5 Febbraio: la Festa di Sant’Agata a Catania

722px-Santa_Agueda_-_Zurbarán_(detalle)

I greci adoravano Agathé Thea (l’antica Iside e la Bona Dea latina) nume della fertilità, il cui culto era sentito soprattutto in Trinacria: e a Catania proprio in questi giorni si festeggia la loro cristiana sostituta, alias Sant’ Agata.

Giovanissima indossò il flammeum, velo rosso delle vergini consacrate a Cristo; ma Quinziano, proconsole locale, s’invaghì di lei e per “svezzarla” la rinchiuse in un lupanare, dove riuscì a rimanere “pura”.

Allora la torturò slogandole membra, lacerandola con pettini di ferro roventi, facendola camminare a piedi nudi su vetri taglienti e carboni ardenti, strappandole i seni con grandi tenaglie (nell’iconografia Agata spesso mostra le tettine mozzate in un piattino, come sua cugina Lucia vi tiene gli occhi): infine la schiaffò in una fornace.

L’Etna però decise d’eruttare proprio in quel momento; mentre il terremoto scuoteva la città, Agata agonizzante venne riportata nella sua cella, dove morì il 5 febbraio del 250 dC.

I catanesi considerano “ ’a Santuzza” protettrice invincibile; per 3 giorni le dedicano una festa talmente solenne e affascinante nel folklore che l’Unesco l’ha dichiarata Patrimonio dell’Umanità.


(foto Wikipedia)

I fedeli ardenti detti “Cittadini” indossano il “sacco”, caratteristico camice bianco, e in centinaia trascinano lentissimamente con funi per le strade ‘a vara– il pesantissimo “ferculo”, la macchina che sorregge il busto d’argento ingioiellatissimo della Santa – mentre la folla agita migliaia di fazzoletti bianchi urlando ininterrottamente: “Cittadini ‘ccu vera fidi: Viva Sant’Ajta!”.

Davanti al ferculo sfilano le Cannalore (o Cannalori) di undici corporazioni di mestieri; sono enormi, fantastici candelabri definiti “il barocco in movimento”, un trionfo incredibile di statue, ricci, decorazioni, ori. (Qui un servizio fotografico)

Il primo è quello del Vescovo, a Cannalora ri Sant’Aita; segue quello dei Rinoti (abitanti di San Giuseppe la Rena); poi gli Ortofloricultori Cannalora re ciurara, Pescivendoli – Cannalora re pisciara, Fruttivendoli  Fruttaioli, Macellai Chiancheri, Pastai  Pastara, Pizzicagnoli  Fummaggiari, Panettieri Pannitteri (il più grande, retto sulle spalle da 12 uomini anziché 10 o 8 come gli altri), Vinaioli Vinaroli e infine quello del Circolo Cittadino Sant’Agata,  Ro Cicculu.


(Cannalora)

Passando davanti alle botteghe o ai mercati dei loro “confratelli” pescivendoli, panettieri ecc, ogni cero compie “ ‘a ballata”: un movimento sempre uguale, ritmico, ipnotizzante, una danza in rigraziamento e saluto compiuto in mezzo al pandemonio delle grida, dei canti, delle litanie mentre la campana della Cattedrale suona incessantemente in onore d’ ‘a Santuzza, protettrice anche di tutte le campane (che han la forma di mammelle), mentre alle grida di “Viva Sant’Ajta!” si univano un tempo quelle dei nuccidara”, venditori di nocciole e mandorle: “Picciotti, haiu nuciddi!” e almeno una manciata doveva entrare nelle tasche dei fedeli, come talismano.

E in questi giorni pasticcerie e famiglie si scatenano a preparare i curiosi dolci tradizionali in pasta reale; le Olivette e le Minnuzze (o Minni) ri Sant’Ajta.

Le prime sono olive verdi e nere, che ricordano l’ulivo miracoloso che nacque nel punto in cui la Santuzza si chinò per allacciarsi un calzare subito prima d’esser processata.

Le seconde sono semisferiche e bianche: al posto del capezzolo, una rossa ciliegina.

