Vi Racconto La Storia Di Tersilla, Balena Di Vigna Astigiana

Era l’autunno del 1993; nella campagna di San Marzanotto, frazione a Sud di Asti, come sempre in quella stagione si lavorava alacremente nelle vigne.

Ad un tratto, dalla terra smossa di quella della signora Tersilla, ove si stava aggiustando la strada sterrata con una pala meccanica, sbucarono strani sassi.

No, forse non eran sassi quei cosi enormi e biancobruni come legni dalla forma curiosa.

Ossa sì: erano ossa antiche e pietrificate.

Ma di chi erano?

E che cosa ci facevano sotto la vigna?

Quando i proprietari del terreno ebbero dagli addetti della Soprintendenza Archeologica del Piemonte la risposta alle loro domande, di certo fecero “quell’espressione un po’ così” che l’astigiano Paolo Conte in una sua splendida canzone ben attribuisce ai suoi conterranei quando guardano il mare.

Si trattava infatti dello scheletro fossile di una balena e, più precisamente d’una Balaenoptera Acutorostrata Cuvieri che, in gentile omaggio alla padrona del terreno, venne subito chiamata Tersilla .

Durante gli accurati scavi fatti dagli esperti, emersero parte del cranio, vertebre cervicali e dorsali, coste, oltre conchiglie e numerosi denti di squalo; reperti grazie ai quali fu possibile ricostruire la storia della vetusta pesciolona.

Era l’Età Pliocenica.

In quel tempo il Monferrato era una bassa e lunga isola che limitava a Nord il Mar Padano, mentre a Sud le Langhe formavano una penisola; quel braccio di mare che si trovava tra il Golfo di Cuneo (sic) e il Golfo di Alessandria (ri-sic) è oggi definito col nome di “Bacino Pliocenico Astigiano” e sopravvisse sommerso dalle acque per circa 3 milioni e mezzo di anni.

Nel punto più al largo, dove l’acqua era più profonda e calma, pian piano si accumularono i depositi fini e argillosi; lungo la costa invece, dove il mare era sempre in movimento frangendosi dolcemente sulle spiagge di Boves e dintorni, si fermarono i sedimenti più grossi, formando le famose sabbie gialle di Asti che rendono l’uva così buona.

fiumi intanto, scendendo dalle montagne trascinavano in quel mare migliaia di sassi e detriti che lentamente ne alzarono i fondali, spingendo le acque del Padano Golfo sempre più a Est, riducendole infine al nostro attuale Adriatico.


(Immagine tratta da qui)

Quando Tersilla morì, il suo corpaccione di 7 metri s’adagiò dolcemente sul fondale pieno di conchiglie e molluschi, quello che dopo millenni si tramutò nella vigna monferrina.

Fu pasto di squali della specie “Carcharhinus etruscus”, 2 metri di lunghezza, e “Isurus oxyrhyncus” (4 metri) i quali, nella foga del banchetto, persero dei denti: quelle “glossopetrae” (lingue pietrificate) di cui parlava già Plinio e che i contadini del Medioevo consideravano appartenute a serpenti (ché certo a pescecani mai avrebbero pensato), appendendosele al collo come formidabile talismano contro gli avvelenamenti.

Tersilla riposò tranquilla lì per 3 milioni d’anni, secolo più secolo meno.

In un mare che, a differenza di quello di Conte  “che si muove anche di notte e non sta fermo mai”, ora s’è immobilizzato per sempre e non fa più alcuna paura a chi lo guarda “con quella faccia un po’ così”.

© Mitì Vigliero