Come Sopravvivere alla SFN (Sindrome Fobica Natalizia): Galateo per un Natale quasi Sopportabile

di Mitì Vigliero


È innegabile che, ogni anno di più, l’avvicinarsi del 25 dicembre provochi in molti di noi quella che mi piace definire in codice SFN©: Sindrome Fobica Natalizia.

Sarà forse colpa della situazione generale in cui viviamo, intrisa di un inquietante senso di precarietà e rabbia repressa, fatto sta che la SFN non si cura affatto dell’aspetto religioso e simbolico del Natale, ma si concentra con inconscia irritazione su quello meramente pratico e consumistico dei cosiddetti “festeggiamenti”.

I sintomi caratteristici si manifestano gradatamente.

Di solito tutto comincia con un’occhiata accusatoria al calendario (“Come sarebbe a dire che siamo GIA’ a dicembre?“), ed evolve al peggio quando si notano le prime luminarie appese per le strade (“Che spreco di energia elettrica!”) o si osservano i primi addobbi nei negozi (“Uffa devo pensare ai regali…”), venendo sempre più colti da un’irrefrenabile voglia di ribaltare i banconi dei grandi magazzini stracolmi di statuette di presepe nonché di fare a tirassegno con le palline colorate appese agli abeti.

Con il trascorrere dei giorni e l’avvicinarsi della data fatidica gli affetti da SFN s’incupiscono sempre più, rimuginando pensieri assai poco gentili nei riguardi del consumismo maledetto, dell’ipocrisia dei buoni sentimenti una volta all’anno, e pensando con crescente disagio alla incombente sarabanda di inviti, visite, auguri, doni, pranzi e parenti.

Per evitare crisi più acute del previsto, ecco una serie di suggerimenti per sopravvivere senza troppi traumi, e rispettando il bon ton, alle classiche Grandi Manovre natalizie:

Auguri

C’è chi dice sia inutile farli a persone che non si vedono/sentono mai durante il resto dell’anno; altri affermano invece che in fondo si tratta di una bella occasione per ricontattarle.

Fate un po’ come vi pare e in qualunque forma – telefonate, biglietti, e-mail, sms (possibilmente non in stile Catena di Sant’Antonio “Manda questo sms a 120 tuoi amici sennò passerai un Natale schifoso“), ricordando sempre che un augurio inaspettato oltre a fare indubbio piacere a chi lo riceve, può anche essere il primo passo per risolvere stupidi e piccoli dissapori o riallacciare rapporti dimenticati.

Sempre se si voglia, ovvio.

Regali

Ogni anno annunciamo al mondo: “Per il prossimo Natale, i regali comincio a comprarli a settembre; è più intelligente, si fanno le cose con più calma, si spende meno ecc“.

Infatti ogni anno, il 24 alle ore 17 ci ritroviamo a fare a pugni in negozi stracolmi di gente e vuoti di merce, alla disperata ricerca di qualcosa da acquistare, col risultato di regalare ogni anno cose assurde e sbagliate come il profumo alla suocera che sappiamo benissimo essere allergica ai profumi, l’accendino allo zio che ha smesso di fumare sei mesi prima causa infarto, la Winx alla cuginetta che ormai ha 27 anni.

Quindi, onde evitare gaffe e sprechi di soldi, meglio puntare su cose forse banali ma sempre apprezzate quali libri, “buoni” prepagati da investire in disco-videoteche, piante e sfiziosi generi alimentari sempre molto graditi, visto che nessuno ha ancora perso l’abitudine di nutrirsi.

Bambini

Una delle frasi classiche pronunciate in questo periodo è “Natale è bello festeggiarlo solo se ci sono bambini in casa“; probabilmente è vero, visto che forse sono gli unici – per ora – immuni dalla Sindrome Fobica Natalizia.

Per questo non bisogna rovinarglielo, soprattutto se sono piccini e credono ancora alle favole, ma dividere con loro l’atmosfera magica di attesa preparando insieme l’acqua zuccherata e i due biscottini che dovranno dissetare e sfamare, a seconda dei casi, l’asinello e Gesù Bambino o le renne e Babbo Natale.

