Salasso, cataplasmi, lumache, letame: follie della medicina antica

Per gli antichi la base della medicina erano le erbe; l’edera ad esempio combatteva le sbronze e il laucoceraso provocava visioni mistiche: infatti la Pizia di Delfo ne faceva grandi scorpacciate prima di esibirsi nelle sue profezie.

E l’omeopatia era già in voga ai tempi d’OmeroUlisse infatti guarì Telefo ferito da una freccia strofinandogli sulla piaga un impiastro fatto con la limatura di ferro ottenuta della stessa freccia: sarebbe come ora guarire una ferita di pistola strofinandoci sopra la pallottola.

Plinio, fantasioso, affermava che per curarsi la vista occorreva :
«spogliarsi nudi, cogliere un fiore di melograno con il pollice e il quarto dito della mano sinistra* , stropicciarsi col fiore gli occhi e inghiottirlo intero facendo in modo che non tocchi i denti». (* Vi vedo che state mimando il gesto eh?)

E poi, «per guarire quell’ingrossamento delle ghiandole chiamato scrofola si deve tirare a sé, con la testa rovesciata per non guardarlo, un ramo di fico, strappare poi un nodo al ramo coi denti senza essere visti da nessuno (onde evitare figure barbine) e sospenderlo al collo inviluppato d’un pezzo di pelle fine».

Dal 1200 in poi imperversò la moda dei salassi, usati per qualunque cosa.
Questa moda vampiresca del succhiar sangue ai pazienti anche per un semplice raffreddore durò sino ai primi del 1900, quando i medici iniziarono a nutrir sospetti sulla causa di tante morti per anemie.

E poi tisane, tante tisane: malva per i ritardi femminili (che non sono quelli dovuti al prepararsi prima di uscire a cena), salvia contro il delirium tremens,crescione contro l’alopecia.

Però le erbe erano indubbiamente meglio d’un altro antichissimo medicamento strausato: l’orina.

Quando Ferone – figlio di Sesostride re d’Egitto (12^ dinastia) – divenne cieco, i medici gli promisero la guarigione se si fosse lavato gli occhi con la pipì di una donna fedele al marito.

Dopo affannose ricerche per il Regno, solo l’umile moglie d’un giardiniere fu trovata degna di offrire il medicamento e Ferone, guarito, la sposò (Che fine abbia poi fatto il marito giardiniere, la storia non lo narra e noi non indaghiamo).

Nel XVIII sec. il prezioso repellente liquido serviva normalmente per disinfettare le ferite, lavare i capelli infestati da pidocchi e fare il primo bagnetto ai neonati.

Nel 1500, la pazzia veniva guarita trapanando il cervello del paziente: non si interveniva chirurgicamente, si faceva solo un buco dal quale Madama Follia imprigionata nella scatola cranica se ne sarebbe di certo uscita. Come no…

La febbre quartana si curava attaccando la raschiatura dell’unghia del malato al collo di un’anguilla impacchettata viva in un tovagliolo, e poi buttata in acqua; oppure legando al collo del malato un chiodo tolto da una forca.

Per far passare la tosse bisognava sputare nella bocca di una rana mentre saltava; contro il panico, mangiare il cuore o gli occhi di un leone mentre, per curare la raucedine, occorreva nutrirsi di noti canterini quali pappagalli, canarini e usignoli, tanto allora non esisteva il WWF.

Quando il Cardinal Mazzarino aveva la gotta, dopo il solito salasso, gli si circondava la gamba con un enorme cataplasma bollente fatto con letame di cavallo.

Il cardinal Richelieu, che soffriva d’acidità di stomaco, fu costretto più volte a bere del letame, stavolta di mucca, diluito in vino bianco; e ciò può spiegare il pessimo carattere del prelato.

La calvizie si curava spalmandosi sulla zucca 300 lumache (non una di più, né una di meno) bollite in alloro, miele, olio e sapone.

