La Storia nel Piatto e la Ricetta delle Superbe Tomaxelle

Era il 1800. Napoleone aveva appena sconfitto gli austriaci nella battaglia di Marengo e, da soddisfatto condottiero, si accorse di avere una fame tremenda.
Però il carro che trasportava le provviste non era stato, ovviamente, portato in prima linea e così una pattuglia di soldati francesi venne spedita dal Cuoco di campo in giro per la deserta campagna a caccia di qualcosa atta a sfamare il Bonaparte.
Il bottino (una gallina, sei gamberi di fiume, quattro pomodori e tre uova) venne solennemente consegnato al Cuoco il quale buttò tutto in una pentola assieme a un po’ d’aglio e olio, e lo servì in tavola accompagnato da un bicchiere di cognac.
Napoleone rimase entusiasta del fantasioso piatto, lo battezzò Poulet Marengo e ordinò che gli venisse servito dopo ogni battaglia. Così il “Pollo alla Marengo” divenne una pietanza famosissima, che chissà quante volte avete assaggiato senza immaginarne i retroscena.

In realtà sono tanti i cibi che la storia (o la leggenda) narra esser nati durante le guerre, forse come consolazione.

Basti ricordare i deliziosi involtini di carne tipici della cucina genovese (e purtroppo ormai quasi dimenticati) chiamati Tomaxelle, dal latino tomaculum, salsicciotto, la cui ricetta trovate a fondo pagina.

Racconta lo storico Dolcino:

“Nell’anno 1800 Genova visse una delle congiunture più drammatiche della sua esistenza.
Le truppe francesi del generale Massena – che doveva essere ribattezzato Ammassa Zena, Ammazza Genova- vi si erano asserragliate, strette dagli inglesi sul mare e dagli Austriaci per terra. I disagi aumentavano giorno dopo giorno, la fame serpeggiava per tutti, a rivoli sempre più inquietanti (…) Eppure, quando venne fatto prigioniero un gruppetto d’ufficiali austriaci, fu loro servito un piatto che li costrinse a sbarrare gli occhi: odorose, appetitose Tomaxelle (…) Si trattava di un espediente comune nell’arco della storia, volto a scoraggiare gli assedianti, a mostrar loro che gli assediati erano ben lungi dalla fine per inedia; ma in realtà, almeno per allora, non si trattava di una preparazione costosa”.

Il buffo è che uno degli ufficiali, non si sa se diffidente o orgoglioso, si rifiutò categoricamente di mangiarle e volle solo una tazzina di brodo: peggio per lui.

Restando in Liguria, bisogna citare anche il prebuggiùn , un mazzo composto di un po’ di bietole, coste, borragine, spinaci, cavoli cappucci e prezzemolo che si usa soprattutto nei ripieni e nelle minestre (ma nella bella stagione ciascuno, facendo una passeggiata “fuori porta”, potrà farsi il suo mazzo di preboggiùn raccogliendo radicchio selvatico, cerfoglio, pimpinella, cicerbita e talegua, vulgo “dente di cane”…).

Riguardo al nome una  buffa storia leggendaria lo fa risalire all’epoca della Prima Crociata: durante l’assedio di Gerusalemme, il valoroso comandante Goffredo di Buglione s’era beccato un accidenti intestinale che lo teneva bloccato a letto. I suoi soldati allora, volendo curargli il pancino con verdure rinfrescanti, andavano in giro per le case degli abitanti di quei posti chiedendo erbe “per Buglione“; ma essendo i soldati per lo più genovesi, parlando nel loro dialetto in cui la o diventa u, domandavano erbe “pre Buggiùn“: e prebuggiùn rimase.

Pare impossibile, ma anche la notissima e allegra salsa maionese nacque durante un assedio e precisamente quello di Mahon (1756), capitale di Minorca, isola delle Baleari in cui non mancavano certo olio, limoni e uova.
Fu con questi ingredienti che un uomo potentissimo e scaltro come l’ammiraglio francese Louis-François-Armand du Plessis duca di Richelieu inventò (suggerendola personalmente al suo cuoco, si dice) appunto la mayonnaise, traendo spunto dal nome della città che i francesi pronunciavano Mayon.

Fortunatamente esistono anche cibi nati in occasioni più serene.