Se dopo il pranzo dovranno recitare in piedi sulla sedia la classica poesia (unico momento della festa cordialmente aborrito dagli infanti), tentiamo di rendere la cerimonia il più breve possibile, evitando di fargliela ripetere più volte e cercando di non motteggiarli troppo. In fondo la poesia a memoria gliel’hanno imposta gli adulti, mentre i bambini piccoli la vera poesia natalizia ce l’hanno negli occhi.

 


Discorsi

Almeno il giorno di Natale bisognerebbe non parlare di soldi, affari, amori contrastati, amicizie e legami finiti. Bisognerebbe bandire le discussioni politiche, non affliggere più di tanto gli altri con lai dovuti a problemi personali e, onde non gettare tutti nel più cupo sconforto, schivare anche accurate descrizioni di catastrofi o malattie di vario genere.

Anche se il Natale trascorso in famiglia è spesso inevitabilmente un’occasione per ricordare con malinconia e affetto chi non c’è più, occorre però tentare di evitare che l’incontro si trasformi in una veglia funebre.

E se proprio l’umore è pessimo e la Sindrome Fobica Natalizia è al culmine, allora sarebbe meglio declinare gentilmente gli inviti festosi: in fondo questo è notoriamente un periodo di influenze, raffreddori, mal di gola…

Parenti & C.

Il detto “Natale con i tuoi Pasqua con chi vuoi” è uno dei principali responsabili di molti attacchi di SFN.

Esistono persone che piombano in depressione a causa della solitudine, che durante le Feste si fa sentire in modo più forte, e altre per cui l’arrivo del Natale coincide regolarmente con l’arrembaggio di parenti più o meno lontani i quali, per trascorrere le feste insieme, si installano spesso e volentieri nelle case altrui creando accampamenti stile Rom.

Ospitare torme di zii, cognati, cugini, consuoceri tutti sotto lo stesso tetto, se non si possiede un castello di 40 stanze (e 40 bagni) potrà essere magari divertente una volta, ma non deve tramutarsi in una “tassa” obbligata per nessuno.

Quindi, se proprio non se ne ha la forza, dire un gentile ma fermo “no” alle invasioni troppo numerose non è peccato.
E poi gli alberghi cosa sono stati inventati a fare?



Pranzo

In alcune zone si preferisce il cenone del 24 sera; in altre, il pranzone del 25 a mezzodì.

Comunque sia, il banchetto viene di solito organizzato da mamme e nonne che si offendono a morte se tutta la famiglia, parenti acquisiti compresi, non si riunisce a casa loro:
“Ma perché non venite da me? Ci siete sempre venuti, ci tengo tanto, ormai è una tradizione… No, al ristorante con voi non ci vengo: piuttosto me ne sto a casa da sola!”.

Si tratta di quelle stesse angeliche matriarche che, il giorno fatidico, osservando con occhio torvo il parentado seduto attorno alla tavola imbandita, non toccano cibo e si chiudono in religioso silenzio per tutta la durata del pranzo.

Infine, appena possibile e a voce altissima affinché tutti sentano, telefonano all’amica del cuore con la scusa di farle gli auguri:
“Sono stravolta (sospiro), ho fatto i ravioli in casa per sedici persone (sospirone). Sì lo so che potevo comprarli fatti e mi sarei stancata meno, ma cosa vuoi (super sospiro)… E già che li ho tutti qui anche quest’anno (supersupersospiro)… Lo danno ormai per scontato di venire a festeggiare a casa mia… (sospiroextralarge)… Ma non si rendono conto che gli anni passano anche per me e che magari, per una volta, un bel ristorante… (rantolo finale)”.

Morale, un buon ristorante prenotato almeno una ventina di giorni prima risolverà al meglio il problema, e chi non vuole venire, peggio per Lei.

Altrimenti, se la tribù familiare è composta da troppi numerosi clan, meglio mangiare ciascuno a casa propria e poi ritrovarsi insieme al pomeriggio per lo scambio dei regali, panettone, tombola e affini.


Risse

Spesso inevitabili nonché ultimo stadio della Sindrome Fobico Natalizia.

