Superstizioni e Riti Scaramantici di Capodanno

L’ anno nuovo, come tutte le cose “ignote”, viene sempre atteso dagli uomini con un misto di speranza e apprensione; per questo molti sono i curiosi “rituali” scaramantici che dovrebbero propiziare  fortuna e serenità.

Innanzi tutto, visto il periodo di crisi, mai come quest’anno occorrerà mangiare molte lenticchie perché portan soldi: persino il serissimo Emmanuel Kant la sera del 31 dicembre si cibava esclusivamente dei legumi tanto amati da Esaù.

Altro elemento fondamentale del cenone dovrà essere la frutta secca, simbolo di prosperità: in Francia la tradizione ne esige 13 tipi diversi, da noi ne bastano 7: noci, nocciole, arachidi, zibibbo, mandorle, fichi, datteri.

Inoltre, quando rintoccheranno i dodici colpi della mezzanotte, bisognerà mangiare in tutta fretta, tentando di non strangolarci, dodici chicchi d’uva (simbolo di fecondità e ricchezza) esprimendo tre desideri.

In Russia a Capodanno si mangiano le kozoulka, pastine azzime a forma di animali domestici e si getta dietro le spalle il bicchiere in cui si è brindato; in Abruzzo si degustano le famose sette minestre fatte ognuna con un legume diverso.

Indispensabile ovunque il cin cin  (e qui vi ho spiegato la sua storia) con lo spumante o del vino frizzante che, stappato a mezzanotte, faccia il botto: questo rumore, come quello di petardi e similari (che io personalmente aborro), servirà a scacciare il malocchio.

Usanza tipicamente laziale sino a  era quella di lanciare dalla finestra tre grossi vasi di coccio pieni dell’acqua che era servita in precedenza a lavare pavimenti, oggetti e panni sporchi e rotti di tutto l’alloggio: gettandola via si gettavano fuori casa tutte le magagne e le tristezze dell’anno passato.

Ma in tutto il centro sud italiano vigeva (e purtoppo in certe zone vige ancora) la pericolosa e stupidotta tradizione di disfarsi, defenestrandoli, degli oggetti vecchi e inutili: gesto simbolico che dovrebbe significare lo sbattere fuori tutti i brutti ricordi.

In alcuni paesi della Calabria un tempo esisteva invece la bizzara tradizione di far cadere una grossa pietra sul pavimento della cucina proprio allo scoccare della mezzanotte.
Se il macigno precipitando a terra non procurava alcun danno era segno di buona fortuna; il contrario se invece fracassava cotto o piastrelle. Ovviamente.

In Romania a mezzanotte bisogna fare gli auguri a tutti gli animali che si incontrano usando frasi di estrema cortesia, e contemporaneamente si benedicono i campi; in Ungheria  si brucia in piazza una sedia fatta con tredici tipi diversi di legno sulle cui ceneri si leggerà poi la fortuna.

In Alto Adige la notte di San Silvestro per case e  locande dette stube girano gli spazzacamini: occorre offrir loro da bere in cambio di un bacio e/o di una stretta di mano, potenti talismani di buona sorte.

Gli abitanti delle isole Samoa spazzano accuratamente con una scopa nuova tutti i locali delle loro case, affinché la polvere dell’anno appena passato non comprometta quello nuovo.

mutanderosseRiguardo all’abbigliamento, bisognerebbe indossare qualcosa di rosso, considerato ovunque (insieme all’oro) il benefico e salvifico colore tradizionale del Natale e delle feste di fine inverno e sin dall’antichità un gran portafortuna: rosso corallo, come i cornetti antimalocchio. E a Capodanno s’indossano mutande rosse per via di un’usanza anglosassone nata per difendersi dalle streghe incontrate nella notte di San Silvestro, che lanciavano maledizioni agli uomini proprio in quel punto lì.

