Breve Storia del Reggiseno

 

Le donne si sono coperte il seno sin dai primordi della civiltà umana; all’inizio lo facevano non per pudore, ma per proteggerlo  e soprattutto per poter assorbire il latte nel periodo dell’allattamento.

Le greche, durante le manifestazioni sportive usavano l’ ‘”apodesmo“, stretto bendaggio avvolto attorno alle mammelle, che serviva ad impedire che ballonzolassero durante le corse.

A le fanciulle etruscheromane si strizzavano in larghe fasce – dal poco romantico nome di “taenia”- con l’intento (e l’illusione) di far crescere poco il seno e mantenerlo piccolo, come imponeva la moda allora.
Ma dato che alla natura non si comanda, arrivavano regolarmente a costringere gli inevitabili tettoni col “mamillare“, un corpetto di rigido cuoio.

Le cortigiane romane invece  avevano capito subito che il reggiseno poteva essere un utile strumento di seduzione e indossavano uno “strophium” fatto di sciarpe peccaminosamente trasparenti che il poeta Marziale definiva “trappola cui nessun uomo puo’ sfuggire, esca che riaccende di continuo l’amorosa fiamma”.

Le atlete dei giochi nautici esibivano l’antenato del due pezzi, il “subligaculum”, esemplari dei quali si possono vedere nei mosaici di Piazza  Armerina.

Nel 1200 , soprattutto nel Nord Europa, c’era il  “pelicon“; un corpino portato  tra sottoveste e vestito, spesso imbottito di pelliccia come malizioso richiamo amoroso.

Dal ‘300 la malizia esplose un po’ troppo; Dante si sdegnava con le donne fiorentineche van mostrando con le poppe il petto” e nel 1342 i legislatori perugini proibirono le scollature “dalla forcella de la gola en giu’“.

Ragusa il Sacchetti descriveva le sue sfacciate conterranee che andavano “in giro con capezzale tanto aperto da mostrar piu’ giu’ che le ditelle (le ascelle)” e anche le milanesi non scherzavano; è del 1498 un editto in cui si vieta alle scollature di scendere “non oltre un dito della mano sotto la fontanella della gola” . E conoscendo le donne, veniva anche precisato che  “detto dito s’intende di traverso“, non in verticale.

Tra i sec. XV e XVI, per pudore religioso ma ancor di più per moda che voleva solo aspetti ascetici e regali, i seni scomparvero, appiattiti come pizzette sotto bende spesse.

Alla fine del ‘600 però iniziarono a diffondersi i “corsetti” che imperversarono per tutto il ‘700 e l’ ‘800 divenendo i sexyssimi ma famigerati “busti“.

 

Quella che doveva sparire era la pancia: in compenso le mammelle si dovevano mostrare eccome, spinte all’insù da busti corazzati con stecche di balena e ferro.

 

Quando non svenivano per lo stritolamento delle stecche, le dame d’allora ansimavano sempre un po’ causa difficoltà di respiro date dalle stesse: così i poeti d’allora cantavano “i palpitanti cor”, utilizzando ovviamente la romantica parola “cor” come metafora.

Fu solo nel 1911 che una ricca miss americanaMary Jacobs, sfoggiando di giorno al Lido di Venezia estrosi (per allora) completi pantalone che lasciavano scoperto il pancino e la sera trasparentissimi abiti lunghi che non potevano essere indossati col busto, cucendo insieme due foulard di seta, imbottendoli d’ovatta causa scarsità di materia prima sua e cucendo due fettucce come spalline, inventò il reggiseno vero e proprio.
Da pratica fanciulla made in USA, tornata in patria due anni dopo brevettò l’idea, divenendo più ricca che pria.

© Mitì Vigliero

Vestiti e Colori e Nonna Bis

Colonna sonora

 


(©Epiphanyglass)

 

Non ho mai seguito la Moda, né nei comportamenti né nell’abbigliamento; sono grata a mia madre che mi ha insegnato l’importanza della diversificazione: fare o indossare caparbiamente una cosa solo perché è di Moda non è indice di carattere e personalità, ma di esser vittime della massificazione.
E mi è sempre piaciuta la definizione della Moda nei vestiti che diede Claus Biederstaedt, attore tedesco degli anni ’50: “Moda si chiama l’obbligo di divisa dei civili“.

In ogni caso sono contenta che quest’anno il colore di moda sia il viola; adoro il viola, in tutte le sue sfumature (e qui ci vorrebbe l’esperta Giarina per illustrarcele).

E’ una passione che ho ereditato dalla Nonna Bis, mamma di mia Nonna, che ho avuto la fortuna di avere vicino per molti anni (tra me e Mamma c’erano 20 anni; 40 tra me e Nonna, 60 fra me e la Bis: quando è mancata avevo 22 anni…).

La Bis era milanese, si chiamava Anna Bressi Grigioni; moglie del mio Bisnonno Arturo era rimasta vedova giovanissima e dopo la guerra, quando un bombardamento aereo le aveva disintegrato casa, si era trasferita a Genova da sua figlia.

Nonostante i lustri e lustri passati nella Superba, la Bis continuava a parlare e pensare in meneghino; leggeva il giornale e diceva “C’è stata una rapina in via Assarotti numero vundes“, chiamò per tutta la vita Ambrosiano il Corriere Mercantile e mi chiamava cinciapétta. Amava il viola, la Bis; ricordo i suoi vestiti, che avevano sempre almeno un punto di viola; ricordo i suoi gioielli di ametista, che ora indosso quotidianamente.
Usava come profumo la Violetta di Parma, ed era golosa di piccole caramelle alla liquerizia al sapore di viola.

Per questo io, che proseguo quella sua predilezione, sono contenta quest’anno di vedere le vetrine dei negozi pullulanti accessori e indumenti color viola; perché ogni volta che li compro e li indosso, mi sembra di avere a fianco la mia Bis che mi guarda soddisfatta.

Non c’è Moda che tenga; vestire con determinati colori è per me rispecchiare l’umore della giornata, o “portarmi addosso” ricordi e affetti.

Certo esistono colori che non indosserei mai, e per i quali provo un’antipatia istintiva; l’arancione, ad esempio. O le tinte “acide” come certi gialli o verdi.
Solo a vederle provo disagio; il motivo non lo so, ma davvero mi vengono i brividi solo a vederle.

In poche parole: scelgo i colori con l’epidermide ed il cuore.

© Mitì Vigliero