Si arriva alla data fatidica talmente stressati e nervosi che ci si sveglia già di mattina col berrettino inverso, odiando cordialmente famiglia, amici, telefono, in preda al desiderio di saltare a piè pari sui pacchetti dono o dar fuoco all’albero.

L’apertura ufficiale delle offensive solitamente avviene a fine pranzo, soprattutto se ci si trova insieme a quelle miriadi di parenti che durante il resto dell’anno non si vedono mai; ottima occasione per parlare di interessi, divisioni ereditarie, invidie, resuscitare infantili gelosie, rancori atavici o semplicemente rinvangare beghe di varia natura.

In mancanza di parenti lontani, si litiga coi figli che scalpitano perché vogliono uscire con amici o fidanzati, coi genitori che pretendono la famiglia – anche quella allargata – “unita” almeno quel giorno, col coniuge (uno qualunque) che “ha i musi” e rovina la festa agli altri, col gatto che ha deciso di mettersi a dormire sdraiato al centro del Presepe.

Per questo Agatha Christie scriveva: “Natale è il giorno ideale per un omicidio“.

In realtà le risse natalizie sono fuochi di paglia che fanno ormai parte della tradizione.

Il 27 dicembre saranno già state dimenticate, almeno sino al prossimo Natale.

© Mitì Vigliero

Altri suggerimenti?

Il Bon Ton delle Vacanze e un Test

Andare in vacanza è cosa sacrosanta e necessaria; a patto però di non dimenticare a casa il Bon Ton, che altro non è se non la semplice Buona Educazione.
Ecco quindi alcune regole facili da seguire, affinché le nostre ferie non si tramutino per gli altri in una sorta di incubo.
 

IN MONTAGNA

Escursioni.
Se accettiamo di partecipare ad un’escursione collettiva, informiamoci bene prima di ciò che ci aspetta; la “passeggiata facile e in pianura di circa un’oretta” proposta da agenzie di soggiorno locali è giudicata e misurata con la mentalità di chi scarpìna tutto l’anno.
Quindi prendiamo coscienza che l’”oretta” facilmente sarà composta di 180 minuti minimo e che la “pianura” per chi abita sopra quota mille equivale, per le abitudini di normali cittadini padani, a un’ascensione del grado.
Ergo siamo onesti con le nostre effettive capacità sportive onde evitare di tramutarci in piaghe geremianti “Oddio che male ai piedi oddio che caldo oddio non ce la faccio più oddio chi mi tiene lo zaino oddio  chi mi prende in braccio…”, rovinando tutto il divertimento a chi sportivo lo è sul serio.

Mountan bike.
In molte zone è concesso fare gite in montan bike; le biciclette sono certamente più ecologiche e meno fracassone di una moto da cross, ma debbono ugualmente essere usate con criterio.
Evitare quindi di attraversare a mò di razzo prati in cui placide famigliole di escursionisti stiano facendo pic nic, tagliando magari di netto con le ruote la torta di mele amorevolmente posata sul plaid; seguire i percorsi segnati senza cercare vie alternative (gli elicotteri di soccorso alla ricerca di villeggianti temerari finiti in burroni non solo sono fastidiosi per il rumore, ma soprattutto costano un sacco di soldi alla società).
Infine, quando si raggiunge la strada normale, è bene rammentare che in quel momento la bici è un mezzo di locomozione assolutamente simile agli altri motorizzati e che il rispetto del codice stradale vale anche per lei.

Prati, boschi e pascoli.
Evitiamo di raccogliere fiori e frutti selvatici, anche perché ormai nell’80% dei casi se ci beccano ci danno una multa da levar la pelle.
Non attraversiamo campi coltivati, non lasciamo cartacce e rumenta varia sul terreno, non ficchiamo il naso in baite o malghe ove non vi sia la particolare indicazione di punto di ristoro (ormai il montanaro solitario ma cordialissimo che offre gratuitamente formaggi e vino all’escursionista capitato lì per caso, è un personaggio leggendario quanto le caprette di Haidy che fanno ciao cordiali pure loro) e soprattutto, se troviamo mucche al pascolo, non tramutiamoci in emuli di Dominguin: le corna di mucca fanno altrettanto male di quelle di un toro, olè.  

