Il nostro Bel Paese abbonda di Streghe: ecco una rapida carrellata sui luoghi meno conosciuti ove, secondo secolari leggende, prediligono riunirsi.
Al secondo piano del castello di Cles in Val di Non, sino al secolo scorso tutte le streghe del trentino si radunavano per il Sabba; dopo un esorcismo però se ne andarono seccate, trasferendosi sulla vetta del Roen. Invece pare che le Streghe di Boves (CN) si scatenino in Sabba infernali sul pian Balur .
Coloro che risiedono nei pressi del monte Conero (AN) l’ultimo week end del mese si debbono guardare dai mosconi che ronzano in casa, dagli uccelli neri, dalle gatte troppo affettuose e dalle donne piccole di statura perché sono i travestimenti adottati dalle streghe di tutta Italia le quali, ogni tre venerdì, si radunano in zona per celebrare i loro raduni plenari fatti di orge, riti, fatture e intrighi.
A Ponte di Legno le Streghe amano radunarsi sul monte Tonale dove, dopo essersi fatte insultare un bel po’ dallo Stregone Capo, energumeno estremamente maleducato e dalla vociaccia sguaiata e ringhiante, ricevono in cambio la sua “benedizione”.
Le streghe di Carezza abitano nelle Caverne della Roda di Vael e a ogni plenilunio escono per tenere il bael, un concerto decisamente agghiacciante; poste in semicerchio urlano come pazze sino a che la luna scompare e alla fine lanciano dall’alto delle palle di fuoco che cadono sulle rocce dietro Ciampediè: perciò le creste di quei monti si chiamano zigolades, ossia “bruciacchiate”.
Poco distante da Bagni di Lucca, a mille metri sul mare si trova Pratofiorito, amenissimo luogo pieno di fiori e di erbe ritrovo prediletto di Sabba stregoneschi; lì pure le piante hanno magiche proprietà e il poeta Shelley un giorno vi cadde svenuto a causa dello stranamente intenso profumo di viole.
Ma le Streghe più organizzate professionalmente sono indubbiamente quelle di Domodossola le quali, radunandosi al Pian di Strìsulle falde del monte Gridone, seguono un settimanale calendario sociale dettagliatissimo manco fossero un Club di Soroptimist.
Ecco l’elenco delle loro riunioni notturne:
Lunedì: Streghe che impauriscono i viaggiatori. Martedì: Megere che insinuano la gelosia tra coppie e seminano grane in famiglia. Mercoledì: Grande party di Streghe e Stregoni “libertini” sotto forma di capre e caproni. Giovedì: Streghe specializzate in beveroni abortivi e filtri d’amore. Venerdì: Capi-Stregoni cerimonieri delegati ad organizzare il grande Sabba del Sabato notte, con sarabanda, danze in costume adamitico, bevande e cotillons sino a quando le campane di Olgia suoneranno l’Ave Maria.
Agosto 1971. Nella cittadina spagnola di Belmez, una nonna giocava col nipotino nella cucina di una vecchia casa affittata per l’estate. Ad un tratto il bimbo lanciò un urlo: su una piastrella di cotto del pavimento era apparso un volto umano dall’espressione triste e angosciata. La nonna, pensando si trattasse di una macchia dovuta all’umidità, tentò di cancellarlo: ma la faccia restava al suo posto, anzi, i suoi occhi divenivano sempre più grandi. Il padre del bambino decise quindi di ripiastrellare il pavimento; ma, appena ebbe finito il lavoro, ecco che sulle nuove piastrelle apparvero altre facce sconvolgenti. Denunciato il fatto alle autorità, si decise di scavare sotto la cucina, e venne trovato un antico cimitero medioevale, con scheletri e arredi funebri. I poveri resti vennero sepolti in terra consacrata e da quel giorno nella casa di Belmez non vi furono più apparizioni.
