E’ un nome che amo moltissimo, perché era quello di mia madre; così come amo questo meraviglioso dipinto di Leonardo da Vinci: Anna che tiene seduta in braccio la figlia Maria che a sua volta stringe suo Figlio.
Un’immagine speciale del rapporto che unisce le madri alle figlie; figlie che, per le mamme, il più delle volte restano le loro “bambine” per sempre, qualunque sia il loro destino da adulte e anche se diventeranno madri a loro volta.
Anna deriva dall’ebraicoHanna, “la benefica“: antichissimo, è usato da millenni.
Per i RomaniAnna Perennaera la divinità che regolava lo scorrere del tempo e proteggeva i parti e le partorienti.
Per i Cristiani Sant’Annaè la mamma della Madonna, anche lei protettice di parti e partorienti.
E’ uno dei nomi più diffusi al mondo; anche se oggi qui pare un poco passato di moda, solo in Italia sono quasi un milione le Anne, oltre le varie Annamaria, Annalisa, Annarita, Annarosa ecc.
In Francia troviamoAnne, Annie, Annette, Anaïs, Nanette, Ninon.
In InghilterraAnne, Ann, Nan, Nancy, Nace, Nanny. In Spagna e PortogalloAña, Anina e Anita. In RussiaHanna e Annick.
Portafortuna per le Anne: Il colore : il blu. La pietra: lo zaffiro. Il metallo: l’oro.
“Abbiate pazienza miei lettori, non inorridite mie lettrici; ora debbo con voi visitare quell’oscuro e celato cantuccio della vostra abitazione dove il superbo figlio di Prometeo sacrifica alla dea Cloacina e dove una fatale eguaglianza non meno inesorabile di quella della tomba livella sotto la stessa forca caudina prìncipi e plebei, ricchi e poveri, vecchi e bambini”.
Per l’occasione faccio mie le parole scritte nel 1864 dal medico Paolo Mantegazza nei suoi Almanacchi d’Igiene (ristampati poi nel 1911 col nome “Enciclopedia igienica”), le cui auliche metafore si riferiscono al W.C., strumento poco elegante ma indispensabile e dotato di interessante storia.
Durante la Preistoria gli uomini, esattamente come molti animali, scavavano buche nel terreno e ricoprivano con terra gli escrementi; nelle civiltà più evolute (Cretese, Egiziana, Persiana ecc) si utilizzavano gabinetti stile “turca” con acqua elargita da tubi in terracotta in un sistema di distribuzione simile al nostro.
A Roma Vespasiano tappezzò la città di orinatoi pubblici (vespasiani); il “raccolto” veniva poi venduto in particolari aste a conciai e tintori, che la usavano come smacchiatore, diluente e disinfettante al posto dell’ammoniaca.
E intorno ai luoghi di riunione (teatri, fori, ecc), esistevano pubbliche latrine dove ci si sedeva tutti vicini continuando le conversazioni mondane o d’affari.
Roma era nota in tutto il mondo per le sue fognature davvero all’avanguardia: la Cloaca Massima, dopo un tortuoso e lungo tragitto, si scaricava nel Tevere.
Nel Medioevo crollarono tutte le norme igieniche; nelle città, il contenuto dei “vasi” usati giorno e notte veniva svuotato giù dalla finestra sulla pubblica strada, con gran gioia dei passanti.
Nel XIII° sec. tale gentile usanza venne regolamentata da severe “grida” (leggi) che stabilivano ore apposite (quelle notturne) e l’obbligo di urlare un avvertimento prima del lancio.
Nei castelli e nei palazzi più eleganti, vi erano invece degli sgabuzzini a muro dotati di asse lignea con buco e una condotta verticale di tubi sempre in terracotta che scaricavano in una cisterna detta pozzo nero, il cui contenuto veniva ritirato – e ciò avvenne sino alla fine dell’Ottocento – da merdaioli (sic) autorizzati, che poi lo rivendevano come concime.
Il momento peggiore fu il Rinascimento; nei palazzi, tutti consideravano saloni isolati, ballatoi e retri delle porte come luoghi atti alla natural bisogna: pensate che Leonardo Da Vinci arrivò a progettare per re Francesco I delle “doppie porte tagliaodori” per isolare le singole stanze del castello di Amboise.
Solo durante Luigi XIV entrarono in uso stanze apposite con tante seggette affiancate, ove si potevano tenere nel frattempo amabili conversari.
