La Notte Magica: Antiche Credenze Natalizie

ll Natale è un periodo ricchissimo di tradizioni, superstizioni e usanze varie, legate ad ogni momento dei festeggiamenti.

Ad esempio, gastronomicamente parlando, forse non tutti sanno che l’uso di mangiare il tacchino risale al XVI secolo quando gli Spagnoli lo importarono in Europa dal Messico: il primo che lo assaggiò fu Carlo IX, e gli venne presentato a tavola in modo solenne, tra squilli di trombe, salve di cannone e rulli di tamburi.
Ma fu la golosissima Caterina de’ Medici a imporre il pennuto come menù natalizio, possibilmente farcito di castagne e accompagnato da salse alla frutta.

Il costume di servire a tavola salmone, capitone, pesci vari e cappon magro deriva invece dall’antica regola della Chiesa che la notte del 24dicembre, prima della Messa, imponeva ai fedeli una cena “di magro”.

In Romagna, soprattutto a Rimini, per antica tradizione natalizia a tavola dovrà essere stesa una tovaglia a ruggine; di lino o canapone, stampate coi i caratteristici disegni a “galletto” o a “uva” da un macchinario antichissimo chiamato “mangano”. Il color ruggine nasce dalla vera ruggine ottenuta facendo macerare del ferro in acqua.

(Immagine © qui)

Infine in tutta Italia il 25 viene considerato il giorno del Pane, inteso come corpo di Cristo incarnatosi la notte di Natale a Betlemme (bet lehem, casa del pane): per questo è ovunque tradizione mangiare dolci fatti di farina come il pangiallo a Roma, il pandolce a Genova, il panpepato a Ferrara e in Umbria, il panforte a Siena, il pandoro a Verona, il panvisco a Bari, il pane certosino a Bologna e, ovviamente, il panettone a Milano.
Di questi pani è buon uso matterne da parte un pezzetto, per mangiarlo il giorno di San Biagio (3 febbraio), onde preservarsi tutto l’anno dal mal di gola.

Inoltre la notte di Natale è da sempre definita “magica” anche a causa dei vari riti che vi si compiono, unendo sacro e profano.

Nelle campagne del Veneto, dell’Istria dell’Alto Adige i contadini, per sapere come sarà il prossimo raccolto, mettono in una padella arroventata 12 grani di frumento, uno per ciascun mese delll’anno; quelli che si apriranno al calore indicheranno abbondanza, mentre quelli che si carbonizzeranno annunceranno carestia.

Le notti natalizie nelle campagne di MoliseAbruzzo sono rischiarate da innumerevoli lumini posti sui davanzali per cancellare le tenebre e rendere più agevole la strada ai pastori diretti al Presepe: se la mattina i lumini si mostreranno poco consumati, sarà buon auspicio.

Il Natale coinvolge tutta la natura; in Svezia, Scandinavia e Norvegia si crede che il giorno di Natale tutti i boschi si riempiano di folletti; perciò le persone pongono grandi recipienti colmi di birra ai piedi degli alberi affinché le magiche creature bevano a volontà e, riconoscenti, si prendano cura delle piante.
Anche in Germania bimbi dedicano canti e abbracci agli alberi di boschi e giardini affinché diano più frutta e vivano a lungo e sani.

In Friuli e in Umbria si pensa che a mezzanotte esatta le corna degli animali si illuminino sulla punta, e che tutti gli asini si inginocchino per salutare il Bambinello.

Infine si crede che chi nasce la notte di Natale abbia il potere di tener lontane le disgrazie dalla sua famiglia e da quella dei suoi amici; questo quasi ovunque, tranne che in Lunigiana, dove affermano invece che sarà destinato a diventare un Lupo Mannaro, punito per l’arroganza di esser nato in una notte destinata esclusivamente ad un Altro.

In Piemonte si dice che i fiori seminati il giorno di Natale avranno degli splendidi colori; a Napoli che l’aceto usato per condire l’”insalata di rinforzo” della Vigilia, versato sui garofani li renderà pieni di screziature; in Liguria che le foglie di alloro raccolte il 25 non seccheranno per mesi…

E, visto che Natale era anticamente uno dei rari momenti di abbondanza alimentare, è logico che siano molte anche le superstizioni riguardanti la tavola.

Ad esempio, in Puglia, cibo rituale natalizio sono le “pettole”, pallottole di pasta lievitata fritta nell’olio.