E in Cina  è importantissimo mettere a Capodanno lussuosi abiti nuovi: non farlo vorrebbe dire attirarsi addosso jatture tremende e i cinesi arrivano a risparmiare per un anno intero pur di acquistare gli indumenti più belli.
Da noi basta indossare qualcosa di nuovo, anche un semplice paio di calze. L’importante sarà indossalo non la sera del 31, ma la mattina del’1.

In molte zone rurali italiane, se una nubile vorrà sapere se nell’anno nuovo si sposerà, a mezzanotte dovrà lanciare col piede una scarpa verso la porta di casa; se la scarpa cadrà con la punta rivolta all’uscio, confetti in vista: ma se la punta sarà volta all’interno della casa, niente da fare.

Per i giapponesi infine è fondamentale saldare tutti i debiti prima di iniziare l’anno nuovo, esattamente l’opposto di quanto si crede a Roma : i debiti non vanno pagati entro fine anno, altrimenti “si paga tutto l’anno”.

© Mitì Vigliero

Storia del Beauty-Case

Frivolo ma utile contenitore da viaggio in cui si trasportano gli oggetti da toeletta ordinati in appositi contenitori e scomparti, fu inventato dagli Egizi; i loro erano delle vere e proprie teche rigorosamente unisex e spesso assai ingombranti -ma tanto c’erano gli schiavi a camallarle- in fibra di palma e legno pregiato rivestiti d’avorio.

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Nel Museo di Torino esiste la teca di Mirit, moglie dell’architetto Kha (1500 aC); in legno di sicomoro ornato a fiori e disegni a scacchi, contiene piccoli portaprofumi in corno, flaconcini in pietra dura di collirio, vasetti d’alabastro per creme e unguenti, altri delicatamente decorati conservanti tracce di fondotinta a base di grasso di pecora: e poi pinzette per le sopracciglia, scatoline di kohl e polvere di piombo per il trucco degli occhi con relative spatoline in bronzo e bacchetti di legno per applicarli, oltre innumerevoli arnesi che servivano per arricciare i capelli delle parrucche.

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(Cista Ficoroni)

Gli etruschi invece usavano le “ciste”, una sorta di piccoli comodini cilindrici con molti cassetti curvi ai lati; i Romani a loro volta avevano  cassette in bronzo o legno, con all’interno boccette di varie dimensioni fatte di vetro soffiato, pasta vitrea, terracotta e conchiglia: specifici per i profumi erano particolari contenitori a forma di colomba, riempiti e sigillati a fiamma, per aprire i quali bisognava spezzarne la coda o il becco come una fiala. 

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Ma i beauty cinesi e indiani erano indubbiamente i più belli; i primi erano scatole rettangolari o cubiche, in lacca e avorio, argento o giada, tutte piene di microcassettini anche segreti (avendo anche funzione di portagioie), con lo specchio fissato dietro il coperchio come i nostri moderni.

Quelli indiani erano cofanetti in profumato legno di sandalo tempestato di pietre dure, divisi all’interno da una miriade di piccoli scomparti fitti fitti e contentenenti  decine di flaconcini e scatoline vitree che racchiudevano il “kajal” per gli occhi, l’altà”, polvere rossa per le labbra, il “méhndi”, henné per le palme delle mani e le piante dei piedi, il “tél”, olio per lucidare i capelli e il “dantan” spazzolino da denti in legno, col suo inscindibile compagno “menjàn”, dentifricio in polvere fatto di amido e calcio macinato.

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(Inro Giapponese, G. Piva)

Gli antichi giapponesi usavano invece gli “inro”, astucci in lacca a vari scomparti, decorati con meravigliose miniature; scene di caccia o di amore più o meno casto, fiori, animali, ma soprattutto il nome della proprietaria, alla quale veniva donato tradizionalmente il giorno delle nozze.

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Fu solo negli anni ’20 che il primitivo  modello a scatola sempre diviso in scomparti e munito di un minor numero di contenitori, venne sorretto da un manico; nacque così il mitico “bauletto”, morbido o rigido, in pelle o plastica o stoffa, arrivato sino a noi.  

