Storia del Bottone

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(foto Philippe de Jonckheere, Boutons, 2006)

Piccolo ma fondamentale oggetto, il bottone era conosciuto già nell’Età del Rame; ma i nostri antenati gli preferirono a lungo le fibbie e lo usarano soprattutto come ornamento.

I romani, ad esempio, ne cucivano uno speciale sulla toga; si chiamava, dalla forma a mezzaluna, lunula, ma in realtà era solo una spilla decorativa.

Quando nel 1300 la moda lanciò i vestiti attillati, il bottone per la prima volta si mise a fare il suo mestiere, quello cioè  di chiudere soprattutto corsetti ed abiti, anche perché le camicie venivano ancora chiuse con lacci.

Era sempre prezioso, fabbricato in ambra, cristallo, oro e argento; spesso anche le perle fungevano da bottoni femminili, usanza tutt’ora rimasta per camicette particolarmente eleganti.

Nel 1400 il bottone cadde vittima delle Leggi Suntuarie, che regolavano il lusso dell’abbigliamento cittadino onde evitare inutili ed immorali sfarzi.

Una di queste, emanata a Firenze nel 1415, recitava:  “La donna non possa, ardisca e presuma portare più argento che una libbra d’imbottonatura”.

Se papa Clemente VII (1478-1534) i bottoni se li faceva fabbricare uno a uno addirittura da Benvenuto Cellini, anche le classi più basse della borghesia ci tenevano molto ad esibire bei bottoni, che attaccavano e staccavano volta a volta dagli abiti.

Perché i bottoni in argento, o altro materiale prezioso, erano considerati un buon investimento economico: facili da nascondere in caso di predazioni, comodi da portar via in caso d’improvvisa fuga e, in caso d’emergenza, usabili al posto del denaro.

Perciò in molti luoghi (ad esempio in Liguria, Alto Adige e Sicilia) un set di bottoni in filigrana faceva sempre parte del corredo o della dote delle spose.

Nel 1670, in Inghilterra, apparvero invece i primi bottoni da camicia maschile in oro e argento, il cui numero indicava lo “status” sociale del proprietario.

Sino a tutto il ‘600 i bottoni furono di dimensioni ridotte, ma nel ‘700 e nell’800 ne acquistarono di importanti, variando dai 2 ai 4 cm.; simili a piccoli quadri, riportavano ritrattini, paesaggini, fiorellini, animalini, miniature dipinte a mano su smalto, avorio, porcellana, vetro, delicatamente incorniciate in oro o argento.

Ma attorno alla metà del XIX sec., con l’avvento della Rivoluzione Industriale in grado di fabbricare oggetti e utensili in larga scala, l’uso dei materiali costosi scemò e i bottoni vennero fabbricati in corno, conchiglia, finta tartaruga, legno, metalli poveri; tipici dell’epoca, quelli piccini da donna in vetro nero sfaccettato, detto jais.

Nei primi del XX sec., il movimento artistico dell’ Art Déco rilanciò i bottoni  dal punto di vista estetico e artistico; realizzati in materiali poveri ma particolari quali legno, sughero, madreperla e plastiche sintetiche, sino al 1930 i bottoni  ebbero le forme più strane: serpenti, pacchetti di sigarette, cesti di fiori, gatti, volpi, funghi e cagnolini. Molti vennero foderati in stoffa o decorati con passamanerie.

Nel Quaranta, periodo di guerra, divennero più sobri e funzionali, e così rimasero per lungo tempo; ma dagli anni Sessanta rinacquero in versione gioiello a volte immensi, imitanti pietre preziose, tempestati di strass o semplicemente coloratissimi. Nel 70 tornarono umili e di materiale povero; nell’8090 riebbero fortuna. Oggi invece sono spesso sostituiti da zip, fabbricati in plastica o metallini, molto poco appariscenti;  e a loro, poverini, non viene più data quell’importanza che in fondo si meritano.

© Mitì Vigliero  
(qui una splendida collezione di bottoni antichi)