Palermo, 30 luglio 1789
In via Maqueda e via Toledo si muove l’onda d’una folla eccitata; da via Toledo avanza un solenne corteo preceduto da uno stendardo rosso sangue con su scritto “Discite iustitiam populi”; segue la Compagnia d’Arme Reale, composta da cavalieri vestiti di rosso; e poi gli Algozili, Araldi della Gran Corte di Giustizia, nerovestiti e in groppa a cavalli bardati di nero.
E poi la Compagnia dei Bianchi, cavalieri dall’alto cappuccio, mantello e cappello di feltro bianco: una confraternita di nobili che ha il compito di assistere i condannati a morte.
Dietro di loro, fra una folla di sgherri, una vecchia in catene a dorso di un mulo trascinato dal boia: le hanno rasato i capelli, ha un’orribile espressione non di terrore, ma di sfida.
Tutti si radunano in piazza Vigliena (i Quattro Canti), meravigliosa opera d’arte ora lugubre causa i drappi neri che celano i monumenti.
Nel centro, una forca altissima per essere vista anche da quelli che non riescono ad entrare nella piazza gremita.
La vecchia a dorso di mulo si chiamava Giovanna Bonanno, ma passò alla storia come la Vecchia dell’Aceto.
Mendicante analfabeta, era conosciuta e s’autoproclamava fattucchiera specializzata a risolvere pene d’amore.
Se qualcuno, regolarmente sposato, si innamorava di un altro, per levare di mezzo il legittimo consorte bastava comprasse da lei il suo famoso “Aceto Arcano per ammazzare i pidocchi”, composto da vino bianco, acqua e arsenico .
Un po’ di quello nell’insalata, e la vittima moriva fra atroci tormenti.
Iniziò ad agire nel 1786 nel quartiere Zisa, alla Magione, piazza della Bandiera: un intrico di vicoli e case buie abitate da piccoli artigiani, ma soprattutto malfattori, ruffiani e meretrici.
E proprio tre di queste , Margherita Serio, Maria Pitarra e Rosa Billottale le procuravano “avventrici”, in maggioranza donne affette da mariti ingombranti.
Furono 6 gli uxoricidi che l’inchiesta giudiziaria della Regia Corte Capitaniale di Palermo riuscì a provare prima che la Bonanno venisse arrestata tra le proteste della popolazione che la considerava una maga buona, una vera benefattrice capace di ridare la gioia ad innamorati infelici: l’ideatrice del divorzio all’italiana, insomma.
Il processo fu seguitissimo, documentato accuratamente nell’enorme tomo di documenti processuali, zeppo di interrogatori a testimoni e loro risposte riportate pari pari in un dialetto stretto, quello sì davvero arcano.
Riconosciuta feroce assassina e non fattucchiera, il 28 luglio fu condannata a morte e le sue complici al carcere a vita.
Impiccata ai Quattro Canti, con ai piedi della forca il nero librone processuale e due damigiane dell’Aceto Arcano, fu sepolta nel Cimitero dei Decollati, fuori le mura di Sant’Antonino.
Ma i palermitani non la dimenticarono, e arrivarono al punto di intitolarle – con gran sdegno delle autorità – un cortile in vicolo Colluzio.
Oggi la ricordano solo gli anziani, quando per definire una persona crudele, brutta e laida, dicono che “è cchiù laria di la vecchia di l’acitu”.