Il quarto Conte di Sandwich (1718-1792) era un giocatore di scacchi talmente accanito che non tollerava di dover interrompere una partita per andare a mangiare. Così diede ordine ai suoi servitori di servirgli, all’ora di pranzo, solo una fetta di carne, o del formaggio, o del prosciutto, qualunque cosa che potesse essere racchiusa tra due fette di pane e mangiata con le mani direttamente sul tavolo da gioco: il sandwich, appunto.

Anche la galanteria diede origine a deliziosi piatti; nel 1861 nei pressi di Melbourne, nacque Helen Portel Mitchell.

Nel 1887 debuttò come cantante lirica al teatro dell’Opera di Bruxelles prendendo il nome d’arte di Melba, in onore della sua patria. Nel 1889  il celeberrimo Escoffier, durante un ricevimento in onore della ormai famosissima cantante all’Hotel Ritz-Carlton, presentò la Pesca Melba, dolce giunto sino a noi.

E infine come non essere eternamente grati a quel pizzaiolo napoletano che, alla fine dell’Ottocento, in occasione di una visita dei sovrani Savoia a Napoli, fece recapitare alla Regina più amata dagli italiani una pizza tricolore (pomodoro, formaggio e basilico) battezzata, appunto, Pizza Margherita?

E ora eccovi la ricetta delle Tomaxelle :

8 fettine di fesa di vitello tagliate sottili sottili
1 h. di macinata magra di vitello
100 gr. di punta di petto macinata o di cervella o di animella o di filoni e di tettina o di un po’ di tutto ciò (che sommato faccia sempre 100 gr) mescolato insieme
50 gr. di funghi secchi
3 cucchiai di pinoli
2 uova
la mollica di un piccolo panino ammollata nel brodo
3 cucchiai di formaggio grana
mezzo bicchiere di brodo
2 tazze di sugo di manzo, di funghi o semplice pomodoro
2 chiodi di garofano
1 spicchio d’aglio
una grattata di noce moscata
1 mazzetto di prezzemolo
sale
pepe
filo da cucire

Sbollentare la punta e il vitello ; tritare i pinoli, l’aglio, i funghi, il prezzemolo e la mollica. Versare nel mortaio insieme alle carni macinate, le uova, il parmigiano, il chiodo di garofano e la noce moscata. Pestare accuratamente, amalgamando a lungo. Mettere sul tagliere le fettine di fesa ben distese, versare su ogni fetta il composto, arrotolare le fettine e legarle col filo da cucire.
Ora i metodi di cottura sono due:
1) Rosolare le tomaxelle a fuoco vivo nel burro, bagnarle col vino bianco e aggiungere il sugo e il brodo lasciando cuocere per 15 minuti.
2) Mettere direttamente le tomaxelle in una casseruola larga e alta, coprirle con sugo e brodo e cuocere a fuoco dolcissimo per 30 minuti.

© Mitì Vigliero

Alla Ricerca della Piastra Scomparsa

Il ritorno del Sacro Fuoco Forbitore

Ieri mi son svegliata tardi, tranquilla e riposata (amo molto quest’ora legale), e mi son detta:
– “Oggi mi godo la domenica, non faccio nulla, mi riposo, al massimo un’occhiatina alla corrispondenza arretrata (45 mail e una pila alta un palmo di posta cartacea)…Sì, mi regalo un giorno di dolce far nulla“.

Poi mi son messa a cucinare; niente di complicato, tacchino alla piastra e insalatina, dolce far nulla anche ai fornelli.

Mentre posavo la vecchia piastra sul fuoco, mi è venuto in mente che ne avevo comprata un’altra, di piastra, un sacco di tempo fa. Un paio d’anni buoni. Chissà dov’era finita…
– “Boh, dopo pranzo guarderò negli sportelli delle pentole…”

Dicesi “sportelli delle pentole” una serie di 7 sportelloni che corrono sotto il ripiano della cucina, ripiano che a partire dal lavello   si snoda allegramente lungo due pareti.
Di quei 7 sportelli ne apro quotidianamente uno solo, dove tengo le pentole “di tutti i giorni”.

