Quando le Genovesi si Arrabbiano: Le Erinni di Prè

Genova si trova la splendida Commenda di San Giovanni, uno dei luoghi più suggestivi e ricchi di storia della città.

L’edificio religioso nacque nell’XI secolo per volere dei Cavalieri Gerosolimitani (futuro Ordine di Malta) che lo vollero per un duplice scopo; quello di fungere da “stazione marittima” che radunasse i pellegrini e i crociati in partenza per la Terrasanta, e quello di Ospedale per i forestieri che lì trovavano accoglienza sia per essere guariti, sia per trascorrere la quarantena se sospettati di malattie epidemiche.

Certamente non era un luogo tranquillo; infatti il quartiere dove si trova è quello di Prè, che già da allora non godeva buona fama; immerso nel centro storico, vicinissimo al porto, quella città vecchia da sempre cantata e conosciuta come residenza fissa di figuri più o meno raccomandabili.

Dentro le millenarie mura della Commenda risuonarono spesso grida raccapriccianti, come quelle dei cinque cardinali che in una notte del 1385 vennero strangolati dai sicari salernitani di Papa Urbano VI, “uomo di ferocissimi costumi”, solo perché sospettati di essere seguaci dell’antipapa Clemente VII.

Ma anche intorno alle mura gli urli erano frequenti; risse, litigi, diverbi, scenate, tumulti vari scoppiavano spesso fra gli abitanti, in maggioranza camalli e lenoni, prostitute e ladruncoli.

Però uno di questi tumulti fu talmente violento e curioso da venire eternato su tutti gli Annali.

Nel 1700 la Commenda era retta da Padre Schiaffino, uomo gentile e generoso, molto ben visto dai parrocchiani del turbolento quartiere; ma un giorno incominciò a circolare la voce che il rettore sarebbe stato sostituito da un tale Don Piccardo, che aveva l’unico merito di essere il nipote di un alto prelato romano, il quale avrebbe gradito tanto per il congiunto un incarico importante e di prestigio.

La notizia si fece sempre più insistente e le donne di Pre, radunate in crocchi nelle piazzette, nei vicoli, o affacciate alle finestre sui bui carrugi, non parlavano d’altro: sempre più inquiete e agitate, ribollivano proprio come il mare quando minaccia tempesta.

E quando si ebbe la certezza che la notizia non era infondata, la tempesta scoppiò davvero.

Capitanata dalle quattro più arrabbiate i cui soprannomi “professionali” tramandati dalle cronache – la Buriana, la Sbobba, la Costosa e la Bugiarda – rendono bene l’idea di che tipini delicati fossero le personagge, la rivolta dilagò per tutto il quartiere, raccogliendo in un inferocito e ululante corteo centinaia di femmine scatenate appartenenti ad ogni ceto e mestiere.

Il corteo furibondo si diresse schiamazzando prima all’Arcivescovado, sostò poi sotto le finestre del Palazzo del Governo   lì vicino e terminò in salita San Paolo, dove si trovava la casa di Don Piccardo l’Usurpatore.

Lì, come furiose Erinni, le scignùe sfondarono la porta, e non trovando in casa il prelato che alla notizia era immediatamente fuggito a gambe levate, si sfogarono sulla sua perpetua e sugli arredi, facendone rottami.

Il giorno dopo, aumentate di numero e rabbia, ritornarono; stavolta non riuscirono a entrare e allora pensarono di incendiare la casa, cosa evitata però da un picchetto di soldati posti di guardia.

Così si limitarono a bruciare un fantoccio di paglia raffigurante il Piccardo, minacciando di fare altrettanto coi corpi – veri – di tutti i componenti dell’Arcivescovado.

Le autorità ecclesiastiche allora, pensarono bene di non trasferire più il vecchio rettore, il quale continuò sino alla morte il suo lavoro di Pastore fra pecorelle forse un po’ smarrite, sì, ma anche tanto affezionate.

© Mitì Vigliero

Storia delle Bandiere

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(Flickr)

Originariamente le bandiere (dal lat. med. “banda”, insegna)  erano meri simboli religiosi; la più antica fu lo stendardo dei Faraoni egiziani, considerati divinità.
Furono i re Assiri del IX sec. a.C. a utilizzarle per primi come insegne di guerra.

La cavalleria Romana usava i “signa”, insegne coi simboli delle legioni, e i “vexilla”, simili ai gonfaloni, mentre la fanteria faceva uso di lunghe aste sulla cui cima era fissata la figura dell’aquila.

Bandiera ufficiale degli imperatori romani era il “labaro”, stendardo di seta tinto con porpora e ornato d’oro, appeso con una sbarretta trasversale all’asta.
Da quello derivano tutti gli stendardi religiosi utilizzati nelle processioni cristiane, oltre a quelli delle varie associazioni d’armi, civili e militari.

In Europa l’utilizzo delle bandiere vere e proprie fu introdotto dall’Islam che a sua volta l’aveva appreso dall’India.
La bandiera di Maometto era nera, quella dei califfi Ommayadi bianca, mentre gli Abbassidi tornarono al nero: i califfi Fatimidi scelsero infine il verde, che divenne in seguito il colore ufficiale di tutto l’Islam insieme al simbolo della mezzaluna voluto nel 1250 dai turchi Osmanli.
E questi tre colori (nero, bianco e verde) ricorrono tuttora nelle bandiere degli Stati Arabi.
 
Nell’Europa medioevale le bandiere si diffusero numerose sia come insegne militari, sia come stemmi di casati nobiliari.
I Papi donarono spesso bandiere benedette raffiguranti santi ai Principi regnanti; così i diversi Re innalzavano, nell’entrare in guerra, gli stendardi coi rispettivi santi patroni.
Da lì nacque anche l’uso di prestare giuramenti di fedeltà davanti alle bandiere e di coprire con esse i corpi dei soldati caduti in battaglia.

La Francia fu la prima ad adottare la bandiera come simbolo nazionale; questo avvenne nel 1479 sotto il regno di Luigi XI.
La Gran Bretagna la seguì nel 1606 con l’Union Jack, “bandiera dell’unione”, vessillo del Regno Unito costituito dalla fusione della croce di San Giorgio (Inghilterra) con quella di Sant’Andrea (Scozia): nel 1801 venne aggiunta la croce di San Patrizio (Irlanda).

La Rivoluzione Francese assunse come bandiera il tricolore blu bianco e rosso, dal quale deriva il nostro primo tricolore (allora aveva strisce orizzontali, col verde al posto del blu) il 14 maggio 1795 in una dimostrazione di studenti e poi dai patrioti della Repubblica Cispadana e Cisalpina che combatterono con Napoleone nel 1796: l’anno dopo il nostro tricolore ebbe l’approvazione ufficiale del Bonaparte.

Nel 1814, con la caduta del regno italico e il ritorno dell’Austria il tricolore fu abolito, ma resuscitò nel Moti Carbonari, come vessillo della Giovane Italia e poi da tutti gli stati italiani che avevano o che ambivano un governo costituzionale.

Infine, con i colori disposti verticalmente e lo stemma dei Savoia al centro divenne nel 1861 ufficialmente simbolo nazionale del Regno; lo stemma venne abolito nel 1947 sostituendolo, in tipi speciali, con la Stella d’Italia a cinque punte coronata di quercia e alloro sullo sfondo di una ruota dentata simboleggiante il Lavoro, primo principio della nostra Costituzione.

E se volete saperne di più, ricordo che a Reggio Emilia, in Piazza Prampolini si trova il bellissimo Museo del Tricolore 

©Mitì Vigliero