Per preparlarle però vi sono riti precisi da seguire: vanno impastate solo dalla mezzanotte all’alba della Vigilia, sennò saran disgrazie.
Mentre frigge, la cuoca non deve né bere né mangiare, sennò assorbiranno troppo olio.
Dall’ultima pettola, prima d’esser buttata in padella, bisognerà togliere un pezzetto e buttarlo nel camino recitando una preghiera. E guai a lodare la frittura che si sta facendo: riuscirà di certo male.

In Emilia Romagna invece si credeva che tutti gli avanzi della cena della vigilia avessero effetti medicamentosiburro e olio per curare tagli e bruciaturecera delle candele contro le contusionivino per cicatrizzare le piaghe sulla schiena di animali e umani e, versato nella vigna, un’ottima vendemmia l’anno dopo; le briciole di pane date ai pulcini per farli crescere vigorosi e mai preda di volpi e rapaci.

In Istria, per proteggere il bestiame da ogni malanno, gli si dava da mangiare un poco del cibo del Cenone; e in tutta l’Italia rurale quella era l’unica volta che anche gli animali domestici quali gatti e cani potevano circolare tranquillamente attorno alla tavola ove si cenava, coccolati e viziati con bocconcini lanciati dai commensali.

Questo perché si credeva che alla Mezzanotte esatta gli animali acquistassero la favella, e potessero raccontare a tutti i comportamenti dei loro padroni, anche quelli meno edificanti…Quindi era meglio tenerseli buoni.

La Notte Santa era anche l’unica notte in cui era possibile tramandare “esercizi segreti”; così in tutto il Meridione, VenetoLiguria, le nonne insegnavano alla nipote prediletta i riti per levare il malocchio, mentre in Campania, Sicilia Piemonte i nonni “guaritori” passavano ai discendenti  maschi l’arte per curare ossa e distorsioni.

E  ovviamente, non potevano mancare le credenze legate all’amore.

Nelle Marche, la sera del 24 dicembre le ragazze da marito mettevano sotto il cuscino del letto tre fave (simbolo di fecondità): la prima completamente senza buccia, la seconda sbucciata a metà e la terza intatta. Al risveglio, infilando la mano sotto il guanciale ne sceglievano una a caso: quella senza buccia indicava un futuro marito povero, le altre medio-ricco o decisamente Paperone.

Nel Lazio, le fanciulle indecise fra vari corteggiatori prendevano delle cipolle e scrivevano su ciascuna il nome dei papabili; poi le riponevano in un luogo buio e fresco. La prima cipolla che avesse germogliato, sarebbe stata quella col nome “dell’uomo del destino”.

A loro volta, nella Sardegna logudorese, le nubili facevano sistemare su un tavolo dalle altre donne di famiglia cinque scodelle contenenti rispettivamente cenere, acqua, chiavi, trucioli: una doveva restare vuota.
Bendate, sceglievano una di queste mettendoci una mano: se trovavano acqua, avrebbero sposato un agricoltore, cenere un fornaio, trucioli un falegname, chiavi un ricco possidente, vuoto…un poveretto.

Nelle Murge bastava che la ragazza la mezzanotte esatta del 24 si guardasse allo specchio con i capelli sciolti per vedere, al posto della sua immagine, quella del futuro marito.

Infine nella zona della Cisa si credeva che scambiarsi gli anelli di fidanzamento il 25 dicembre fosse particolarmente propizio a una lunga e felice unione. Probabilmente un tempo Natale era  l’occasione di presentare ufficialmente le due famiglie, che spesso abitavano in luoghi magari vicini ma non facilmente raggiungibili in inverno per via delle neve e delle strade difficoltose. E per festeggiare, si riunivano tutti a casa della futura sposa, formando per la prima volta un’unica famiglia.

© Mitì Vigliero

Aglio Fravaglio: Superstizioni e Credenze sull’Aglio

 

Esistono molte superstizioni popolari che riguardano l’aglio; forse a causa del suo odore dato da forme particolari di zolfo (disolfuro di allile), da sempre venne in qualche modo collegato al mondo magico popolato da spiriti buoni o cattivi.

