbone in polvere 10 parti; gesso 1 parte; vetriolo verde 1 parte. Potete anche adoperare dell’acido solforico o alcune gocce di creosoto 

Quindi, o uomini e donne del 2000, guai a voi se vi lamentate ancora quando dovete pulir casa, eh?

© Mitì Vigliero

Casalinghitudine d’Antan

Le Pulizie di Primavera all’Epoca di Nonna Giannina e del Dottor Mantegazza

casalinghe-antan

All’epoca delle nostre nonne (bis, tris, e per qualcuno anche quadris), i concetti “pulizia” e “igiene” venivano inculcati sia attraverso gli insegnamente tradizionali materni, sia tramite libri  “per le scuole femminili e le giovanette” i quali avevano titoli edificanti come La buona Giannina educata ed istruita (P.Fornari, Stamperia Reale di Torino di G.B. Paravia e Comp. Quelli che ho io sono del 1880).

A questi si univa un altro testo sacro: L’Enciclopedia Igienica di Paolo Mantegazza (1831-1910) celebre tuttologo-medico-antropologo di gran moda in quel periodo il quale esortava tutte le buone Giannine nel periodo primaverile, “col fiorire dei rami di pesco, a fare una visita minuta, un esame coscienzioso della casa affinché da per tutto l’occhio vi possa penetrare senza farvi arrossire e che nel cantuccio più inesplorato della vostra abitazione le mani e i piedi possano inoltrarsi senza paura“.

pulizie-di-pasqua

Le Nonne Giannine, armate di stracci, secchi, palette e scope,  iniziavano così ad aggredire i vani di tutta la casa: in saloni, salotti, sale, tinelli, camere e camerette, studi e studioli i mobili venivano spostati dalle pareti, spazzolati accuratamente col “granatino di padule” (un piumino fatto con penne d’anatra o altri uccelli), ripassati con petrolio rosso considerato un ottimo antitarlo e infine lucidati con cera vergine.

I quadri, tirati giù dai muri, erano liberati dal grasso e dalla fuliggine di camini e stufe sfregando leggermente sulla tela delle patate crude tagliate a metà, mentre le cornici venivano ripassate intarsio per intarsio con un piccolo pennello intinto nell’olio di lino.

battipanni-epoca-vittoriana
(*)

I tappeti si stendevano sui terrazzi, sfregati con crusca umida e poi battuti senza alcuna pietà; le Giannine più evolute usavano dei battitappeto assai simili a quelli manuali di oggi. 
Le seggiole di paglia, i cui sedili si erano smollati e affossati al centro, venivano lavate con acqua caldissima e poste ad asciugare al sole, perché in tal modo la paglia si ritirava e ritornava tesa e dura: una volta asciugata la si spennellava con succo di limone
o olio di cedro onde evitarne la screpolatura.

Per rendere invece splendenti vetri e specchi, la nostra ava alchimista Giannina gettava 3 cucchiai di aceto in mezzo litro d’acqua bollente, unendo 50 grammi di Bianco di Spagna: la mistura produceva una schiumetta effervescente che veniva raccolta accuratamente, spalmata sulle superfici e infine, una volta asciutta, strofinata via con uno “zaffo“, un duro tampone di tela che conteneva un turacciolo.

Poi si partiva all’arrembaggio delle pareti  che venivano nettate centimetro per centimetro prima spolverandole con drappi di lana legati alla cima di un bastone, per togliere ragnatele e polvere; poi, con una spugna morbida e strizzatissima, lavandole dal basso e mai dall’alto, onde evitare di far scorrere sui muri già sudici dell’altro sporco.
Le macchie scure venivano cancellate con mollica di pane e l’unto delle tappezzerie di stoffa si smacchiava con amido di mais e colpi di spazzola.

Una volta finito con le pareti, si andava all’attacco dei pavimenti: prima di scoparli bisognava spruzzarli con l’innaffiatoio, un particolare imbuto la cui parte inferiore era chiusa e bucherellata da tre fori: l’acqua caduta pioggerellando al suolo impediva l’alzarsi di nugoli di polvere durante l’energico passaggio della scopa di saggina detta “granata“.

granate

Tolta la polvere, i pavimenti si disinfettavano coprendoli con sale da cucina su cui era stata versata qualche goccia di acido solforico: si aspettava che agisse (giusto il tempo di un paio di svenimenti dovuti alle esalazioni mefitiche) e poi si sciacquava con magmi fumanti composti da soda caustica, liscivia, alcol, sali ammoniacali e robine così.
Per lucidarli, esisteva la galera; pesantissimo arnese in ghisa -munito di manico come una scopa- sotto al quale si poneva uno straccio di lana per far brillare la cera (rigorosamente solida) stesa prima manualmente stando a 4 zampe.

Ogni Giannina aveva la sua ricetta privata (che si tramandava da generazioni) di qualche casalingo lavacro disinfettante e miracoloso, la cui efficacia era proporzionale all’intruglio di veleni mischiati.
Questo perché il Mantegazza ammoniva:
La pulizia è il primo e più forte nemico di tutti i parassiti. I sorci, i ratti, le cimici, le pulci, i pidocchi, le blatte, le mosche, le zanzare amano i luoghi sudici e le persone che non amano la nettezza e l’ordine sia domiciliare che personale“.

Perciò le Giannine brave massaie rischiavano ogni volta avvelenamenti tremendi pur di liberare le loro dimore dalla presenza di ospiti indesiderati.
Con pasta fosforata mista a polenta e cacio forgiavano delle palline fetide e ributtanti che avvelenavano i topi e talvolta anche i cuccioli di casa (cani, gatti e bambini).

Contro le mosche spargevano nelle stanze vischio o felci irrorati di latte; contro le cimici dei letti(dette “parassiti minori fetidi“) inzuppavano i pagliericci di acido fenico e tramavano contro gli scarafaggi riempiendo  grosse terrine di vino rosso, infilandole sotto l’acquaio di cucina, nell’attesa trepida che le repellenti bestie prima bevessero il vinello ubriacandosi e poi ci cascassero dentro, annegandoci.

Riguardo la pulizia del gabinetto (la cui storia vi avevo raccontato qui), lascio direttamente la parola al Dottor Mantegazza (pag 98):

Il cesso è una solfatara domestica; è una bolgia che dal suo cratere emana i gaz più velenosi e più asfissianti; è un nemico occulto che lentamente ma sicuramente ammorba l’abitato e appesta l’aria che respiriamo.
Il cesso è un nemico; conviene dunque ucciderlo o farlo fuggire disinfettandolo.
(…) Uno dei disinfettanti più economici è il carbone. Pigliate delle bracie ardenti, rompetele e fatele in polvere nel mortaio, aggiungetevi nell’acqua e versate quel nero intingolo nel vaso di Pandora chiudendo subito.
(…) Altrimenti gettate nella velenosa voragine un pugno di questa polvere facilissima a preparare: carbone in polvere 10 parti; gesso 1 parte; vetriolo verde 1 parte. Potete anche adoperare dell’acido solforico o alcune gocce di creosoto

Quindi, o uomini e donne del 2000, non lamentatevi più quando dovete pulir casa, neh?

© Mitì Vigliero