Lugubri Visioni a Cena
Era la fine del 1962; un signore olandese era a cena con molte persone quando, all’improvviso, ebbe una visione: “Vedo molti soldati avanzare oltre le nostre frontiere…Vedo un gran campo vicino Rotterdam, tende, baracche di legno, ambulanze…e molti morti. La sciagura arriverà nel febbraio del prossimo anno”. I presenti pensarono immediatamente ad un nuovo conflitto mondiale. Ma il 1° febbraio 1963, la radio annunciò il disastro che sconvolse i Paesi Bassi: una tremenda inondazione che causò la morte di 1835 persone, la perdita del tetto e d’ogni bene d’oltre 75 mile individui, la distruzione di 50 mila edifici e di 150 mila ettari di terra coltivata. I soldati stranieri entrarono in Olanda non per conquistare, ma per portare aiuto; i superstiti dell’inondazione vennero radunati in un grande spazio vicino a Rotterdam. Il signore che, un anno prima, aveva previsto la sciagura, era l’olandese Gerard Croiset, uno dei più famosi veggenti del mondo.
Il Suicida Gentile
L’avvocato Jeremy Perkins, dopo aver festeggiato con troppi brindisi il compleanno di un amico in un ufficio al 55° piano dell’Empire State Building, uscito sul terrazzo a prendere un po’ d’aria vide seduto sul parapetto un uomo che gli chiese “Dove vai?”. “Torno in ufficio” rispose Perkins. Il tizio richiese “Dov’è il tuo ufficio?”. “Al 78° piano…” rispose Perkins. Al che l’uomo misterioso disse “Se fossi in te non ci andrei perché fra venti minuti ci si schianterà un aereo”. Mentre l’avvocato stava per dargli del matto, l’uomo si alzò in piedi sul parapetto e si lanciò di sotto. Perkins prese l’ascensore e si precipitò a pianterreno; vide un poliziotto e lo trascinò sulla Quinta Strada farfugliando “Un uomo s’è buttato giù!”; ma il poliziotto ridacchiando disse: “Lei deve aver visto il fantasma di mister Jones, che si suicidò nel ’29 buttandosi proprio da lassù: molti lo vedono, soprattutto quando sono sbronzi come lei…” Ma all’improvviso un boato spaventoso lo interruppe. Era il 28 giugno 1954: un bombardiere dell’aviazione americana si era schiantato contro il 78° piano del grattacielo più famoso del mondo, causando 18 morti e 25 feriti.
L’Anello Sofferente
Il giovane Alberto Cobetti, lucchese studente universitario classe 1899, decise di partecipare come volontario alla Grande Guerra, quella del ‘15-’18. Il giorno prima di partire s’incontrò con Agnese, la sua fidanzata e le donò un anello d’oro sormontato da una grande acquamarina. “Tutte le volte che lo guarderai, mi penserai ed io ti parlerò”, le disse infilandoglielo all’anulare sinistro. Passarono i giorni; Alberto era sul Carso, ogni tanto scriveva. Ma la sera del 27 aprile Agnese, appena terminato di cenare, intorno alle 21, sentì un forte dolore alla mano sinistra; la guardò e vide che l’anello sembrava esserle diventato strettissimo, facendole gonfiare il dito. Provò ad immergerlo in acqua, tentando di toglierlo: nulla. Inoltre l’oro giallo della montatura s’era scurito, diventando rossastro come ferro incandescente e la pietra azzurra sembrava un pezzo di vetro opaco. Dopo un paio di giorni la situazione pian piano tornò normale, anzi: l’anello sembrava ancor più bello e luccicante. Un mese dopo arrivò una lettera di Alberto: scriveva dall’ospedale militare, raccontando che la sera del 27 aprile, era stato colpito da una fucilata di un cecchino austriaco. Fortunatamente il proiettile aveva solo sfiorato il cuore ed egli aveva avuto salva la vita.
Il Sarcofago Piangente
Nella Francia meridionale, ad Arles-sur-Tech, vi è una bellissima chiesa antica; all’interno di essa si trova un sarcofago medioevale, che da secoli “piange”, ossia trasuda acqua, riempiendone due caraffe al dì. Quando viene tolto il pesantissimo coperchio fissato da grandi barre di ferro, si nota che l’interno è coperto da goccioline d’acqua, e una volta l’acqua superò addirittura la capacità cubica del sarcofago. La scienza moderna non è mai riuscita a trovare una spiegazione logica al fenomeno; nei pressi del sarcofago non vi sono né pompe né fonti; il luogo non è umido, tutt’altro, e la pietra è comune marmo. Oltretutto, l’acqua prodotta dal sarcofago ha la proprietà di non evaporare lasciata in un recipiente aperto: per questo, sin dal XVII secolo le “lacrime” del sarcofago, dotate pure di miracolose virtù terapeutiche, son divenute oggetto di culto.