Nella metà del Cinquecento il famoso medico francese Ambroise Paré, contro l’itterizia consigliava d’ingoiare due volte al giorno un paio di cucchiaiate di vermi di terra, detti volgarmente lombrichi. Contro l’asma invece rimpinzava i suoi malati di polmone di volpe macerato in vino rosso caldo.
Non c’è però da stupirsi delle sue cure. Basta leggere alcuni titoli di tesi di dottorato discusse dai suoi allievi alla Facoltà Medica di Parigi:

-Le donne belle sono più prolifiche delle altre?
-Ubriacarsi una volta al mese è salutare?
-La donna è più lasciva dell’uomo?
-I bastardi hanno più spirito dei figli legittimi?
-Le comete presagiscono le malattie?

Infine per la polmonite ci volevano impacchi ghiacciati, e le cosiddette «malattie del gatto» ai genitali si nascondevano sotto spessi impiastri di zolfo puro e resina: il che era talmente disgustoso da impedire di sicuro il diffondersi dei morbi attraverso rapporti sessuali.

© Mitì Vigliero

I Sussurri di Eolo

Aglio: Antica Panacea di tutti i mali

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MirellaWognum)

L’aglio può essere considerato uno dei primi medicinali della storia umana.
Già nel 1550 aC il Codex Ebers, papiro egiziano lungo venti metri, descriveva alcune centinaia di ricette mediche a base di aglio; il medico greco Ippocrate (460-377 a.C.) invece ne esaltava le proprietà diuretiche, lassative, aperitive ed emmenagoghe, consigliando di includerlo nella maggior parte delle vivande secondo il saggio principio “il tuo cibo sia la tua unica medicina, e la medicina il tuo unico cibo”.

I metodi in cui l’aglio veniva usato nell’antica medicina, sono i più disparati.

Ad esempio,  per accertare la fecondità di una donna, sempre Ippocrate descrive il metodo – ereditato dalla medicina egiziana- della “Prova del profumo“: bisognava far bollire una testa d’aglio e, fattone un pessario, infilarlo nella vagina della donna per un giorno intero.
Se il giorno dopo “il fiato” (sia quello del naso che quello della bocca) della donna sapeva d’aglio, significava che essa poteva concepire (sic).

Da parte sua, Esculapio  eliminava i vermi intestinali con quelli che chiamava i Sussurri di Eolo: prima masticava accuratamente tre o quattro spicchi d’aglio, poi soffiava il suo alito sull’ombelico dell’ammalato: secondo lui, i vermi fuggivano, disturbati dall’odore.
 
Discoride fu il primo a scoprirne ufficialmente le virtù tenifughe, atte cioè a combattere le infestazioni da tenia; invece Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, racconta che ogni soldato romano, sia in battaglia che nel corso delle esercitazioni, doveva avere per legge la sua scorta di Allium sativum ben conservato, e doveva consumarne una testa al giorno contro le infezioni e le diverse epidemie (era il chinino di allora) perché “vermifugo, odontalgico, diuretico neutralizza tutti i veleni, guarisce la lebbra, l’asma e la tosse”.

 A sua volta Pedanio Dioscoride, farmacologo greco del I secolo d.C. che fu per lungo tempo  il medico ufficiale dell’esercito romano, nella sua Materia medica a proposito dell’aglio scriveva:

E’ aspro, stimola l’intestino, asciuga lo stomaco, mette sete e riduce le escrescenze della pelle.
Se introdotto nella dieta regolarmente è diuretico, e aiuta ad eliminare i parassiti intestinali.
Se macerato nel vino è ottimo contro i morsi di serpente e cani rabbiosi. Se consumato crudo o bollito schiarisce la voce e allevia la tosse.
Se bollito insieme con l’origano debella i pidocchi e le cimici.
Se bruciato e mischiato col miele, cura le macchie bianche della pelle, l’herpes, le eruzioni cutanee da fegato, lebbra e scorbuto.
Se bollito con legno di pino e incenso allevia il mal di denti.
Se abbinato alle foglie di fico e ai semi di cumino, funziona da cataplasma contro i morsi del topo ragno.
Se utilizzato insieme con le olive nere, potenzia l’effetto diuretico.
E’ utile anche per alleviare i dolori del travaglio e favorisce la fuoriuscita della placenta