Aglio, fravaglio
E’ una delle più note formule scaramantiche anti malocchio; è rimasta impressa a molti della mia generazione, grazie a Peppino De Filippo, fratello di Eduardo, che in televisione negli anni Settanta interpretava il mitico Pappagone, personaggio timido, pasticcione e sfortunato che ogni volta, prima di mettersi regolarmente nei pasticci, recitava:
Aglio, fravaglio,
fattura ca nun quaglio,
corna, bicorna,
capa r’alice
e capa r’aglio
Gli esperti nel settore dicono che, per funzionare alla perfezione, la formula deve essere seguita da tre sputacchiatine e tre gesti di corna fatti con ambo le mani e volti all’ingiù.

Battesimi
In Guascogna si battezzano i bimbi sfregando loro uno spicchio d’aglio sulla lingua; ciò li prepara ad affrontare con coraggio le difficoltà della vita e, se sono maschi, ad avere un’intensa e fertile vita sessuale.

Calamita
Si dice, e il motivo non s’è mai capito, che l’aglio abbia il potere di distruggere il potere delle calamite; per questo nelle imbarcazioni doveva essere sempre tenuto lontano dalla bussola.

Circe & C.
Anche le maghe ammaliatrici detestano l’aglio. La prima di loro a farne le spese fu Circe, la lussuriosa fattucchiera dell’Odissea. I compagni di Ulisse vennero da lei trasformati in porci, ma lui si salvò perché Ermes-Mercurio gli ammannì un filtro preparato con l’allium moly.
Per alcuni si tratta di un raro tipo di aglio dal fiore giallo; e questa analogia potrebbe essere vera visto il noto significato apotropaico e di scongiuro nel vampirismo e nella stregoneria.
Credenza vuole che questo aglio cresca proprio quando la luna è al suo ultimo quarto, quindi, come tutto l’aglio nell’antichità greca, proteggeva dall’approssimarsi della nefasta Luna Nera e serviva contro le pericolose manifestazioni di Ecate.
Tradizioni più vicine a noi affermano che le streghe non si avvicineranno mai a un qualcosa (oggetto, animale o essere umano) che odori d’aglio; l’effluvio le disgusta sino alla nausea, cosa alquanto curiosa per creature abituate a bollire filtri a base di serpenti, bave di rospo, pipistrelli, cervelli umani…

Clemente XII
Pare che il papa Clemente XII volesse che nella sua bara fossero poste numerose trecce d’aglio; fu  seppellito la notte tra il 23 e 24 giugno, nell’avvento del S. Giovanni d’Estate e, sempre per sua volontà, volle che il proprio monumento funebre fosse eretto accanto all’orrido cenotafio di Silvestro II, il papa negromante, sospettato di aver venduto la propria anima a Satana in cambio del triregno.

Fortuna
Secondo le fattucchiere napoletane, marchigiane, calabresi, romagnole e umbre, inghiottire a digiuno un grosso spicchio intero porterebbe una fortuna semplicemente sfacciata.
Niente più code negli uffici pubblici, spazi improvvisi in negozi affollati, noti rompiscatole che non si fermano a chiacchierare per ore, posti a sedere sugli autobus…
Un meraviglioso senso di vuoto attorno, causato probabilmente dall’alito fetente.

Grecia
In Grecia solo pronunciare la parola aglio, anzi scòrodon, era considerato un talismano potentissimo e ancora oggi si vendono riproduzioni fedelissime in ceramica da usare come portafortuna, appendendole accanto agli usci di casa.

Malocchio
Contro il malocchio le fattucchiere siciliane mettono in un catino uno spicchio d’aglio tritato, alcune prese di sale e qualche goccia d’olio d’oliva.
Si unisce una ciocca di capelli dell’ammalocchiato, si recitano alcune segretissime formule magiche, e il sortilegio d’incanto se ne va.

Maomettani
L’aglio è citato anche nel Corano. Secondo un’antica leggenda, quando Satana fu cacciato dal giardino dell’Eden, decise di lasciare un suo ricordo facendo spuntare una pianta d’aglio nel punto in cui – assaporando la famigerata mela proibita – Adamo teneva il piede sinistro e una di cipolla in quello in cui aveva il destro. Da ciò si deduce che i maomettani non provavano grande simpatia per questa pianta; lo stesso Maometto non ne mangiava mai, convinto che l’ingerire il sulfureo bulbo lo avrebbe portato ad agire in modo non retto.

Mestrui
Gli egizi veneravano l’aglio come una divinità, annoverandolo tra le piante sacre e dedicandogli sacrifici in ringraziamento alle le sue virtù; per questo, a differenza delle altre,  la loro religione arrivava a non considerare “impura” una donna nel periodo mestruale se questa faceva irrigazioni con birra, miele e aglio pestato.