La Buca della Contessa
A Vicenza narrano che, nel ‘600, una contessa stesse attraversando la città con la sua carrozza, quando la strada le fu ostruita da un lento, piccolo corteo: un parroco che, assieme ai chierichetti, stava portando il viatico a un morbondo. La contessa, imbufalita per l’impedimento, diede ordine al cocchiere di accellerare la corsa, e di investire coi cavalli prete e bambini. Ma i cavalli, sordi agli incitamenti e alle frustate, s’impuntarono e non si mossero d’un millimetro. Allora la donna, bestemmiando, ordinò al cocchiere di scendere e frustare i testardi equini; ma in quel momento il suolo si spalancò e un’immensa voragine inghiottì cavalli, carrozza e contessa. La terra si richiuse sopra loro, ma per anni e anni rimase un avvallamento nel selciato di quella che in città si chiama ancora oggi via Busa della Contessa.
Una Scossa Speciale
Giovanna Galimberti, moglie di un operaio torinese, cercando di aggiustare una presa della tv prese la scossa e svenne. Accorse un medico che le praticò la respirazione artificiale. Come racconta la stampa dell’epoca (25 febbraio 1963) Giovanna, una volta rinvenuta, si mise a parlare “in perfetto latino e con voce maschile di se stessa dandosi un nome esotico e raccontando le fasi d’un viaggio su un’imbarcazione con trentadue vogatori lungo un fiume che non esiste sugli atlanti attuali. La voce sembrava appartenere a un individuo vissuto nel tardo impero romano, impegnato ad acquistare spezie ed aromi per un alto personaggio della Nubia. La cosa durò una ventina di minuti, dopo di che la signora cadde in un sonno profondo, svegliandosi il mattino dopo senza ricordare più nulla”
Supervista
Peter Kolosimo racconta che nel 1940, un poliziotto di ronda nella Sesta Strada di New York, notò un uomo che ogni sera arrivava camminando lentamente, si piazzava davanti al muro di una casa, lo fissava per mezz’ora e poi se ne andava. Dopo quattro giorni il poliziotto chiese all’uomo cosa stesse facendo e questo rispose: “In quella casa abita una signorina di cui sono innamorato. Ma poiché sono timidissimo, mi accontento di guardarla attraverso il muro”. Il poliziotto pensò di trovarsi di fronte a un matto e così la sera dopo, appena l’uomo si piazzò davanti al muro, andò a suonare a casa della signorina per controllare. Dopo venti minuti uscì e l’uomo sorridendo gli disse: “Agente, non si disturbano le signore quando dormono e soprattutto non si rubano i cioccolatini”. Infatti il poliziotto, oltre ad aver svegliato la ragazza, non aveva resistito a pescare un cioccolatino dn una ciotola posta nell’ingresso della casa.
La Rabbia della Strega
Nel 1744, a Great Leighs nell’Essex, venne arsa viva una donna conosciuta come “la Strega di Scrapfaggot Green”; sulle sue ceneri venne posto un enorme macigno, affinchè non potesse più uscire dalla tomba. Nel 1944 a Great Leighs sorse una base americana; i bulldozer spianarono tutto, macigno compreso, e la strega furibonda tornò in circolazione. Non solo suonava le campane della chiesa di notte, ma soprattutto si divertiva a stradicare alberi e pali della luce, per poi scaraventarli a centinaia di metri di distanza. Sul posto arrivarono giornalisti del Sunday Pictorial i quali non poterono fa altro che constatare, fotografandola, la veridicità degli strani fatti. La cosa durò un anno buono e poi la strega sparì, pare, per sempre.
“L’è el dì di mort, alégher!” direbbe ancora oggi con sarcasmo Delio Tessa osservando le carnevalate dell’Halloween americano adottato inconsultamente in Italia.
