Ci sono momenti in cui, volenti o nolenti, ci troviamo in mezzo a un’“atmosfera elettrica” e annusiamo “aria di tempesta”.
Accade per motivi diversi l’essere coinvolti in un litigio, semplici spettatori o dirette parti in causa non importa, la cosa è sempre sgradevole; a meno che non si sia il terzo litigante, quello che gode.
Hanno un bel dire i sardi logudoresi “quandu s’unu non queret sos duos non brigant”, quando l’uno non vuole, i due non litigano; esistono persone realmente specialiste a “cercar rogne”, sempre pronte ad “incrociar le spade” con chiunque, certi del detto romano “chi mena primo, mena ‘du vorte”.
E dando ragione pure al vicentino “par chi gà voja de baruffare, ogni mosca la diventa un elefante”, spesso sono solo stupidi pretesti quelli presi a prestito per “scatenar la rissa” magari con chi, in tempi passati, ha fatto all’ “attaccabrighe” uno “sgarro” mai dimenticato.
A Napoli, per definire uno sempre pronto a “piantar grana” dicono “a chillo le prore ‘o naso”, a quello prude il naso; a Manfredonia lo definiscono “n’appicce a fuche”, un appiccafuoco.
Infatti “per amor di polemica” spesso si “dà fuoco alle polveri” senza calcolar bene la lunghezza della miccia; potrà essere solo “un fuoco di paglia” o un vero incendio neroniano poiché, come dicono gli inglesi “il peggio delle liti è che da una ne nascon cento”.
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Una volta poi “alzata la voce” e scatenata quella che i liguri chiamano “ratélla” e i veneti “baruffa“, le cose degenerano; volano gli insulti, sovente chi era “dalla parte della ragione” sprofonda in quella del torto proprio grazie ad un’esagerata, volgare reazione.
Sì, vabbé, secondo i tedeschi “meglio un piccolo insulto che un grave danno”: ma imparare a “misurar le parole” anche in preda ai “fumi dell’ira” dovrebbe essere dote degli uomini civili.
E se proprio devono “volar parole grosse”, ci si sforzi almeno di trovarne di originali.
Ad esempio, se si vuole intimorire il contendente con forza ma anche cultura, potrà servire la minaccia veneta “Te fasso i oci a la Tosca” (ti faccio gli occhi alla Tosca) originata da una strofa della romanza “Recondite armonie”: “Tu azzurro hai l’occhio./Tosca ha l’occhio nero”.
Altrimenti, optare per il genovese “Se te dixan che t’è fùrbo, asbrirìteghe”, se ti dicono che sei furbo, reagisci violentemente perché t’hanno offeso.
Così chi viene insultato in maniera inurbana potrebbe anche ribattere con la gentilissima, ambigua, perfida frase: “Dio ti dia del bene secondo i tuoi meriti”.
Ma se la rabbia “facesse veder rosso”, e si sentisse il bisogno di urlare in faccia all’antagonista un qualcosa di volgare, c’è sempre l’antico detto veneziano: “Chi gà taca, chi no taca no gà: ma chi taca gà!”, ossia “chi ha attacca, chi non attacca non ha: ma chi attacca ha!”.
Dite che non è volgare? Ripetete attentamente ad alta voce l’ultima frase…
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