Proverbi e Modi di Dire sul Papa e, di conseguenza, su Chiunque Detenga Massimi Poteri

Raccontano che l’appena eletto Leone X (1513-1521), quando gli chiedevano i suoi progetti su Santa Romana Chiesa rispondeva serafico: “Godiamoci il papato perché Dio ce l’ha dato”.

Nell’immaginario collettivo popolare, l’idea di fare come mestiere il Papa è stato sempre uno dei massimi traguardi; “Stare come un Papa” significa infatti condurre una vita comoda e agiata, oppure anche solo vivere un momento di perfetta soddisfazione fisica e mentale.

Ma di sicuro “Non tutti possiamo diventare Papa a Roma”; per rivestire importanti incarichi in qualunque professione ci vuole “Naso da Papa”, essere cioè in grado di captare situazioni e umori in ogni campo, non solo in quello specifico.
Anche se tutti sappiamo che spesso e purtroppo,  per far carriera contano anche le amicizie e le giuste parentele: “Chi del Papa è cugino divien presto Vescovino”.

L’antica saggezza popolare tedesca di base luterana, è forse l’unica ad aver poca stima della figura del Pontefice intesa come massima autorità; infatti, quando sente qualcuno esprimere deferenza, ammirazione e soggezione esagerata per qualche personaggio pubblico, per ridimensionarlo tuttora gli ricorda che “Il Papa è un’invenzione umana di cui Dio non sa nulla”.

Ma tanto sprezzo tocca ben poco un simbolo così potente, che dovunque vada si porta dietro un’intera religione: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia”, dove c’è Pietro lì c’è la Chiesa, sbrigativamente e campanilisticamente tradotto in “Dove è il Papa, lì è Roma”.

Considerando il Papa come metafora delcolui che tutto può, ben sappiamo che in ogni campo la potenza di certi incarichi tanto alti da sfiorare l’astratto Empireo, diventa immensa e accentratrice; “Il Papa è capo e coda”.
E talvolta può sfiorare un’eccessiva identificazione col Padreterno: “Il Papa può al di là del dirittto, sopra il diritto e contro il diritto”.

Per questo, quando si raggiungono alti vertici, occorrerebbe mantenere un’umiltà fondamentale; ricordarsi che “Anche il Papa ha mal di testa”, cioè che chiunque occupi posizioni elevate rimane sempre un semplice essere umano come gli altri, tanto che “Non occupa più terra il corpo del Papa che quel del sagrestano”.

Occorre rammentarsi sempre che “Anche il Papa fu scolaro”; quindi che chiunque, prima di raggiungere certi incarichi, dovrebbe fare un bel po’ di gavetta e anche tenere a mente  che “Sa più il Papa e un contadino, che un Papa solo”: l’ascoltare l’esperienza e la saggezza dei sottoposti o governati anche più umili, non può che far del bene.

E ciò perché in certi ambienti decisionali, dove “Quando si elegge un Papa i Diavoli non sono a casa loro” bensì nei Conclavi religiosi e laici che racchiudono forze economiche e politiche, capita spessissimo e non solo “Ad ogni morte di Papa” vedersi “Tornar da Papa a Parroco”, ossia perdere da un giorno all’altro il potere, rinunciare volenti o nolenti a una posizione di comando.

In fondo solo questo dovrebbero tenere sempre a mente i Vip intoccabili e inamovibili di ogni professione: “Morto un Papa se ne fa un altro”.

Perché nessuno è insostituibile, soprattutto quelli che credono di esserlo.

© Mitì Vigliero

Vedi anche: Credenze e superstizioni sui Papi

I Sacri Maiali Invadenti: Una Storia Genovese

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Sant’Antonio Abate, protettore di norcini e animali domestici, invocato come guaritore di terribili malattie – quale appunto il Fuoco di Sant’Antonio (herpes zoster), che veniva curato con segnature di sugna – è quasi sempre raffigurato con un maialino vicino.

I suoi seguaci, frati AntonianiLerinesi, avevano in Europa il privilegio di possedere suini che venivano nutriti a spese delle comunità e potevano circolare liberi per le strade di paesi e città; appeso a un orecchio appositamente forato, portavano un campanellino che li distingueva come animali sacri – al pari delle mucche indiane – da trattarsi con estremo rispetto.

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Genova l’abbazia di Sant’Antonio si trovava in via Prè (dal 1184, e vi rimase sino alla fine dell’Ottocento) e aveva a fianco un ospedale ove venivano ricoverati i malati di herpes zoster (detto popolarmente Fuoco di Sant’Antonio); ovviamente anche nella Superba i frati potevano “tener mandra di porchi” e quindi tutta la zona pullulava di maiali che zompettavano tranquilli negli strettissimi vicoli, protetti dal campanellino che ne indicava la “protezione celeste” e conferiva loro non solo immunità, ma pure libero ingresso in orti, giardini, cortili, e persino case “de la zente per bene“.

I genovesi tolleravano abbastanza bene quelle irsute e ingombranti creature soprattutto perché, essendo onnivore e mangiando appunto come porci, tenevano pulite le strade eliminando le tonnellate di rumenta che quotidianamente venivano lanciate dalle finestre o abbandonate negli angoli delle vie.

Oltretutto, chi avesse osato torcere loro una sola setola, sarebbe stato condannato immediatamente dal Senato a severissime pene.

Ma poiché i maiali – anche se benedetti – sono estremamente prolifici, la situazione andò poco per volta degenerando: nel 1400 orde grufolanti e dal pessimo carattere intasavano il Superbo centro storico, impedendo materialmente la circolazione dei cittadini.

Fu così che i Padri del Comune genovese si videro costretti ad emanare delle severe “grida” in cui ingiungevano ai monaci di non far vagare liberi più di tre scrofe, un verro e venti porcellini; in caso contrario, “considerando il Serenissimo Senato quanto sia indecente il permettere vadino a girare per le vie li porchi, dichiara che sarà lecito a chiunque di prenderli et ammazzarli“.

Mentre dalle case genovesi si diffondeva il profumo di luganeghe, sanguinacci, cotechini e minestroni con le cotiche, i frati invocarono l’intervento di Papa Leone X il quale fece annullare le grida.

I suini ripresero perciò possesso delle strade ed essendo innumerevoli e perennemente affamati, iniziarono ad attaccare i passanti ferendone moltissimi, ma rimanendo tabù sino a quando uno di loro non ebbe la pessima idea di caricare e mandare quasi all’altro mondo un giovanotto membro d’una nobilissima famiglia imparentata con lo stesso Leone.

Da qui il finale compromesso: eliminazione fisica dei sacri porci deambulanti, permesso di tenere solo un paio di scrofe e un verro barricati però in convento, tutto ciò in cambio di un’indennità annua ammontante a 172 lire genovesi (un pacchettino di milioni odierni) che i Padri del Comune vennero obbligati a sborsare, quale risarcimento morale, ai frati orbati dei loro amatissimi porcellini.

© Mitì Vigliero