La Felicità: Proverbi e Modi di Dire

Gli antichi greci dicevano “La felicità è la dote della gioventù”, forse perchè da ragazzi si è più incoscienti, ma soprattutto più pieni di speranze e slancio vitale; per questo Mark Twain era solito ripetere “La vita sarebbe infinitamente più felice se nascessimo a 80 anni e gradualmente ci avvicinassimo ai 18”.

In realtà il bipede implume nomato uomo va alla caccia della Felicità sia da giovane che da vecchio, perché essere felici fa bene alla salute: “Gioia in cuore fa bel colore” e l’”Allegria fa bello il viso”.

Quando si è sereni sembra che tutti ci vogliano più bene, i musi lunghi non piacciono a nessuno: “Ridi e il mondo riderà con te, piangi e sarai solo a piangere” diceva  Herbert Wilcox.

Però è anche indubbio che “Non tutti son felici quelli che sembran tali” e  a questo proposito il Metastasio scriveva :

Se a ciascun l’interno affanno
si leggesse in fronte scritto
quanti mai che invidia fanno
ci farebbero pietà
.

E’ la dura legge della convivenza civile e di alcuni mestieri: “Spesso la bocca ride mentre il cor piange”, da qui il drammatico grido “Ridi pagliaccio!” del Leoncavallo, o il cinico motto hollywoodiano Show must go on , lo spettacolo deve continuare.

Però è anche indubbio che “Gioia e sciagura sempre non dura”, nonostante qualche saccente ci tenga a sottolineare che “Non v’è gioia senza noia”.

Il percorso per essere felici è difficoltoso e pieno di ostacoli; “La gioia è sospesa alle spine”, qualche volta per raggiungerla si soffre molto e una volta arrivati con estrema fatica, si ha sempre paura di perderla:

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede teso ghiaccio che s’incrina
.

(Montale).

In ogni caso non bisogna mai dimenticare che “Un momento di gioia compensa cent’ anni di amarezze”; infatti da sempre “I numi danno la gioia dopo il dolore” e “Dopo la pioggia torna il sereno”: un po’ d’ottimismo è fondamentale, e quello possiamo trovarlo solo dentro di noi.

Ma anche un po’ d’aiuto esterno non guasta; per i napoletani “E denare non fanno felicità, quanno sun poche…”; i soldi non daranno la felicità, però indubbiamente aiutano a sopportare meglio il dolore.

L’importante è rendersi conto di essere – nonostante tutto – felici almeno un po’, dato che “La felicità e l’arcobaleno non si vedono mai sulla propria casa ma solo su quelle altrui”. E a volte forse basta un minimo di attenzione, per trovarla: La felicita’ e’ un bene vicinissimo, alla portata di tutti: basta fermarsi e raccoglierla. (Seneca).

Bisognerebbe anche imparare ad essere felici con poco:

C’è un’ape che se posa su un bottone di rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa
.
(Trilussa)

E infine, o tenere sempre a mente quella che forse è l’unica vera ricetta della Felicità: Chi vuol vivere e star bene, pigli il mondo come viene. Oppure scrollar le spalle e ripetere ciò che diceva  Marcello Marchesi:  Chi è felice è stupido; non e’ vero, ma consola.

© Mitì Vigliero

Strade dai Nomi un po’…così: Toponomastica Maliziosa

Capita a volte di trovarsi di fronte a indirizzi che riportano nomi di strade, vie o piazze non propriamente eleganti; i Comuni italiani, nel corso dei secoli, hanno spesso cercato di censurare il censurabile, salvando sì la pudica sensibilità, ma in realtà cancellando definitivamente pagine di storia locale.

Ma meno male che esiste la memoria umana a mantenere in vita toponimi antichi.

Accadde ad esempio a Bologna con la leggendaria Via Sfregatette, stradina così stretta che due passanti diretti in direzioni opposte incontrandosi erano costretti a mettersi faccia a faccia e a toccarsi strisciando.
Pensando a come ribattezzarla in modo più signorile, non trovarono di meglio che Via Senzanome  che sarà sì più raffinato, ma che in dialetto bolognese viene pronunciato “Suznòmm” e compreso quindi  come “Sozzonome”, che tanto carino non è.

Se a Venezia c’è il Ponte delle Tette, di cui vi ho già raccontato la storia, a Genova c’è Vico Carabraghe: un tempo si pensava che il termine avesse il significato goliardico di “cala braghe”, visto che per anni e anni il vicolo aveva ospitato  case chiuse.
In realtà si riferisce alla “carabraga”, un antico strumento di guerra, sorta di catapulta per lanciare proiettili sui nemici.

Sempre a Genova abbiamo Via del Ciazzo a Sturla, che non si riferisce a quello che state pensando ma allo storpiamento della parola latina plaxium che indica “terreni degradanti verso il mare e pendii erbosi in lieve inclinazione”, così la miriade di  Vie, Mura, Piazze Chiappa, Chiappare, Chiappe, Chiappella  non si riferiscono a celebri glutei bensì a quelle pietre sporgenti e lisce di cui parla anche Dante Alighieri: “Potevam su montar di chiappa in chiappa” (Inf. XXIV v.33)

Infine a Nervi c’è una zona chiamata Fossato Scagaggino, che deriva dalla voce dialettale scagagge, ossia le cacchette di mosche, pulci e topi.

 


A Roma spicca Via delle Zoccolette, che deve  tale nome alla presenza, di un tempo, di un collegio per trovatelle (quasi tutte figlie abbandonate dopo illeciti amori) dedicato ai Santi Clemente e Crescentino. 