©Mitì Vigliero

Il Passaporto delle Buone Maniere

9788820038489

La contessa Barbara Ronchi Della Rocca, voce e volto noti della radio e della televisione nonché Tesoramia da anni prediletta, è indubbiamente una delle massime esperte di buone maniere  esistenti in Italia; non per nulla ne è “docente”, poiché tiene nelle grandi aziende corsi appositi atti a “formare” i dirigenti, soprattutto quelli che per motivi di lavoro devono trascorrere determinati periodi in paesi lontani dove spesso le norme di galateo sono assai diverse dalle nostre.

Certo sarebbe molto comodo anche per noi averla sempre a disposizione, soprattutto in vista di vacanze trascorse all’estero; ma dato che mettere una contessa  in valigia risulterebbe poco pratico, meglio ripiegare sul suo libro Il passaporto delle buone maniere  (Sperling&Kupfer), che  illustra in maniera chiara e sintetica tutti i consigli migliori per evitarci orrende figure fuori dal patrio suolo.

Ecco un’intervista sull’argomento che le ho fatto.

Hai mai fatto gaffes mostruose all’estero?
“Mi trovavo anni fa in Giappone a parlare con un alto dirigente della televisione locale; una persona distinta e cortesissima, che colloquiava in un inglese perfetto. Era molto “occidentale” nei comportamenti, quali il modo di salutare, l’abbigliamento e così via. Prima di accomiatarmi gli chiesi “Può per favore consigliarci un buon ristorante qui vicino dove poter andare a pranzo?”.
Fu la mutazione: divenne gelido, s’irrigidì tutto e se ne andò furibondo seguito dal suo staff.
In seguito mi spiegarono che in Giappone non bisogna mai fare domande del genere per due motivi: il primo perché si invade la privacy, come se si volessero conoscere le abitudini personali di una persona. Secondo perché la si mette in grave imbarazzo, obbligandola a citare un locale al posto di un altro, facendo così dei favoritismi. E il Giappone, come spiego dettagliatamente nel libro, è in assoluto uno dei luoghi dove occorre fare molta attenzione al galateo locale.”

Una regola generale?
Mai giudicare i comportamenti altrui, anche se ci sembrano strani; se andiamo a cena in una casa indiana o araba, non dobbiamo scandalizzarci se alla fine gli ospiti digeriscono rumorosamente; è la loro usanza per dichiararsi soddisfatti del cibo. Spesso si tratta invece solo di mode del momento; oggi ad esempio in Svezia è molto cool sputare per terra: sputano tutti, anche le donne. Noi là non sputeremo, ma neanche commenteremo indignati il fatto.”

Qualche consiglio sull’abbigliamento femminile?
Ad esempio bisogna ricordare che in India si può girare con l’ombelico di fuori, ma assolutamente coperte dalle ginocchia in giù. Nel Centro dell’Africa puoi stare a seno nudo ma non indossare mai braghette corte che mostrino le cosce, invece in Brasile sulle spiagge puoi mettere dei tanga invisibili, ma guai a chi osa un topless mentre in Corea una donna occidentale può essere molto malgiudicata se porta occhiali da sole o indossa sandali infradito…

