(foto Wikimedia ©Giovanni Dall’Orto)
Era il 1546 quando il Conte Tommaso Marino decise di trasferirsi da Genova a Milano; aveva 71 anni, un discreto patrimonio ottenuto con i suoi affari da “banchiere”, un carattere infernale e un notevole pelo sullo stomaco.
In pochi anni divenne ricchissimo riuscendo ad aggiudicarsi il Monopolio del Sale proveniente da Venezia e destinato a Genova e Milano; prestando soldi con interessi da strozzino ai Gonzaga, alla Spagna, alla Tesoreria dello Stato di Milano, alla Francia e pure al Papa ottenendo in cambio, oltre titoli e privilegi, anche terreni e palazzi sparsi per tutto lo Stivale.
I suoi affari non erano quasi mai puliti; aveva un esercito di “bravi”, veri pendagli da forca che gli sistemavano i conti in sospeso con avversari e clienti insolventi, oltre scorrazzarlo in giro per Milano con una portantina tutta d’oro.
A 78 anni s’invaghì di Arabella Cornaro, giovanissima e splendida figlia di un patrizio veneziano e discendente diretta della Regina di Cipro; la vide un giorno vicino alla chiesa di San Fedele, e decise che sarebbe diventata sua ad ogni costo.
Ne chiese la mano al padre il quale, conoscendo il tipetto, rifiutò seccamente non trovando però di meglio come giustificazione che dire: “Non darò mai mia figlia in moglie a chi non possa farla vivere in un palazzo sontuoso come i nostri a Venezia”.
Detto fatto, il Marino fece rapire dai suoi bravi la bella Ara e ne ottenne la mano promettendo in cambio la costruzione di un palazzo da favola.
Contattò l’architetto Alessi, che ne disegnò il progetto.
Acquistò con le buone e le cattive tutte le case che si trovavano sul lato sinistro di San Fedele, ne cacciò gli abitanti, le rase al suolo e nel 1558 pose la prima pietra di Palazzo Marino.
Risale proprio ad allora una nota conta infantile milanese:
Ara, bell’Ara, discesa Cornara
de l’or del fin
del Cont Marin
strapazza bardocch
drent e foeura trii pittoch
trii pessitt e ona massoeura,
quest l’è drent e quest l’è foeura”
Questa, in mezzo parole intraducibili, ricorda il Conte e i suoi bravi che menavano i poveretti con armi decorate dallo stemma del Conte Marino, composto da una mazza (massoeura) e tre pessit (tre pesciolini).
Insomma, milanesi giunsero ad odiarlo e su Palazzo Marino venne lanciata una maledizione:
Congeries lapidum
multis constructa rapinis
aut uret, aut ruet, aut alter raptor rapiet.
(Accozzaglia di pietre, costruita grazie a molte ruberie, o brucerà, o crollerà, o sarà rubata da qualche altro ladro).
La maledizione funzionò, ed i guai arrivarono a frotte; il Marino morì il 9 maggio 1572, a 97 anni, in assoluta solitudine e pieno di debiti causati proprio dalla megalomane costruzione.
Poco prima la bella Ara era stata trovata impiccata al baldacchino del suo letto nella residenza di campagna; infine, tanto per rallegrare la discendenza, nel 1575 la figlia di Tommaso, Virginia, sposata al nobile spagnolo Martino de Leyla, a Palazzo Marino diede alla luce Marianna: la futura Monaca di Monza.
Il palazzo cadde nelle mani degli Spagnoli prima e degli Austriaci poi; nel 1943 venne gravemente danneggiato dai bombardamenti e nel 1961 divenne Sede del Comune di Milano: honni soit qui mal y pense, eh?