Il bello è che, in sostanza, per quello non è stato inventato nulla di nuovo ma come sempre sono solo state rielaborate millenarie tradizioni europee, italiane comprese, grazie a tutti quelli che nei secoli passati in America emigrarono.
Il dover “soffrire” l’eterna mancanza di luce una volta morti, era una delle cose che più spaventava i vivi. Per questo da millenni nelle sepolture (o di fronte ad esse) vengono posti dei lumini, simbolo del Sole e della vita.
Seguendo questa tradizione, ad Orsara di Puglia da secoli per la festa del “Fuuc acost” si vuotano le “cocce priatorje” (zucche) incidendo la buccia e ponendovi dentro una candela (in Veneto si chiamano “lumére”) per porle poi all’esterno dei davanzali onde “far luce ai morti”, mentre agli angoli delle strade bruciano falò di ginestre su cui si cucina alla brace: le “monachine” (scintilline di braci leggere che salgono in alto) che s’innalzano verso il cielo, indicano ai defunti la strada da seguire per ritrovare parenti e cibo, lasciato apposta per loro lungo le strade.
In Sardegna da secoli vengono celebrati l‘S’ Animedda e Su Mortu Mortu, così come sui monti d’Abruzzo i bimbi bussano alle case questuando fracassoni frutti e dolciper “le àneme de li morti” (“trick or treats” nati più di mille anni fa) e dal Nord al Sud vi è la credenza che i defunti tornino sulla terra per riunirsi attorno al desco familiare lasciato, apposta, dai vivi, sulla tavola non sparecchiata e con la tovaglia stesa:
lascia ch’entrino da sera, col loro anelito lieve; che alla mensa torno torno riposino fino a giorno, cercando fatti lontani col capo tra le due mani.” (Pascoli, La tovaglia).
In Liguria invece si credeva che le anime dei defunti familiari, mentre i congiunti si trovavano alla Messa solenne, s’infilassero nelle case e per sdraiarsi qualche momento sui letti che erano stati loro; per questo dovevano essere accuratamente rifatti, con lenzuola pulite e profumate di spigo. E sul comodino, l’immancabile (e oggi introvabilie) offiçiêu.
Antiche tradizioni funebri nostre, ormai purtroppo semiscomparse in favore del Grande Cocomero di Linus, sono i cibi.
Il pane, innanzitutto.
Miriadi di “pani dei morti”, salati o dolci e fabbricati in modi diversi; con uvetta (Lombardia), con pepe (Grosseto e Siena);“la fugassaco ‘e purpe”, il macinato d’olive rimasto nei frantoi, dal funebre color bruno (Liguria).
E poi i “manùzzi d’i’ mòrti” a forma di mani incrociate (Sicilia); “pitte collure” a Umbriatico (Catanzaro); la “piada dei morti” a Rimini; il “punghen cmàciàis” a Comacchio, oltre a vari macabri biscottini a forma d’ossa come gli “stinchetti” umbri.
Ma cibo rituale più legato ai morti son soprattutto le fave; si credeva che in loro si celassero le anime dei defunti.
Pitagora le odiava e proibiva di mangiarle “fuggendole al pari della carne umana”; dicono che pur di non attraversarne un campo, si facesse uccidere: chissà in quale fava è nascosto ora.
Le fave si mangiavano direttamente al cimitero (Livorno, Polesine, Calabria albanese), seduti sulle tombe: era come una comunione rituale. A Genova piatto tipico del 2 novembre è tuttora lo “stocafisso e bacilli”, in Veneto le “faoline”.
Ma le fave erano davvero pericolose, causa il favismodiffuso in molte zone; così nacquero anche dei dolci rituali, a base di pasta di mandorle quasi ovunque (Marche, Emilia Romagna, Lazio ecc) o pinoli (Venezia, Sardegna), biscottini o bon bon colorati, morbidi o duri come sassi.
Infine, la vera festa dei morti era in Sicilia; i bambini, non in maschera ma in pigiama, aspettavano quella notte per ricevere “li cosi di morti”, i doni (frutta martorana, pupi di zuccaro) che gli “armi santi”, le anime sante dei parenti trapassati avrebbero certamente lasciato loro in un cestello o in una pantofolina dopo averli rubati nelle botteghe o, a Palermo, al mercato della Vucciria.
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