Vi Racconto Gli Strani Presepi di Calvi, Modena, Manarola e Genova

In una commedia di Eduardo De FilippoLuca Cupiello chiede al figlio Nennillo* “Te piace ‘o presebbio?”, e quello risponde “No”.

Il monosillabo – quasi blasfemo se si pensa pronunciato nella patria dei figurinai di San Gregorio Armeno – è miccia scatenante di una serie di grane fino allora represse in casa Cupiello, simbolo concreto della disgregazione di quella che un tempo era uno dei capisaldi della società: la famiglia, rappresentata appunto da Giuseppe, Maria e il Bambino.

Il presepe in Italia è sempre stato – prima di venir affiancato o sopraffatto dall’albero, usanza che appartiene a culture nordiche- una sorta di roccaforte intimistica oltreché tradizionale: non v’era casa dove, l’8 dicembre, non venisse preparato a più mani familiari, in un rituale affettuosamente evocativo di ricordi.
Statuine magari sbreccate che si tramandavano da generazioni; specchietti come laghi, stagnola per i ruscelli, muschi per i prati e falde d’ovatta per la neve…

Ma per secoli anche Papi, ordini religiosi, nobili e ricchi borghesi, commissionarono presepi preziosi e  originali a grandi scultori; vere e proprie “sacre rappresentazioni” con decine di statue spesso a grandezza naturale, che purtroppo col tempo sono andate perdute.

Intonso invece è quello di Calvi (Umbria), nella Chiesa di Sant’Antonio, opera di Giacomo e Raffaele da Montereale (1545) .

30 personaggi in terracotta invetriata policroma che occupano tutta una parete in una scenografia a due piani: in basso la Famiglia e i pastori, in alto Magi e angeli.
Gli sguardi sembrano vivi, impressionante il realismo di certe figure come lo zampognaro che gonfia le gote suonando o il viso scavato e teso di Giuseppe.
Seduto tra un piano e l’altro, con le gambe penzolanti nel vuoto, un uomo dalla faccia deformata da una smorfia è colto nell’atto di togliersi una spina da un piede: dicono sia il Diavolo, furibondo per la nascita del Salvatore.

Sono solo 4 invece le statue del presepe del Duomo di Modena, ma bastano a renderlo unico: è conosciuto come “La Madonna della Pappa” (1482) di Guido Mazzoni detto il Paganino.
Al centro Maria, seduta con Gesù in braccio; inginocchiati ai lati Sant’Anna (la mamma della Vergine) e San Giuseppe; al suo fianco una buffa e cicciotta fantesca con tanto di cuffietta-crestina, che regge in una mano una ciotola e nell’altra un cucchiaio, su cui soffia per raffreddare la pappa (appunto) prima di darla al piccino.

(Presepe di Manarola, foto ©Vivilitalia)

Moderno e particolarissimo è il Presepe di Mario Andreoli sulla collina delle Tre Croci a Manarola, Cinque Terre.
Inizato nel 1960, conta più di 250 figure tutte costruite con materiale di recupero. E viene illuminato con 15000 lampadine, oggi alimentate anche con pannelli fotovoltaici che Andreoli, grazie al Comune, ha sistemato sul tetto della Capanna.

 Genova-Santuario_della_Madonnetta-20

Infine, spettacolare, il presepe della Madonnetta a Genova (qui un bel video sul Santuario); 100 manichini dal corpo in stoffa e mani, piedi, volti in legno: alcuni risalgono al ‘600 e sono del Giambattista Saggini, altri al ‘700 e vengono dal laboratorio del Maragliano.

Distribuite su 100 mq protetti da vetrate, le figure ci catapultano nella Superba di allora; il porto coi velieri, Sottoripa, le botteghe, Porta Soprana, oggetti quotidiani, personaggi d’ogni ceto vestiti di feltro, seta, juta, velluto; artigiani, popolani, pescatori, mercanti, contadini, nobili, facce volgari, serie, stupite, belle, rabbiose, sorridenti: le donne hanno gioielli veri.
La Famiglia e i Magi sono inglobati perfettamente in questo grande affresco.

Unico difetto: ci si perdono ore, a guardare tutto.

© Mitì Vigliero

Siete In Vacanza In Giro Per L’Italia? Potreste Andare A Caccia di Tesori Nascosti

© di Mitì Vigliero

O voi Vacanzieri sparsi per le varie regioni dello Stivale: sapete che pare che l’Italia pulluli di tesori nascosti?

In Piemonte, ad esempio, e precisamente a Belveglio (Asti), sotto il castello Belvedere che anticamente aveva l’allegro nome di Malamorte, esiste un dedalo di gallerie, anfratti, grotte dove si cela un ricchissimo tesoro composto da monete e gemme preziose.

Nelle  vicinanze di Villar Perosa invece c’è il “Roccio d’la Fantina”, un masso su cui qualcuno ha tracciato con la calce dei misteriosi segni, quasi una mappa: dicono che chi riuscirà a decifrarli troverà tutti i tesori nascosti nella vallata.

Per scoprire quelli anfrattati nei territori marchigiani bisogna munirsi di una “palla simpatica”, una sfera di legno alla quale è legata, con un rametto di faggio, una calamita; ad ogni modo molti oggetti preziosi sembra siano sepolti sotto le rovine del castello posto sul Colle di Santa Colomba vicino a Pergola, mentre nelle viscere del monte San Cristoforo è nascosto un telaio tutto d’oro.

Nella lombarda Trezzo sull’Adda, sotto i ruderi del castello, dicono che vi siano ancora pezzi dimenticati del tesoro del Barbarossa, arraffato dai milanesi dell’epoca.

