Perché si dice Halloween

La festa anglosassone di Halloween deriva il suo nome dalla ricorrenza cristiana di All Hallows, Ognissanti, introdotta nel VII sec.

Ma la sera 31 ottobre era invece, per i pagani Celti, un’altra ricorrenza religiosa, quella della Morte dell’Estate; l’Inverno, freddo e buio, richiamava alla memoria il freddo e il buio della morte.

Proprio in quella notte si credeva che spettri, morti viventi e streghe si scatenassero contro gli umani; notte di vero terrore, in cui nessuno metteva piede fuori di casa.

E proprio nel ricordo di quella antichissima credenza, ancora nel 1600 quella notte per strada giravano solo “i Camuffati”, sorta di sacerdoti che, indossando mostruose maschere, vagavano per le vie danzando e gridando per spaventare spiriti e malocchio.

Solo dal 1800, dimenticata ogni origine storico religiosa e mantenuta solo la reminiscenza spettacolare e folkloristica – Halloween si tramutò in un’allegra festa in cui i bimbi, mascherati in modi spaventosi e buffi, vanno di casa in casa trascinandosi dietro un sacco e minacciando gli abitanti col motto “Trick or Treat”, scherzi o cibo; e per evitare brutti tiri, tutti donano dolci e pasticcini.

© Mitì Vigliero

QUI vi ho raccontato l’origine delle Zucche di Halloween e QUI tutte le usanze e i cibi italiani tipici del “periodo dei Morti”

Le Ricette di Casa Placida: ‘A Fugassa co-e Purpe. Antico “pan dei morti” Ligure

La Focaccia con la Polpa d’Olive

Chiamata Fugassa co-e purpe nel Levante ligure mentre nel Ponente è la Fugassa co-a murcia, nacque per utilizzare sino all’ultima briciola le olive appena spremute nei frantoi e, per tradizione e periodo, un tempo si trovava dai fornai solo a novembre, essendo un cibo tipico del periodo “dei Morti.

Il grande scrittore Vittorio G. Rossi (1889-1978) così raccontava i suoi ricordi d’infanzia a Santa Margherita Ligure:

“Quando c’era la Novena dei Morti, mia madre ci portava alla novena; era ancora notte, non c’erano neanche i primi segni dell’alba; si usciva nell’aria fredda di novembre, gli occhi pieni di piombo, alzarsi dormendo, fare i primi passi dormendo, imbattersi in quell’aria, sentire come una ferita e poi entrare nella chiesa coi lumi e le preghiere.
E poi lei ci portava nel forno appena aperto, c’era la “focaccia con le polpe”.
Era calda, nerastra, piena d’olio; c’erano dentro i piccoli pezzi di polpa di olive spremute nel frantoio e adesso ogni tanto mi tornano quelle mattine buie di novembre, quella luce tremolante che faceva chiaro ai morti e il sapore oliato e caldo della focaccia, e mia madre che amministrava quelle nove mattinate di cerimonia funebre, e riuniva i vivi e i morti, e le preghiere e la focaccia, come se tra il mondo di là e quello di qua lei sapesse senza dubbio alcuno quello che c’era, e come bisognava comportarsi” (da Maestrale, Mondadori, 1976 )

Se volete provare a farla in casa, la ricetta è questa:

1 kg di farina
lievito di birra
150 gr di olive nere taggiasche in salamoia o un barattolo del cosiddetto “patè d’olive”
olio
sale fine.

Se non usate il paté (di cui ne bastano 3,4 cucchiai abbondanti) , snocciolate le olive e pestatene nel mortaio (o col mixer) la polpa; mettetela in una ciotola unendo 2 cucchiai scarsi d’olio.

Impastate la farina unendo alla pasta la polpa d’olive e un po’ di sale. Lasciate lievitare a lungo, anche tutta una notte.

Disponete uniformemente la pasta – che risulterà quasi nera – sulla teglia unta (se la preferite più alta, usate pure una tortiera rotonda) , versate ancora un filo d’olio e con la punta delle dita schiacciate la pasta producendo anche qui le caratteristiche fossette della focaccia ligure.

Infornare a forno molto caldo, 240° e tirarla fuori quando è dorata (se alta, fare la prova stecchino); servire calda

© Mitì Vigliero