© Mitì Vigliero

(Minnuzze ri Sant’Aita)

10 teste, 12 dita, 14 prepuzi e altro: Storie di Reliquie

Boccaccio nel Decamerone elenca le assurde reliquie che Frate Cipolla porta con sé; la penna dell’Arcangelo Gabriele, il dito dello Spirito Santo, una delle unghie dei Cherubini, i vestimenti della Santa Fé cattolica, i raggi della stella cometa, i capelli della Maddalena,un’ampolla del sudore di san Michele quando combatté col Diavolo…

Tra le sante reliquie considerate “vere” invece, a Galatina, nella chiesa di Santa Caterina c’è la Mammella di Sant’Agata mentre a San Giovanni in Laterano di Roma si trova la Scala del Palazzo di Pilato.
Uno dei 30 denari di Giuda si trova nella Collegiata di Santa Maria di Visso; la colonna della flagellazione è nella Basilica di Santa Prassede a Roma.
Nella chiesa di San Carlo a Torino esistono invece il berrettino di San Vincenzo e il rocchetto di San Carlo Borromeo; in quella di San Francesco un pezzo del vestito di Santa Rita; in San Giovanni la spada di San Maurizioun dito indice del Battista (altri 11 e tutti indici, si trovano sparsi altrove in Europa).

Nel Duomo di Spoleto esiste il Santo Pannolino del Bambin Gesù, una striscia di lino di 20 x 25 cm. munito di attestato di autenticità rilasciato da Alessandro III nel 1175; nella Pieve di Santa Maria Assunta a Soncino (ma altri pezzi ne esistono soprattutto a Roma nelle chiese di Santa Maria Maggiore, Consolazione e Laterano) la sua culla/mangiatoia.

Inoltre in Europa esistono oltre 500 chiodi della Crocifissione: di questi solo 3 sono riconosciuti veri, quelli che trovò Sant’Elena sul Golgota e di cui uno finì sull’elmo di Costantino (figlio di Elena), l’altro nella Corona Ferrea e l’altro ancora nella briglia del cavallo dell’Imperatore; per chi fosse curioso, il Sacro Morso si trova nel Duomo di Milano.

Distribuiti ovunque sono i frammenti della Croce, mentre nel Tesoro della cattedrale di S. Lorenzo a Genova si conserva il Santo Catino dove prima venne servito l’agnello pasquale durante l’Ultima Cena e poi raccolto il Santo Sangue sul Golgota.
Si pensava fosse di smeraldo, ma Napoleone che se lo portò in Francia, dopo averne fatto analizzare un pezzo e scopertolo di vetro, lo restituì gentilmente. Senza il pezzo analizzato.

Però la reliquia di Cristo più curiosa è forse il Santo Prepuzio: l’unico riconosciuto ufficialmente (nel 1907) sarebbe stato quello conservato (prima di essere rubato nel 1983) nella chiesa di Calcata (Viterbo).
Però ne esistono altri 13 soggiornanti nelle cattedrali di Poitiers, Anversa, Parigi, Brugge, Boulogne, Besançon, Nancy, Metz, Le Puy, Conques, Hildesheim, Coulombs ecc.

Di Maria Vergine sino alla fine del 1700 circolavano numerose reliquie corporali: poi qualcuno ricordò che venne assunta al Cielo in carne e ossa, e vennero quindi considerate non valide.
Rimangono la cintura (il “Sacro Cingolo” della Cattedrale di Prato); centinaia di capelli e pezzetti di velo (Certosa di Serra San Bruno, Duomo di Torino ecc).
Lanello nuziale (in onice) è a Perugia (quelli di fidanzamento suoi e di Giuseppe sono invece in Notre Dame a Parigi) e litri del suo latte materno sono conservati in gocce cristallizzate sparse a Montevarchi, Nocera, Piteglio (PT), Pulci oltre che in gran parte di Francia e Spagna.