Spesso gli italiani fuori casa hanno dei problemi con il cibo…
Pretendere spaghetti in Birmania è assurdo, così come qualunque nostro piatto ovunque; anche in questo caso si tratta di adeguarsi, informarsi prima a cosa si va incontro e farsi guidare dal buon senso, se è possibile. Io ad esempio all’inizio ho pagato cara la convinzione che una civiltà la si conosca per forza a tavola. Nelle isole Faroer, Islanda del Nord, ho insisto entusiasta a voler mangiare il piatto nazionale, che è la balena; un grasso giallastro attaccato a della carne nera che puzzava di pesce marcio: una cosa repellente. In quel momento avrei dato chissà che cosa per poterla inghiottire con della grappa, fernet, china bollente… Purtroppo là vige il proibizionismo più assoluto, e mi sono dovuta accontentare della Coca Cola. Nelle Filippine invece ho dovuto gustare il “balut”, uova di anatra covate per un po’ e poi bollite; le comprano sulle bancarelle per strada, e poi le mangiano passeggiando come un cono gelato: solo che lì dentro c’è il pulcino mezzo formato e con le piume… Insomma, quando in Africa ho dovuto mangiare delle cavallette arrostite, ti giuro che al confronto mi sono sembrate  splendide.”

Qual è l’errore più comune del comportamento degli italiani all’estero?
Innanzitutto il tono di voce, che è sempre troppo alto. Parliamo forte, ridiamo sguaiatamente, ci chiamiamo da lontano: gridiamo sempre troppo. Poi tendiamo a fare domande troppo confidenziali  o a discutere di politica; in certi luoghi, ad esempio i paesi dell’Est o in Indocina, non sono affatto graditi. In Norvegia tutti, giovani contestatori inclusi, si offendono a morte se uno straniero osa fare dei commenti sulla famiglia reale, gli austriaci non amano parlare di danaro, sesso e religione e così via. Ma in fondo sono regole civili che andrebbero usate sempre anche da noi, no?”

E ora  eccovi un assaggio di curiosità varie tratte dal suo  Passaporto delle Buone Maniere .

In Austria in pubblico non ci si pettina, né si toccano i capelli e soprattutto non ci si gratta il mento parlando con qualcuno perché tale gesto significa che secondo noi l’interlocutore sta dicendo delle sciocchezze.

In Olanda hanno il culto della tolleranza ma anche della pulizia; nei parchi pubblici uno è libero di drogarsi a qualunque ora ma, pena una forte ammenda, deve poi riporre la siringa usata nell’apposito contenitore per la raccolta differenziata dei rifiuti.

In Finlandia nelle sale da ballo e nelle discoteche si può invitare a ballare uno sconosciuta o uno sconosciuto, e il prescelto non può rifiutare l’invito, pena il dimostrarsi estremamente maleducato.

In Norvegia gli alberghi e i locali servono superalcolici solo nei giorni feriali e solo tra le 13 e le 23,30. Però le misure “normali” sono gigantesche rispetto a quelle in uso negli altri paesi europei: prima di ordinare un doppio whisky, guardiamo le dimensioni del bicchiere…

In Thailandia, durante le visite ai templi, è grave offesa mettersi in posa per fotografie davanti (o, peggio) sopra una statua o a qualche immagine sacra. E a proposito di immagini sacre, evitate di acquistarne perché tanto è vietato portarle fuori dal paese.

In Indonesia, signori uomini, se chi vi ospita per la notte vi chiede se vi fa piacere nel letto una fiancée hollandaise, non abbandonatevi a fantasie erotiche: la “fidanzata olandese” non è altro che un traversino di lenzuolo che ha lo scopo di rendere più fresco il letto.

In Australia due sono i gesti da non fare assolutamente: indicare qualcuno con l’indice (se proprio si deve, usare la mano intera) e soffiarsi il naso in pubblico. E chi è raffreddato? Se ne sta in casa e non frequenta nessuno.

Nelle Filippine attenzione ai controlli doganali: il più innocente dei nostri rotocalchi verrà sequestrato come pornografico se mostrerà fotografie di modelle anche solo in costume da bagno.

In Giappone non solo non ci si soffia il naso in pubblico, ma gli sternuti sono considerati gesti di enorme scortesia. Anzi, per dirlo con le parole esatte del capo del protocollo che accompagnò l’imperatore Akihito a Firenze nel settembre del 1993, “In Giappone piccolo rumore di naso è considerato appena più educato di piccolo rumore di sedere”.

© Mitì Vigliero