Giovanni Ansaldo, sul “Lavoro” del 20 aprile 1930 scriveva:
“La razza dei genovesi è come quella dei pellerossa, si sta spegnendo poco a poco. E’ un peccato per il mondo, cui abbiamo regalato due cose grandi come l’America e la Torta Pasqualina”
La preparazione di questa celeberrima torta salata – tradizionale del giorno di Pasqua – era un tempo laboriosissima, soprattutto per il numero delle sfoglie che la ricoprivano.
La tradizione narra che all’inizio furono 33, come gli anni di Cristo, poi iniziarono a calare; 27, 12, 10, sino ad arrivare a 7 o purtroppo anche a 3, come spesso si nota su certi banchi di certe rosticcerie…
Per mantenere staccate le varie sfoglie, le cuoche le gonfiavano a fiato come un palloncino; operazione fatta o soffiando delicatamente tra una e l’altra con una cannuccia, o posando decisamente le labbra nei punti strategici.
Prima di infilarla nel forno, la cuoca incideva sul bordo del suo capolavoro le iniziali del capofamiglia, quasi si trattasse d’un pezzo del corredo; ma l’origine di questo gesto stava nel fatto che le pasqualine, preparate per pranzi di famiglia che potevano raggiungere anche venti convitati, erano immense e quindi impossibili da sistemarsi nei normali forni casalinghi.
Così le massaie le portavano a cuocere nei forni professionali dei panettieri e le cifre sui bordi servivano come firma di riconoscimento impedendo scambi di certo non vantaggiosi, visto che ogni signora era convinta che la SUA pasqualina fosse la migliore.
(per 6 persone)
700 gr di farina
50 gr d’olio
1 kg di bietole
1 pizzico di maggiorana
400 gr di prescinseua (o ricotta)
7 uova
parmigiano grattugiato
sale
pepe
Mettere 600 gr di farina in una grande terrina, salarla e versare l’olio; unendo acqua tiepida poco per volta, impastare per 10 minuti buoni: la pasta dovrà essere soda ed elastica.
Dividerla in 14 pagnottine, ma una dovrà essere un po’ più grande.
Infarinare le pagnottine e lasciarle riposare coperte per 1 ora.
Lessare le bietole nella sola acqua rimasta sulle foglie dopo il lavaggio; salare leggermente. Scolarle, strizzarle e tritarle.
Porle in una terrina con due bei pugni di parmigiano grattugiato, ma maggiorana e un pizzico di pepe; aggiungere 3 uova intere, la prescinseua (o la ricotta) e mescolare a lungo amalgamando perfettamente.
Prendere la pagnottella più grande, stenderla sottile e rivestire uno stampo (meglio se a cerniera) unto d’olio.
Stendere col mattarello altre 6 pagnottelle in altrettanti dischi grandi come lo stampo e adagiarveli dentro, uno sull’altro, spennellando ogni disco con olio servendosi magari (come facevano le nonne) di una penna di pollo.
Sul 7° disco disporre il composto di erbette e ricotta, livellando bene con la parte tonda di un cucchiaio. Sempre col dorso del cucchiaio praticare nel composto 4 incavi: in ciascuno mettere un uovo intero (sgusciato, ovviamente).
Salare, pepare, cospargere con altri due pugni di grana.
Stendere col mattarello le altre 7 pagnottelle, farne 7 dischi e sovrapporli delicatamente sul composto e le uova, spennellando sempre con olio ogni disco.
Ripiegare, per chiudere, la pasta eccedente in un cordoncino tutto attorno al bordo; lasciare aperto uno spiraglio e con una cannuccia soffiare delicatamente per far gonfiare la pasta: chiudere subito.
Punzecchiare la superficie della torta con una forchetta e infornare a 190°-200° per tre quarti d’ora circa/un’ora, fino a che la superficie risulterà bella dorata.