Pentole e forbici
Con l’aglio in Piemonte si strofinavano le pentole nuove di coccio, per renderle più resistenti.
In Sardegna invece, a scopo scaramantico, lo sfregavano più volte sulle lame di forbici  e rasoi prima di tagliare i capelli ai bambini o la lana alle pecore, per non ferirli e per far ricrescere crini e peli più robusti e folti.

Salute
Come augurio di buona salute, nel periodo tra la nascita e il battesimo in Francia si usava deporre nella culla dei neonati uno spicchio d’aglio, insieme a un sacchettino di sale e a un pezzetto di ferro.
In Sicilia e in Calabria lo mettevano nel letto delle partorienti, e si credeva che farsi il segno della croce tenesse lontani tumori di varia natura.

San Giovanni
Il giorno di San Giovanni, 24 giugno, è indispensabile comprare almeno una testa d’aglio, per avere soldi tutti l’anno.

Serpenti
In Polonia, se a qualcuno capitava di nominare il serpente, creatura maligna, in presenza di bambini, gli veniva messo subito uno spicchio d’aglio sotto la lingua a mo’ di scongiuro.

Sogni
Sognare di mangiare aglio è un avvertimento a non fare troppe spese.
Sognare di vederlo  significa che si riuscirà a portare a buon esito ciò che  sta a cuore, nonostante alcuni dissidi soprattutto in famiglia.
Ma se un uomo sogna dell’aglio posato sulla tavola da pranzo, faccia attenzione perché indica tradimento di donna. La sua.

Tori
Medea sfregò dell’aglio su tutto il corpo di Giasone affinché non fosse aggredito dai feroci tori del padre; forse è per questo che a tutt’oggi i toreri spagnoli o gli allevatori argentini ne tengono uno spicchio legato con una funicella attorno al collo come protezione

Vampiri
Tradizionalmente l’aglio protegge dai vampiri perché purifica il sangue, lo ripulisce e lo rende per loro insipido e non appetibile.
Sino a metà del Novecento chi doveva recarsi nella Romania sud occidentale, soprattutto nella regione nomata Transilvania, non doveva dimenticarsi di mettere in valigia un poco d’aglio; questa era un sorta di “carta di credito” che rassicurava gli albergatori sull’estraneità a pratiche vampiresche del nuovo ospite. E gli abitanti delle zone rurali balcaniche usavano strofinare con aglio le maniglie delle porte e le cornici delle finestre per tener lontane le caninute creature.
Si sa infatti che tutti i vampiri, si chiamino Drakul, Kuslak,  Nosferatu o Piwica, non sopportano l’odore dell’aglio e, appena lo sentono, fuggono disgustati. Esattamente come molti umani.


© Mitì Vigliero, da Saporitissimo giglio

I Sussurri di Eolo

Aglio: Antica Panacea di tutti i mali

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L’aglio può essere considerato uno dei primi medicinali della storia umana.
Già nel 1550 aC il Codex Ebers, papiro egiziano lungo venti metri, descriveva alcune centinaia di ricette mediche a base di aglio; il medico greco Ippocrate (460-377 a.C.) invece ne esaltava le proprietà diuretiche, lassative, aperitive ed emmenagoghe, consigliando di includerlo nella maggior parte delle vivande secondo il saggio principio “il tuo cibo sia la tua unica medicina, e la medicina il tuo unico cibo”.

I metodi in cui l’aglio veniva usato nell’antica medicina, sono i più disparati.

Ad esempio,  per accertare la fecondità di una donna, sempre Ippocrate descrive il metodo – ereditato dalla medicina egiziana- della “Prova del profumo“: bisognava far bollire una testa d’aglio e, fattone un pessario, infilarlo nella vagina della donna per un giorno intero.
Se il giorno dopo “il fiato” (sia quello del naso che quello della bocca) della donna sapeva d’aglio, significava che essa poteva concepire (sic).

Da parte sua, Esculapio  eliminava i vermi intestinali con quelli che chiamava i Sussurri di Eolo: prima masticava accuratamente tre o quattro spicchi d’aglio, poi soffiava il suo alito sull’ombelico dell’ammalato: secondo lui, i vermi fuggivano, disturbati dall’odore.
 