Silenzio
Chi sceglie i monti anziché il mare solitamente lo fa perché ama sentire attorno a sé solo suoni assolutamente naturali e a bassa modulazione.
Quindi evitiamo di berciare, urlare, sciamannare, giocare con suonerie del cellulare, tenere musica a tutto volume mentre passeggiamo per verdi sentieri; oltretutto terrorizzeremo anche gli animali selvatici, che dell’importanza economica del turismo giustamente se ne impipano alla grande.

AL MARE

Bagni.
Non ci si butta in acqua prendendo una rincorsa chilometrica, urlando “banzai!” come kamikaze, tuffandosi con immensi splash e atterrando direttamente sull’ignara signora sdraiata sul materassino.
Non si corre  in riva al mare con la grazia d’un branco d’elefanti, sparando sassolini ovunque, disintegrando castelli di sabbia, lanciando in aria le ciabattine di gomma lasciate dai bagnanti immersi in acqua e spiaccicando corpi a bagnomaria.
Non si urla “affogo!” se non è vero: la prossima volta il bagnino potrebbe diventare improvvisamente sordo.

Bambini.
Creature deliziose e tesorucci santi, lo sanno tutti; l’importante è che siano tenuti a freno per evitare di scatenare nei vicini d’ombrellone feroci complessi d’Erode.
Quindi teniamoli d’occhio, evitando che galoppino come pazzi ovunque saltando a piè pari sugli addomi di altri bagnanti stesi al sole, che spruzzino acqua a mo’ d’idranti impazziti e soprattutto che ululino come indiani.
A quelli sotto i 4 anni è concesso circolare nudi, poiché è comprensibile che le Mamme in meritate ferie considerino un’impresa massacrante sciacquare alla sera un costumino di cm. 10×3.
Però ricordiamoci anche che i piccini in spiaggia hanno spesso improvvisi bisogni fisiologici e non è carino che i genitori distrattamente li incitino con gesto vago e distratto a “farla lì”, anche perché “” per un infante può essere benissimo una borsa di paglia appoggiata alla sdraio o un paio di gambe stese al sole; va bene che la pupù e la pipì dei bambini è robina d’angelo, ma il risultato è il medesimo della robaccia adulta.

Costumi
Esistono costumi interi con collo a dolcevita, spallotte imbottite e mezze maniche; in compenso hanno sgambature che attraversando di netto le natiche arrivano sin sotto le ascelle a fare il solletico.
Bruno Lauzi era solito dire “Un tempo in spiaggia per vedere un paio di chiappe dovevi aprire un costume; ora per vedere un costume devi aprire un paio di chiappe”. E ciascuna, prima di esibirle, sia cosciente delle chiappe sue.
Lo stesso vale per il topless: ognuna è libera di mostrare ciò che vuole quanto vuole. Consiglio solo un preventivo esame di onesta autocritica fatta in solitudine di fronte allo specchio; poi facciamo come vogliamo, però poi non protestiamo se sentiremo alle nostre spalle commenti sarcastici o conati sospetti, eh?

Vicini d’ombrellone
Non è detto che convivere seminudi al sole sia un buon motivo per dimenticare il bon ton; essere vicini d’ombrellone può condurre forse a una piacevole conoscenza, ma non a una intollerabile invadenza.
Rispettiamo perciò gli angusti i confini senza debordare negli spazi altrui, e soprattutto evitiamo richieste continue stile “Mi passa il suo accendino e una sigaretta? Posso prendere il suo materassino? Mi dà il suo asciugamano che il mio è bagnato? Ha mica dello shampoo? Un pettine? Della crema solare? Me la spalma sulla schiena? E’ arrivata mia cognata, più o meno ha la sua taglia: ha mica un costume da imprestarle, magari un paio di zoccoli, l’accappatoio e già che c’è anche la sua sedia a sdraio?”