Insomma; finito di mangiare (ore 14,30), partendo decisa alla caccia della piastra scomparsa, ho iniziato ad aprire tutti gli altri sportelli, trovandomi di fronte ad un caos indescrivibile di padelle, teglie, pentole, pentolini, ciotole, contenitori di plastica, tutto accatastato e mescolato.

E così poco per volta ho tirato fuori tutto e rimesso dentro tutto, dividendo padelle da teglie, pentolini da ciotole, facendo andare tre volte la lavapiatti (incredibile quanto si sporchino le cose pur stando chiuse negli armadi), riempiendo uno scatolone di cose da gettar via senza pietà ed un altro di cose “doppie” da portare in campagna.
Alle 17 avevo finito.

Mentre mi accendevo soddisfatta una sigaretta, alzando gli occhi ho visto volare una camola.
Dicesi camola quell’odiosa farfallina che si nutre di pasta, farina, biscotti, scambiando le nostre dispense per un comodissimo self service.
E le camole non vivono mai sole.

Quindi, spenta la sigaretta, ho aperto il primo dei 7 sportelli che stanno sopra il ripiano della cucina, e che contengono tutte quelle cosine buone che piacciono tanto alle camole, oltre che a noi.

Alle 18,30 avevo seppellito due metri di tavolo sotto un mare di pacchi di riso, maccheroni, fusilli, ditaloni, mezze maniche, quadrucci, spaghetti, farfalle, bucatini, conchiglie, farina, fecola, zucchero, fette biscottate, spezie, tisane, té, frollini, polenta e cuscus. 

Dopo aver dimezzato il numero delle confezioni di pasta (perché tenere accuratamente per mesi e mesi 5 enormi scatole contenenti ciascuna n° 12 ditaloni, 8 spaghetti, 7 farfalle, mezzo pugno di riso?)- aver scaraventato i rimasugli pastacei in un sacco pro pappa cagnoni di amici, scovato il responsabile dell’allevamento di camole (un sacchetto di polenta ai tartufi: buongustaie, eh?), lavato l’interno dei 7 sportelli con acqua e aceto, rimesso a posto tutto, alle 20 esatte mi sono accesa la seconda sigaretta pensando: – “E ora faccio un risotto”

Aperta la vetrinetta dove tengo sottaceti, marmellate, salse, sughi pronti e dadi, l’occhio m’è caduto su un barattolo di maionese, seminascosto da una pila di vasetti di capperi, olive e cetriolini: sul tappo della maionese c’era scritto scadenza febbraio 2008
– “Ohibò. Effettivamente è un bel po’ che non controllo il barattolame…” 

Morale. Alle 21,50, dopo aver riempito singhiozzando due sacchi di conserve scadute, di cui non ricordavo manco più la provenienza (dove, quando e soprattutto perché mai posso aver comprato una marmellata di cachi e rabarbaro?), mi son messa al computer cercando nei miei archivi questa che ho stampato e appiccicato sul frigo.
Vi consiglio di fare altrettanto.

E ora vado a far la spesa, che non c’ho più un tubo in casa.

P.S. La piastra nuova? No, quella non l’ho trovata.

Nido e Fondue a modo mio

fondue-chinoise.bmp
La casa è a posto. Vabbé, il restauratore mi deve portare ancora qualcosa, il corniciaio deve consegnarmi un po’ di quadri, mancano ancora dei punti luce, ci sono ancora sparsi in un altra casa un po’ di scatoloni pieni di piatti e robe varie da portare qui…Però diciamo che (dopo un anno esatto di delirio e truppe cammellate) ora è decisamente abitabile.

E’ venuta proprio come la volevo; un nido a modo mio.
Comodo, caldo, curioso, spazioso.
E quasi ogni mobile, oggetto, quadro, coso vario ha una sua storia speciale che emana carattere:  mi è stato detto “Questa casa è affettuosa come una persona”.
E ciò mi rende felice.

Per questo sto ricominciando piano piano a dedicarmi a una delle cose che più amo: invitare Amici, di quelli veri.
Con loro qui butto via stanchezza e pensieri, dimentico grane, responsabilità, impegni e mi dedico solo a coccolarli.

Per quelli che verranno a cena stasera (niente link, fatti miei ;-) ho deciso che preparerò la Fondue Chinoise.