Altre ricchezze stanno nei fondi dei castelli di Urgnano e di Pandino;  visto che l’unione fa la forza molti anni fa, a Treviglio, un gruppo di speranzosi amici  fondò l’”Associazione Anonima Tesori” con tanto di sedi (via Adua 1 e via Terraccio 1), regolamento e carta intestata: purtroppo il sodalizio si sciolse dopo varie infruttuose esplorazioni dei succitati sotterranei.

Gaeta, vicino al promontorio detto La Nave, c’è un buco nella roccia chiamato Pozzo del Diavolo dal quale esce uno stranissimo rumore prodotto dalle onde che si rifrangono sul fondo: dicono che lì si trovino anfore zeppe di preziosi d’altissimo valore.

Cosenza, nel fiume Busento, insieme a Re Alarico sono sepolte le sue ricchezze e a Longobuco, poco dopo il ponte sul Trionfo, ci si imbatte in una grossa roccia chiamata “la Gnazzita”; basta sollevarla per trovare sotto di essa una chioccia d’oro attorniata da tanti pulcini d’oro anch’essi.

Per la cronaca, la chioccia d’oro coi pulcini o le uova era una tipica opera d’arte d’epoca etrusca prima, bizantina poi: una specie di divinità casalinga che simboleggiava la famiglia e la relativa protezione matriarcale.
Quasi tutte le dame nobili ne avevano una, più o meno grande a seconda della ricchezza familiare; e di tesori leggendari che citano chiocce d’oro ce ne sono molti sparsi in tutta Italia. Basta cercarli.

(Chioccia di Teodolinda Museo di Monza)

Ma proseguiamo. E’ interessante sapere che nel 492 d.C. gli abitanti di Aquileia, assediati dalle truppe di Attila, decisero di abbandonare la città; ma prima scavarono un profondo pozzo, vi nascosero tutte le loro ricchezze e lo riempirono di terra.

Però nessuno fu poi in grado di ritrovarlo e, sino ai primi del 1900, nei contratti di vendita dei terreni vi era inclusa una clausola tramite la quale il venditore si riservava, in caso fosse stato localizzato, l’esclusiva proprietà del pozzo e del suo contenuto: ma  ancora oggi è sempre lì, che aspetta paziente di essere scoperto.

Secondo la tradizione più o meno popolare anche le innumerevoli scorribande saracene in Italia furono causa, oltre che di lutto e distruzione, di smarrimenti di centinaia di preziosissimi tesori nascosti sia dalle popolazioni in fugasia dagli stessi pirati che, nei momenti di difficoltà, preferivano anfrattare il bottino per poi tornarselo a riprendere in altri momenti.

Ad esempio nel lembo di terra bagnata dal Farfarus ovidiano, dominata dagli Orsini e da Narni e sede dell’antichissima abbazia di Farfa, un gruppo di monaci benedettini in fuga durante l’assedio dei saraceni, nascose il tesoro dell’abbazia (pietre preziose, pissidi, calici ecc) presso un piccolo colle della Sabina.

Quale colle di preciso però non si sa.

Per lo stesso motivo in Val d’Aosta, fra le rovine del castello di Graines, dall’XI sec. raccontano che dorma in attesa d’essere scoperto l’immenso tesoro nascosto dai monaci di San Maurizio d’Agauno, l’attuale Saint-Mauricevicino a Martigny, nel Vallese elvetico; così come si dice che i ruderi antichi dell’abbazia Santa Maria dell’Alberese nella Maremma grossetana, custodiscano sacre ricchezze benedettine.

E se nel piemontese Ottiglio Monferrato, nella valle di Guaraldi in località Prera, c’è la Grotta dei Saraceni, ove i predoni nascondevano il razziato – e leggenda vuole che vi sia stato trovato un loculo pieno monete d’oro, inLiguria per secoli si è cercato il tesoro del pirata Dragut.

Dicono che l’avesse nascosto nel 1557 nella Cala dell’Oro, meravigliosa insenatura  posta fra Punta Chiappa e Camogli; secondo altri invece si trova a Paraggi, in una caverna nascosta sotto Villa Bonomi Bolchini.

Ad Arenzano nel 1560, gli abitanti vedendo i pirati all’orizzonte, decisero di calare in fondo a un pozzo tutte le loro ricchezze; poi lo coprirono di terra.

Tornata la calma dopo giorni, corsero a recuperare i preziosi; ma l’avevano nascosto così bene quel pozzo, che non riuscirono mai più a trovarlo, e anche lì sino alla fine del 1800 nei contratti di vendita terreni c’era la clausola che al venditore sarebbe andato il contenuto del pozzo in caso di ritrovamento.

Una cosa simile accadde lo stesso anno ad Oleastra (oggi Volastra), sopra Manarola.

Gli abitanti avevano da tempo preparato un nascondiglio sulle fasce dietro al paese; una grande profonda buca divisa in scomparti, dove ciascuno poneva i suoi preziosi in caso di attacco.
Quell’anno vi avevano seppellito anche le 3 nuove campane in bronzo della chiesa.

Ma accadde che i saraceni quella volta li aggredirono in modo più violento del solito, uccidendone buona parte, catturando l’altra come schiava e rendendo Oleastra un paese fantasma.

Passarono gli anni, pian piano il posto si ripopolò, ma i nuovi abitanti non sapevano nulla del tesoro nascosto.

Un giorno arrivò un vecchio svanito e malconcio; disse di essere l’unico sopravvissuto alla prigionia saracena e raccontò della buca, degli ori, delle campane.
Però non ricordava affatto il luogo esatto del tesoro, e dopo poco morì.

Per anni si scavò dappertutto, inutilmente.

Dicono che, nelle notti di temporale, si sentano suonare le campane sottoterra: ma nessuno, di quei rintocchi, è ancora mai riuscito a capire la direzione.

© Mitì Vigliero