Discoride fu il primo a scoprirne ufficialmente le virtù tenifughe, atte cioè a combattere le infestazioni da tenia; invece Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, racconta che ogni soldato romano, sia in battaglia che nel corso delle esercitazioni, doveva avere per legge la sua scorta di Allium sativum ben conservato, e doveva consumarne una testa al giorno contro le infezioni e le diverse epidemie (era il chinino di allora) perché “vermifugo, odontalgico, diuretico neutralizza tutti i veleni, guarisce la lebbra, l’asma e la tosse”.

 A sua volta Pedanio Dioscoride, farmacologo greco del I secolo d.C. che fu per lungo tempo  il medico ufficiale dell’esercito romano, nella sua Materia medica a proposito dell’aglio scriveva:

E’ aspro, stimola l’intestino, asciuga lo stomaco, mette sete e riduce le escrescenze della pelle.
Se introdotto nella dieta regolarmente è diuretico, e aiuta ad eliminare i parassiti intestinali.
Se macerato nel vino è ottimo contro i morsi di serpente e cani rabbiosi. Se consumato crudo o bollito schiarisce la voce e allevia la tosse.
Se bollito insieme con l’origano debella i pidocchi e le cimici.
Se bruciato e mischiato col miele, cura le macchie bianche della pelle, l’herpes, le eruzioni cutanee da fegato, lebbra e scorbuto.
Se bollito con legno di pino e incenso allevia il mal di denti.
Se abbinato alle foglie di fico e ai semi di cumino, funziona da cataplasma contro i morsi del topo ragno.
Se utilizzato insieme con le olive nere, potenzia l’effetto diuretico.
E’ utile anche per alleviare i dolori del travaglio e favorisce la fuoriuscita della placenta

In compenso, i lottatori dell’antica Grecia  lo usavano come micidiale “doping” prima delle gare; secondo loro aumentava la forza e la resistenza, secondo altri maligni e invidiosi dell’ellenica abilità sportiva, era tutto merito dei diabolici effluvi che emanavano se essi vincevano regolarmente gli incontri.

 “L’aglio mangiato ne’ cibi, è rimedio a tutti i veleni, et però si chiama la Theriaca de’ villani” sentenziava Castor Durante nel Tesoro della sanità, mentre il Pisanelli, nel suo Trattato della natura de’ cibi e del bere scriveva:
“L’aglio dona sempre giovamenti: secco è contra il veleno, fresco chiarisce la voce, ammazza i vermi, provoca il coito e l’orina”. 
E due secoli fa Sir John Harrington, medico britannico autore de The Englishman’s Doctor, raccomandava:
“L’aglio ha la proprietà di salvare dalla morte; sopportalo, anche se rende l’alito disgustoso, e non disprezzarlo come quelli che sono convinti che faccia solo bruciare gli occhi, bere smodatamente e puzzare”.

 Nel Settecento, in Francia, il suo forte sapore veniva usato per mascherare quelli atroci della cantaride o dell’ambra grigia che si mettevano nei cibi per renderli afrodisiaci; ma spesso, nonostante l’aglio, se si sbagliavano le dosi, si finiva condannati a morte per tentato avvelenamento, come capitò nel 1772 a quel gentile signore nomato Marchese de Sade.

Invece l’ignoto autore dell’un tempo diffusissimo Manuale di medicina domestica  (edizioni Cioffi, 1863), alla voce aglio scriveva:
“Si è dimostrato alla prova un ottimo antisettico per le vie respiratorie, con esito meraviglioso nelle bronchiti fetide; giova ai tubercolosi e ai rachitici; in casi di epidemie, mangiate dell’aglio come cura preventiva”, concludendo infine lapalissianamente: “Se non volete dar noia col vostro fiato a’ parenti e a’ vicini, consigliate la cura anche a loro”.

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Plinio definì per primo l’aglio “la miglior prevenzione contro la peste”, convinzione che durò secoli e secoli.
Il celeberrimo “Aceto dei quattro ladri”, ad esempio, nacque nel XII secolo proprio durante una terribile epidemia di “Morte Nera”.
Narra la leggenda che quattro delinquenti, approfittando della calamità, svaligiavano le case e le botteghe delle contrade infette rimanendo sempre indenni dal contagio.
E sapete perché? Perché usavano intridersi di una pozione miracolosa, che aveva come base l’aceto e varie erbe, tra cui l’aglio.
Ancora oggi qualcuno lo usa non con intenzioni di sciacallaggio, ma come semplice disinfettante per detergere le ferite o sterilizzare le mani .
La formula magica, una delle tante, è questa:

20 gr. di cime fiorite di assenzio romano, rosmarino, salvia, menta, ruta e lavanda
30 gr di aglio, noce moscata, chiodi di garofano, calamo aromatico, cannella
5 gr di canfora
1 litro e un quarto di purissimo aceto di vino bianco
.
Macerare gli ingredienti per 10 giorni, poi filtrare e conservare il liquido in una bottiglia scura che abbia il tappo di vetro smerigliato.