Nell’800, nei primi condomini iniziarono ad apparire i servizi centralizzati; ma essendo i tubi sempre di fragile terracotta e continuando l’uso del pozzo nero, i disagi igienici persistevano; quando però Liebig (sì, quello del dado) scoprì la relazione tra feci e propagazione del colera, vennero inventate fosse settiche a più camere (1881, ma diffuse solo dopo il 1897) e approvvigionamenti idrici sotto pressione.
Infine, mentre continuava indefesso l’uso dei vasi (a sinistra nell’immagine potete per esempio vederne uno molto elegante risalente ai primi del ’900) e delle comode (sedie con un buco sotto il quale andava posto l’immancabile vaso mentre comodino era il mobiletto ove si conservava il vasino da notte) l’inglese Thomas Crapper inventò la flush toilet, wc a cassetta con il primo sifone, che divenne obbligatorio nelle case private dagli anni ’30 nei paesi anglosassoni e solo dal 1950 nel nostro.
Vi fu un tempo in Italia in cui grandi pittori vennero incaricati di dipingere ritratti che avevano la stessa funzione delle odierne immagini segnaletiche delle forze dell’ordine, quelle con su scritto “Wanted”; opere usa e getta, che venivano cancellate una volta catturato o graziato il colpevole latitante.
Uno dei primi “ricercati” in questo modo fu Muzio Attendolo detto Sforza, capostipite della celebre famiglia.
Da ragazzo, mentre stava zappando un campo paterno, vide arrivare un drappello dell’esercito papale che batteva lo Stivale per arruolare gente. Anziché lanciare in aria una monetina, usò per decidere il suo vigore fisico (non per nulla lo chiamavan “sforza”); gettando la zappa contro una quercia esclamò “Se cade a terra, resto: se si pianta nel tronco vado”.
Andò, divenendo uno dei più famosi condottieri pontifici; nel 1413 si ribellò al Papa schierandosi col Re di Napoli che ne appoggiava un altro (in quel periodo ce n’erano ben 3, di Papi).
Il Pontefice allora lo fece dipingere (da artisti il cui nome non ci è giunto) su tutte le porte e i ponti di Roma, ritratto appeso per un piede (simbolo di latitanza), con una zappa nella mano destra e nella sinistra un cartiglio con su scritto:
“Io son lo Sforza, villano e traditore, che dieci tradimenti ho fatto alla Chiesa contro il mio onore”.
Per la cronaca, non fu mai catturato.
Andrea del Castagno, dopo la Battaglia di Anghiari (1440), su ordine delle autorità fiorentine dipinse – sulla facciata del Palazzo del Podestà – l’effigie impiccata dei latitanti Albizi e Peruzzi: fece un lavoro così bello che, nonostante la creazione di altre opere meravigliose, il poveretto da allora fu chiamato “Andrein degli Impiccati”.
Sempre a Firenze nel 1479 alcuni partecipanti alla Congiura de’ Pazzi vennero acciuffati ed impiccati immediatamente alle finestre del Palazzo del Bargello: passava di lì Leonardo da Vinci il quale, antesignano dei fotoreporter, non si lasciò sfuggir l’occasione e ritrasse rapidissimo su un foglio il cadavere di Bernardo Baroncelli penzolante per la gola.
Però molti altri congiurati riuscirono a fuggire e così le autorità commissionarono a vari artisti di ritrarli appesi per un piede sulle facciate dei Palazzi più in vista; così fece Sandro Botticelli, il quale immortalò sulla porta della Dogana i contumaci membri della famiglia dei Pazzi.
Andrea del Sarto invece, come racconta il Vasari, incaricato nel 1529 di dipingere sulla “facciata dov’è la Mercatanzia Vecchia” i ritratti d’un paio di capitani che erano fuggiti con le paghe dell’esercito, temendo di “acquistarecome Andrea del Castagno il cognome (soprannome, ndr) delli Impiccati” disse che li avrebbe fatti fare al suo allievo Bernardo del Buda e invece, tirata una lunga tenda davanti alla facciata, “v’entrava egli di notte et usciva similmente che non fussi veduto, e li condusse di maniera, che quelli vivi e naturali parevano”. La stessa cosa fece con i ritratti di alcuni cittadini ribelli sul Palazzo del Podestà, “i quali finí egli, e ne dette il nome a Bernardo che il dí a tutte l’ore saliva e scendeva, perché ne fusse veduto”.
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