A Roma vicino a piazza Navona e all’incrocio dei rioni Campo Marzio, Ponte e Sant’Eustachio, precisamente in via dei Portoghesi 18 si trova Palazzo Scapucci, che ha inglobato nella costruzione l’alta Torre dei Frangipane alla quale è legata una storia in bilico fra realtà e leggenda.
Nel ‘700 vi era la mania di tenere in casa, come animali domestici, “besti orientali”: tra questi i più gettonati erano le scimmie.
Il proprietario del palazzo e della torre possedeva una scimmia non di piccolissime proporzioni, che aveva addestrato con un fischio speciale a corrergli incontro.
Un giorno al giovin signore nacque un figlio; amatissimo ed unico erede, aveva la sua stanza all’ultimo piano della torre.
La scimmia per gelosia o emulazione, visto che tutti si spupazzavano in braccio il pargolo, un giorno che la culla era incustodita lo afferrò fra le sue lunghe braccia iniziandolo a ninnare a modo suo; mentre lo sbatacchiava teneramente, arrivarono balia, madre e padre urlando terrorizzati.
La quadrumane, più terrorizzata di loro, zompò fuori dalla finestra tenendo il neonato penzoloni per un braccio, e si rifugiò sul tetto della torre.
Nel frattempo attorno al palazzo s’era radunata una gran folla che guardava tra l’affascinato e l’inorridito quella bestia urlante e agitante il neonato tra i merli della torre come se volesse buttarlo giù.
Il padre allora s’inginocchiò assieme agli astanti, pregò la Madonna, e si mise a modulare quel fischio speciale con cui era solito chiamare la scimmia; questa mollò subito il bambino sul tetto e corse festosa dal padrone il quale, per grazia ricevuta, fece costruire fra i merli della torre – da quel giorno detta “della Scimmia” – un tabernacolo con una Madonna e un grande lume votivo per secoli sempre acceso .
Della scimmia invece non si seppe, da subito, più nulla.
Vicino alla Torre della Scimmia c’è via dell’Orso, battezzata così sin dal 1517 o per via di un bassorilievo marmoreo raffigurante un massiccio leone(scambiato per un orso) che divora un cinghiale, o perché lì Baccio dall’Orso aprì l’Albergo dell’Orso (oggi ristorante Hostaria dell’Orso).
Fu per secoli uno dei più rinomati di Roma; si dice che ci soggiornasse persino Dante durante il Giubileo, cosa impossibile visto che allora non esisteva nemmeno la costruzione d’origine quattrocentesca.
In compenso ospitò Montaigne, Rabelais, che fuggì disperato causa le cimici che a suo dire infestavano il letto; e poi Goethe, Gogol, diplomatici, nobili e alti prelati…
Anche all’Albergo è legata un’antica storiella, riguardante l’affresco che fungeva da insegna.
Il Baccio, uomo assai oculato nello spendere, chiamò un pittore per dipingerlo; questo gli chiese otto scudi per ritrarre due orsi legati a una catena d’oro zecchino, sei scudi per due orsi senza catena.
Baccio scelse la seconda ipotesi, ma dopo pochissimo tempo l’affresco sbiadì moltissimo, scomparendo quasi del tutto.
Convocato dall’albergatore furibondo, il pittore si giustificò così: “Non hai voluto la catena? E gli orsi sono scappati”.