E’ strettissima parente della Fondue Bourguignonne (identico il meccanismo e la “cerimonia”), ma la preferisco perché molto più “leggera”, dato che la carne e le verdure non vengono fritte nell’olio bensì lessate nel brodo.

Per farla uso una “marmitta mongola” identica a quella della foto; è elettrica, e riesce a mantenere costante la temperatura del brodo.
Altrimenti si può usare o la marmittina della Bourguignonne (ma al massimo per 2 persone), o una qualunque pentola dai bordi alti posta su un fornello a spirito o elettrico, di quelli da campo.

Si sistema la pentola piena di brodo nel centro della tavola, e con le classiche forchettine o gli appositi cestini (quelli che vedete nella foto) si tuffano nel brodo bollente sottilissime fettine di carne, tacchino, piccoli gamberi, funghi champignon a fettine, verdura a tocchetti, lasciandoli cuocere.

Una volta cotti e bollenti, verranno pucciati nelle varie salse che ogni commensale avrà messo nel suo piatto; io utilizzo i classici della Bourguignonne , ma van bene anche quelli normali.

Una volta spazzolata via la carne e le verdure, porto in tavola delle tazze e con mestolo e colino le riempio col brodo rimasto (di solito ne resta un mestolo a testa), che è concentratissimo, profumatissimo, buonissimo, e le distruibuisco ai commensali, che non sono mai più di 6.

Amo molto la Chinoise perché, essendo piatto unico, mi permette per tutta la durata della cena di starmene tranquillamente seduta a tavola con gli amici, senza dover fare il solito avant-indrè fra sala e cucina.
Quindi preparo tutto nel pomeriggio, poi non ci penso più e mi rilasso.

Come ingredienti della PlacidaChinoise di solito utilizzo:

100 gr a testa di controfiletto tagliato sottilissimo, stile carpaccio.
100 gr a testa di tacchino tagliato nello stesso modo
450 gr di gamberettini lessati

Carote, sedano, zucchine, cipolle
lessati prima quasi sino a completa cottura (nel microonde, con un dito d’acqua, si fa velocissimi. Verranno poi praticamente solo scaldati: se li porterete crudi a tavola, ci metteranno una vita a lessare e passerà la fame)

4 litri di brodo leggerissimo, o di pollo o di dado (le pentole come la mia ne tengono circa 3 litri, meglio abbondare per aggiungerne se la cena andasse per le lunghe e il brodo si restringesse troppo)

Salse salse e ancora salse.

Oltre le solite Senape e  Rubra (dal dopoguerra detta americanisticamente ketchup , ma io mi rifiuto di chiamarla così e usarne altre imitazioni) , in tavola metto:
Aceto balsamico, di quello talmente denso che sembra lava liquida (C’è chi compra le borse Pr*da/G*cci/MarcaRadicalsnobAcàso, chi l’aceto di Modena invecchiato: la vita è solo tutta una questione di scelte…;-)
Salsa di Soya
-Un bagnet verde (prezzemolo, aglio, acciuga, mollica di pane bagnata nell’aceto, capperi, olio, sale, tutto frullato col mixer)
-Un bagnet rosso piccante (passata di pomodoro cruda e tanto peperoncino)
– Un altro bagnet verde stile Chimichurri, ma sempre a modo mio: foglie di sedano, aglio, succo d’arancia, olio, sale, frullare, alè.
-La maionese.
Ne faccio un poco in casa da servire da sola, e uso quella in vasetto come base per le altre salse (è molto più leggera e meno “invasiva” come sapore)

In tanti ciotolini (perfetti quelli del pinzimonio di varie dimensioni) metto un paio di cucchiai di maionese mescolandoli (in ciotolini diversi eh?) a:
cipolla cruda tritata ed erba cipollina
-un cucchiaio di panna e il succo di mezza arancia
3 spicchi d’aglio tritati
-foglioline fresche di timo o maggiorana o origano o basilico, salvia, insomma, quel che volete voi
rubra con o senza un goccino di cognac o Whisky
curry
zenzero
E poi yogurt, senape in polvere, peperoni o finocchio tritati finissimi…tutto quello che viene in mente.

E poi pane fragrante. Che con la Chinoise se ne mangia tantissimo.
Poi, da domani, dieta.
Sino alla prossima placidacena.

© Mitì Vigliero