Durante le 45 epidemie di peste che martoriarono l’Europa tra il 1500 e il 1720,  si diffuse una macabra filastrocca che i bimbi cantavano giulivi facendo il girotondo:

Una ghirlanda di rose,
un mazzolino d’aglio,
ed eccì ed ecciù,
tutti cadiamo giù
.

La ghirlanda di rose si riferisce ai piccoli esantemi, pustoline rosse che comparivano sul corpo delle persone infette, il primo sintomo della Morte Nera. Il mazzolino d’aglio era il simbolo della convinzione che gli odori forti e penetranti combattessero il fiato tossico dei demoni diffusori della malattia;  l’ “eccì ecciù” raffigura onomatopeicamente la raffica di starnuti che era un altro sintomo della peste, mentre infine la frase  “tutti cadono giù” alludeva alle migliaia di morti causate dall’orrenda tabe.

Durante l’epidemia di peste annata 1528 a Bordeaux, un ancora non noto Nostradamus per impedire l’ulteriore diffondersi del morbo chiese ed ottenne dalle autorità che i cadaveri venissero sotterrati profondamente con strati di calce viva, consigliò l’incenerimento dei rifiuti per evitare il nutrimento dei topi e delle loro terribili pulci, ma soprattutto pretese che ovunque venisse osservata la più scrupolosa igiene del corpo, con cambi frequenti di abiti, utilizzo di maschere filtranti (tipo quella dell’immagine) e frequenti frizioni di vesti, maschere e mani con una pozione di sua invenzione, a base di aglio e aloe, che doveva anche essere ingerita a mo’ di vaccino.

Ma anche per le nuove “pesti” l’aglio resta importante.
Dopo l’11 settembre, funesta e indimenticabile data della tragedia delle Twin Towers di New York, vi fu il terrore di un altro atto terroristico, quello dell’epidemia di antrace diffusa tramite posta.
Immediatamente si diffuse la leggenda metropolitana che le lettere all’antrace, per essere “disinnescate”, dovessero venire aperte con le mani impregnate di succo d’aglio, e poi accuratamente stirate con ferri a vapore nel cui serbatoio si fossero in precedenza versate gocce d’estratto sempre d’aglio.

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Per lungo tempo nell’Italia rurale, l’aglio fu la base di ogni medicamento:   in Romagna considerato l’antidolorifico più efficace, nel Bolognese validissimo per curare le otiti, nel Polesine e in Sardegna un valido rimedio contro i dolori di ventre.
Gli spicchi venivano usati esternamente per combattere coliche (Sicilia),  mal di denti (Modenese),  geloni (Puglia),  mal di gola (Valle d’Elsa) e  piattole (Friuli). 

Erano soprattutto le nonnine ad apprezzare molto le virtù medicamentose dell’aglio, l’unico – anche secondo loro, inconsapevoli seguaci di Esculapio – portentoso cacciavermi dal pancino dei loro nipoti; per questo ne facevano ingurgitare spicchi interi ai bambini, o ammannivano loro brodini in cui l’aglio pestato galleggiava al posto della pastina.

Non contente, ne appendevano sulle culle vezzose ghirlande, le stesse che ponevano a mo’ di collana terapeutica attorno al collo dei poveri innocenti appena cominciavano a camminare. 

 Se una “botta di vermi” particolarmente grave colpiva un piccolo, veniva allora chiamato un guaritore possibilmente settimino (pare che ogni paese ne fosse fornito) il quale massaggiava l’epa del paziente con aglio e olio, pronunciando formule in cui solitamente venivano invocati  Santi e Beati.

In Sicilia, una delle tante formule scaramantiche antivermi all’aglio era questa:

Cui tri nomi dilla Crozza
Patre e Figghiu e Santu Spiritu,
sutta l’occhiu di Maria
cu la Crozza supra a panza
u spicchiu d’agghiu,
guccieddra d’ogghiu,
cacciu i vermi nell’Infernu
.

©Mitì Vigliero,  da Saporitissimo Giglio