Le orfanelle andavano a messa ogni domenica  nella chiesa di fronte; calzavano zoccoli di legno, che risuonavano rumorosi sul selciato. Ed essendo buttate fuori dal collegio appena raggiungevano l’adolescenza, si sapeva che la maggioranza era purtroppo destinata al mestiere più antico del mondo, divenendo quelle che a Roma si chiamano zoccole.

Anche a Firenze c’è una piccola, incantevole piazza (formata dall’incrociarsi di Via dello Sprone con Via dei Vellutini) il cui nome non era ufficialmente riconosciuto dalla toponomastica cittadina perché poco morale.

Così le guide turistiche e gli stradari la indicavano – quando la indicavano – come Canto ai Quattro Leoni, mentre i fiorentini imperterriti continuavano a chiamarla come da secoli l’avevano sempre chiamata: Piazza della Passera.

Le origini del nome paiono essere due; la prima, dolce e romantica e quindi tristissima, ci catapulta nella Firenze del 1348.

La zona Oltrarno ove si trova la piazza, era abitata soprattutto da commercianti e artigiani ebrei; infatti i nomi delle strade di quel quartiere derivano dai loro mestieri: via dei Velluti (mercanti tessili), via dei Ramaglianti (artigiani del rame) e così via.
Erano ancora liberi cittadini, visto che l’obbligo del Ghetto avvenne solo nel 1571.

La storia, raccolta dal Bargellini, narra che un giorno dei bambini trovarono nella piazzetta una passerotta agonizzante.

Spinti da compassione, mobilitando anche gli adulti, cercarono di salvarla; nessuno comprese quale morbo l’avesse colpita, e di lì a poco, nonostante le cure, la poveretta defunse.

Dopo pochi giorni tutti coloro che avevano avuto a che fare con la pennuta, si ammalarono dello stesso morbo non più misterioso: la peste, che in pochi giorni, per colpa della passera untrice, si diffuse per tutta la città dimezzandone gli abitanti.

La seconda versione, di gran lunga più goliarda e probabilmente più veritiera, si riferisce a un grande postribolo che lì si trovava già nel 1328.

Funzionò ininterrottamente per secoli, ed ebbe illustri e fedeli frequentatori, come Cosimo I° de’ Medici che pare ci facesse una capatina tutti i giorni.
Nel 1920 venne abbattuto il rudere di una famosa casa che ne aveva raccolto l’eredità d’esercizio, ma il nome dato in suo onore alla piazza da generazioni e generazioni di fiorentini rimase, anche se solo verbalmente.

Nel 2006  però, con delibera della Commissione Toponomastica (ottenuta con 12 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astenuti) Piazza della Passera è diventata, finalmente, un toponimo ufficiale del Comune di Firenze.

© Mitì Vigliero

Per la Serie “Italiani che mi mancano”: Marcello Marchesi. Frasi tratte dal romanzo “Il Malloppo”, Bompiani, 1971

– Il girello dei bambini bisogna tenerlo da parte per quando si è vecchi, che si cade sempre.

– Non sprecate il vostro suicidio, ammazzate prima qualcuno che vi è odioso

– Era avarissimo: quando dava la mano porgeva solo due dita.

– Bocciate, bocciate un po’ di figli del popolo. Che rimanga qualche idraulico.

– I testicoli del toro vanno mangiati sul posto. Se il toro ci sta.

– Il sesso è sporco? Basta lavarlo.

– L’importante è che la morte ci trovi vivi.

– Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano.

– Prima di dire che uno è stronzo bisogna assaggiarlo. Se sa di merda allora sì. Se no, si rischia una querela.

– Non esistono innocenti: tutti abbiamo passato un raffreddore a qualcuno.

– Venderei le mie memorie al miglior offerente, ma non mi ricordo un tubo.

– Chi è felice è stupido. Non è vero ma consola.

– La felicità non è ereditaria, la lue sì, il cancro forse.

– In caso di pericolo tirate un moccolo.

– Da giovane avevo una vena umoristica. Adesso ho una vena varicosa.

– Ma procediamo con disordine. Il disordine dà qualche speranza. L’ordine nessuna. Niente è più ordinato del vuoto.

– Una buona notizia, finalmente: l’atomica non causa il cancro.

– Consigli per una cura dimagrante: basta dare lo smalto rosso alle unghie dello zampone per renderlo meno appetitoso. Con un braccialetto alla caviglia, poi, è repellente.

– Quando la parola “volgare” non avrà più senso, saremo tutti uguali.

– Una delle cose fondamentali della vita è la dignità. Non bisogna mai perderla. Per non perderla basta non averla.

– Testa di sesso è un insulto?

– Ho fatto l’amore dappertutto meno che in una cabina elettorale. Là ho preso solo delle fregature.

– “Muore una madre al matrimonio del figlio”. Il modo migliore per rovinare la cerimonia alla nuora.

– Dal mio fioraio le corone da morto le fa la nonna così si abitua all’idea.

– Il premio “La Donna Ideale” è stato conferito quest’anno ad Anita Garibaldi che, come risulta dal monumento al Gianicolo, va a cavallo, allatta il bambino e spara. Tutto contemporaneamente.

– A me capita di odiare non una classe ma solo una persona. Alla volta.

– Nell’isola di Wight le mucche si sono messe a fumare l’erba.

– Non si vive di Ricordi. Solo Giuseppe Verdi c’è riuscito.

– Anche un cretino può scrivere un saggio e non viceversa.

– L’Italia è una donna di facili consumi.

– Prima di accendere una sigaretta alla marijuana chiedete ai presenti se gli dà piacere il fumo.

– Tutti gli uomini sono uguali. A chi?

– L’umanità è un personaggio umoristico.

© Marcello Marchesi