Altre reliquie diffusissime, oltre le 12 dita di cui vi ho parlato prima, sono quelle di San Giovanni Battista.
Il corpo a Genova; migliaiaframmenti ossei distribuiti per il mondo; una decina le teste/calotte craniche (di cui una di quando era fanciullo, sic) a Roma, Damasco, Arles, Amiens ecc.

Ma la cosa non stupisce più di tanto, visto il numero catalogato e ufficiale dei suoi denti venerati nel Vecchio Continente: 922.

© Mitì Vigliero

Breve Storia del Reggiseno

 

Le donne si sono coperte il seno sin dai primordi della civiltà umana; all’inizio lo facevano non per pudore, ma per proteggerlo  e soprattutto per poter assorbire il latte nel periodo dell’allattamento.

Le greche, durante le manifestazioni sportive usavano l’ ‘”apodesmo“, stretto bendaggio avvolto attorno alle mammelle, che serviva ad impedire che ballonzolassero durante le corse.

A le fanciulle etruscheromane si strizzavano in larghe fasce – dal poco romantico nome di “taenia”- con l’intento (e l’illusione) di far crescere poco il seno e mantenerlo piccolo, come imponeva la moda allora.
Ma dato che alla natura non si comanda, arrivavano regolarmente a costringere gli inevitabili tettoni col “mamillare“, un corpetto di rigido cuoio.

Le cortigiane romane invece  avevano capito subito che il reggiseno poteva essere un utile strumento di seduzione e indossavano uno “strophium” fatto di sciarpe peccaminosamente trasparenti che il poeta Marziale definiva “trappola cui nessun uomo puo’ sfuggire, esca che riaccende di continuo l’amorosa fiamma”.

Le atlete dei giochi nautici esibivano l’antenato del due pezzi, il “subligaculum”, esemplari dei quali si possono vedere nei mosaici di Piazza  Armerina.

Nel 1200 , soprattutto nel Nord Europa, c’era il  “pelicon“; un corpino portato  tra sottoveste e vestito, spesso imbottito di pelliccia come malizioso richiamo amoroso.

Dal ‘300 la malizia esplose un po’ troppo; Dante si sdegnava con le donne fiorentineche van mostrando con le poppe il petto” e nel 1342 i legislatori perugini proibirono le scollature “dalla forcella de la gola en giu’“.

Ragusa il Sacchetti descriveva le sue sfacciate conterranee che andavano “in giro con capezzale tanto aperto da mostrar piu’ giu’ che le ditelle (le ascelle)” e anche le milanesi non scherzavano; è del 1498 un editto in cui si vieta alle scollature di scendere “non oltre un dito della mano sotto la fontanella della gola” . E conoscendo le donne, veniva anche precisato che  “detto dito s’intende di traverso“, non in verticale.

Tra i sec. XV e XVI, per pudore religioso ma ancor di più per moda che voleva solo aspetti ascetici e regali, i seni scomparvero, appiattiti come pizzette sotto bende spesse.

Alla fine del ‘600 però iniziarono a diffondersi i “corsetti” che imperversarono per tutto il ‘700 e l’ ‘800 divenendo i sexyssimi ma famigerati “busti“.

 

Quella che doveva sparire era la pancia: in compenso le mammelle si dovevano mostrare eccome, spinte all’insù da busti corazzati con stecche di balena e ferro.

 

Quando non svenivano per lo stritolamento delle stecche, le dame d’allora ansimavano sempre un po’ causa difficoltà di respiro date dalle stesse: così i poeti d’allora cantavano “i palpitanti cor”, utilizzando ovviamente la romantica parola “cor” come metafora.

Fu solo nel 1911 che una ricca miss americanaMary Jacobs, sfoggiando di giorno al Lido di Venezia estrosi (per allora) completi pantalone che lasciavano scoperto il pancino e la sera trasparentissimi abiti lunghi che non potevano essere indossati col busto, cucendo insieme due foulard di seta, imbottendoli d’ovatta causa scarsità di materia prima sua e cucendo due fettucce come spalline, inventò il reggiseno vero e proprio.
Da pratica fanciulla made in USA, tornata in patria due anni dopo brevettò l’idea, divenendo più ricca che pria.

© Mitì Vigliero