In compenso, i lottatori dell’antica Grecia  lo usavano come micidiale “doping” prima delle gare; secondo loro aumentava la forza e la resistenza, secondo altri maligni e invidiosi dell’ellenica abilità sportiva, era tutto merito dei diabolici effluvi che emanavano se essi vincevano regolarmente gli incontri.

 “L’aglio mangiato ne’ cibi, è rimedio a tutti i veleni, et però si chiama la Theriaca de’ villani” sentenziava Castor Durante nel Tesoro della sanità, mentre il Pisanelli, nel suo Trattato della natura de’ cibi e del bere scriveva:
“L’aglio dona sempre giovamenti: secco è contra il veleno, fresco chiarisce la voce, ammazza i vermi, provoca il coito e l’orina”. 
E due secoli fa Sir John Harrington, medico britannico autore de The Englishman’s Doctor, raccomandava:
“L’aglio ha la proprietà di salvare dalla morte; sopportalo, anche se rende l’alito disgustoso, e non disprezzarlo come quelli che sono convinti che faccia solo bruciare gli occhi, bere smodatamente e puzzare”.

 Nel Settecento, in Francia, il suo forte sapore veniva usato per mascherare quelli atroci della cantaride o dell’ambra grigia che si mettevano nei cibi per renderli afrodisiaci; ma spesso, nonostante l’aglio, se si sbagliavano le dosi, si finiva condannati a morte per tentato avvelenamento, come capitò nel 1772 a quel gentile signore nomato Marchese de Sade.

Invece l’ignoto autore dell’un tempo diffusissimo Manuale di medicina domestica  (edizioni Cioffi, 1863), alla voce aglio scriveva:
“Si è dimostrato alla prova un ottimo antisettico per le vie respiratorie, con esito meraviglioso nelle bronchiti fetide; giova ai tubercolosi e ai rachitici; in casi di epidemie, mangiate dell’aglio come cura preventiva”, concludendo infine lapalissianamente: “Se non volete dar noia col vostro fiato a’ parenti e a’ vicini, consigliate la cura anche a loro”.

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Plinio definì per primo l’aglio “la miglior prevenzione contro la peste”, convinzione che durò secoli e secoli.
Il celeberrimo “Aceto dei quattro ladri”, ad esempio, nacque nel XII secolo proprio durante una terribile epidemia di “Morte Nera”.
Narra la leggenda che quattro delinquenti, approfittando della calamità, svaligiavano le case e le botteghe delle contrade infette rimanendo sempre indenni dal contagio.
E sapete perché? Perché usavano intridersi di una pozione miracolosa, che aveva come base l’aceto e varie erbe, tra cui l’aglio.
Ancora oggi qualcuno lo usa non con intenzioni di sciacallaggio, ma come semplice disinfettante per detergere le ferite o sterilizzare le mani .
La formula magica, una delle tante, è questa:

20 gr. di cime fiorite di assenzio romano, rosmarino, salvia, menta, ruta e lavanda
30 gr di aglio, noce moscata, chiodi di garofano, calamo aromatico, cannella
5 gr di canfora
1 litro e un quarto di purissimo aceto di vino bianco
.
Macerare gli ingredienti per 10 giorni, poi filtrare e conservare il liquido in una bottiglia scura che abbia il tappo di vetro smerigliato.

