Il genovese non è certo un dialetto (pardon, lingua) facile da comprendere e pronunciare.
E i genovesi lo sanno bene, anzi, ne vanno fieri; perciò hanno inventato nei secoli moltissimi scioglilingua, perfetti per far divertire i bimbi e spiazzare i foresti.
Il più conosciuto e citato è sicuramente Ao mêu nêuo gh’è nêue nae nêue (Al molo nuovo ci sono nove navi nuove), che si basa sull’identità di “nove” con “nuovo/nuove”.
Idem per O mâ o l’è o mâ (Il mare è il male, che mi ha ricordato l’amica Elisa e che è la quintessenza della saggezza marinara).
Sempre un gioco fra parole uguali è Barba, l’à dito o barba che ti ghe mandi o razò da barba pe fâ a barba a-o barba (Zio, ha detto lo zio che tu gli mandi il rasoio da barba per fare la barba allo zio). Perché “zio” a Genova si dice “barba”.
Che bella cà ch’han pe trei gatti ch’en (Che bella casa che hanno per tre gatti che sono) si diceva invece commentando un’enorme casa abitata da una famiglia poco numerosa (e un tempo l’aver pochi figli era guardato male) o, al contrario, un appartamento piccolissimo dove vivevano in troppi. In ogni caso, trionfava il sarcasmo.
A chi chiede “Piove?” è da figurone rispondere O scì ciêue ciêue, ma ciêue cian cian (oh sì piovere piove, ma piove piano piano).
Invece è da dire in tono seccato e impaziente Mi so assæ se a sâ a sä assæ pe sä a säsissa (Io so assai se il sale sarà abbastanza per salare la salciccia), che pronunciato diventa una roba incredibile tipo “Mi su assé se a sà a sa assé pe sà a sasìssa“. Si usava per rispondere a domande assurde, nel senso di “Ma che ne so io?!”.
Perfetto invece da urlare durante i litigi o guardando i politici in televisione in questo periodo pre elettorale è (prendete fiato prima di leggere):
Ti t’irriti ti, ti m’irriti mi, ti l’irriti lê, ti n’irriti niätri, ti n’irriti tûtti
Ti irriti tu, tu irriti me, tu irriti lui (lei), tu irriti noi: tu ci irriti tutti.
Infine ci sono scioglilingua creati apposta per far dire, in caso di sbaglio nel pronunciarli, una parola del gatto, ossia una parolaccia.
Ad esempio l’apparentemente innocente Cappello pagôu, pagôu cappello (Cappello pagato pagato cappello), pronunciato velocemente e a ripetizione poteva portare a un poco elegante interscambio tra la “c” del cappello e la “p” del pagato. Cosa che ovviamente faceva divertire moltissimo i bambini d’allora.
Questo mi fa tornare alla mente un altro antico scioglilingua italiano creato allo stesso sconveniente scopo:
Nel giardin di sor Andrea, sor Simon coton cogliea;
nel giardin di sor Simone, sor Andrea cogliea cotone
stando sedendo cotoni cogliendo, stando bocconi cogliendo cotoni.
Provateci un po’ e poi mi dite.
Nel frattempo, ascoltate la bravissima bimba Susanna cantare Aegua aegua, un insieme di filastrocche antiche scioglilingua riadattate dai Buio Pesto.
Qui le parole.