Durante le 45 epidemie di peste che martoriarono l’Europa tra il 1500 e il 1720,  si diffuse una macabra filastrocca che i bimbi cantavano giulivi facendo il girotondo:

Una ghirlanda di rose,
un mazzolino d’aglio,
ed eccì ed ecciù,
tutti cadiamo giù
.

La ghirlanda di rose si riferisce ai piccoli esantemi, pustoline rosse che comparivano sul corpo delle persone infette, il primo sintomo della Morte Nera. Il mazzolino d’aglio era il simbolo della convinzione che gli odori forti e penetranti combattessero il fiato tossico dei demoni diffusori della malattia;  l’ “eccì ecciù” raffigura onomatopeicamente la raffica di starnuti che era un altro sintomo della peste, mentre infine la frase  “tutti cadono giù” alludeva alle migliaia di morti causate dall’orrenda tabe.

Durante l’epidemia di peste annata 1528 a Bordeaux, un ancora non noto Nostradamus per impedire l’ulteriore diffondersi del morbo chiese ed ottenne dalle autorità che i cadaveri venissero sotterrati profondamente con strati di calce viva, consigliò l’incenerimento dei rifiuti per evitare il nutrimento dei topi e delle loro terribili pulci, ma soprattutto pretese che ovunque venisse osservata la più scrupolosa igiene del corpo, con cambi frequenti di abiti, utilizzo di maschere filtranti (tipo quella dell’immagine) e frequenti frizioni di vesti, maschere e mani con una pozione di sua invenzione, a base di aglio e aloe, che doveva anche essere ingerita a mo’ di vaccino.

Ma anche per le nuove “pesti” l’aglio resta importante.
Dopo l’11 settembre, funesta e indimenticabile data della tragedia delle Twin Towers di New York, vi fu il terrore di un altro atto terroristico, quello dell’epidemia di antrace diffusa tramite posta.
Immediatamente si diffuse la leggenda metropolitana che le lettere all’antrace, per essere “disinnescate”, dovessero venire aperte con le mani impregnate di succo d’aglio, e poi accuratamente stirate con ferri a vapore nel cui serbatoio si fossero in precedenza versate gocce d’estratto sempre d’aglio.

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Per lungo tempo nell’Italia rurale, l’aglio fu la base di ogni medicamento:   in Romagna considerato l’antidolorifico più efficace, nel Bolognese validissimo per curare le otiti, nel Polesine e in Sardegna un valido rimedio contro i dolori di ventre.
Gli spicchi venivano usati esternamente per combattere coliche (Sicilia),  mal di denti (Modenese),  geloni (Puglia),  mal di gola (Valle d’Elsa) e  piattole (Friuli). 

Erano soprattutto le nonnine ad apprezzare molto le virtù medicamentose dell’aglio, l’unico – anche secondo loro, inconsapevoli seguaci di Esculapio – portentoso cacciavermi dal pancino dei loro nipoti; per questo ne facevano ingurgitare spicchi interi ai bambini, o ammannivano loro brodini in cui l’aglio pestato galleggiava al posto della pastina.

Non contente, ne appendevano sulle culle vezzose ghirlande, le stesse che ponevano a mo’ di collana terapeutica attorno al collo dei poveri innocenti appena cominciavano a camminare. 

 Se una “botta di vermi” particolarmente grave colpiva un piccolo, veniva allora chiamato un guaritore possibilmente settimino (pare che ogni paese ne fosse fornito) il quale massaggiava l’epa del paziente con aglio e olio, pronunciando formule in cui solitamente venivano invocati  Santi e Beati.

In Sicilia, una delle tante formule scaramantiche antivermi all’aglio era questa:

Cui tri nomi dilla Crozza
Patre e Figghiu e Santu Spiritu,
sutta l’occhiu di Maria
cu la Crozza supra a panza
u spicchiu d’agghiu,
guccieddra d’ogghiu,
cacciu i vermi nell’Infernu
.

©Mitì Vigliero,  da Saporitissimo Giglio