IN ALBERGO
Che si trovi al mare o ai monti, anche se paghiamo una pigione non è casa nostra.
Ergo non presentiamoci a colazione in pigiama o bigodini in testa, non stravacchiamoci su divani e poltrone comuni, non invadiamo lo spazio vitale degli altri ospiti, non cerchiamo in ogni modo di renderci “simpatici” a tutti organizzando gare di limbo o cirulla obbligando gli altri a prendervi parte.
Se dobbiamo seguire una dieta speciale, accordiamo prima con la Direzione; non critichiamo a voce alta i cibi serviti al ristorante (magari agli altri piacciono moltissimo) ed evitiamo di variare quotidianamente i menù solo perché le cose presentate ci sono sconosciute o non ci convincono come nome.
Se stringiamo amicizia con altri ospiti, ricordiamoci che esiste la discrezione; niente domande troppo private, bando ai pettegolezzi, niet agli sfoghi personali.
E soprattutto evitiamo di raccontare malattie trascorse o vigenti, operazioni subite, lutti e tregende varie: la gente quando è in vacanza vuole solo rilassarsi ed essere allegra.
Per soffrire, ha poi tutto il resto dell’anno.

TEST

E tu che vacanziero sei?

1) Appena arrivi in albergo, come prima cosa
A  vai alla reception.
B  impieghi mezz’ora a radunare gridando bagagli, moglie, figli, nonna e cane
C  sbraiti a voce altissima “Ma che mortorio ‘sto posto!”

2) Arrivato sulla spiaggia, ti senti
A   un bagnante
B   il protagonista di un film dei Vanzina
C   Attila

3) Quando parti per la spiaggia o per un’escursione in montagna, le cose ti porti porti dietro potrebbero essere contenute:
A    in una sacca da golf
B    in un carrettino siciliano
C    in un Tir

4) Alla fine di una giornata tarscorsa all’aperto, ti accorgi che non c’è un contenitore della spazzatura. Così tu
A   Infili i tuoi rifiuti in un sacchetto e te li porti via
B   Infili i tuoi rifiuti in un sacchetto e li lasci lì.
C   Perché mai dovresti infilare i tuoi rifiuti in un sacchetto?

5) Alle parole stabilimento balneare e rifugio montano tu abbini le parole
A   Luoghi pubblici
B   Casa tua
C   Circo Barnum

6) Per te la vacanza è
A   salubre evasione
B   puro divertimento
C   una fatica boia

7) Con i vicini d’ombrellone o gli altri ospiti d’albergo
A   sei sempre discreto, gentile e sorridente
B   instauri rapporti di estremo cameratismo
C   quali vicini? Quali ospiti? Quando arrivi tu non c’è mai nessuno…

 
Risultati risposte:
Maggioranza di A: Sei il vacanziero perfetto, tranquillo ed educato: un sogno, insomma.
Maggioranza di B: Sei simpatico e allegro, anche se tendi un po’ all’invadenza.
Maggioranza di C: Perché l’anno venturo non affitti un’isola deserta dove andare in vacanza assieme ad amici tutti uguali a te?

©Mitì Vigliero

Ve ne vengono in mentre altre di “regole” di Bon Ton vacanziero ?

Sull’Arte dell’InTitolare i Libri

 

Avete mai pensato all’importanza dei titoli?

Non mi riferisco a quelli nobiliari o di studio, ma ai titoli delle cosiddette opere d’ingegno; canzoni, opere, commedie, libri.

Parliamo di questi ultimi (anche perché solo di questi ho esperienza diretta ;-)

Innanzi tutto dovete sapere che la cosa più difficile dello scrivere un libro non è tanto scriverlo, quanto intitolarlo.

Il titolo è fondamentale: deve essere facile da ricordarsi, semplice a comprendersi, stuzzicante, divertente, curioso, illuminante.

Quando scrissi per la Rizzoli Lo Stupidario della Maturità ebbi il merito (o il demerito, fate vobis) di consacrare un termine che non solo diede vita ad un’interminale sequela di altri Stupidari riguardanti i più vari argomenti, ma di ”ufficializzare” una parola entrata poi a tutti gli effetti nel linguaggio comune (…E mannaggia, potevo brevettarla in esclusiva eh? ;-D).

Ma Stupidario l’avevo chiamato sin da quando era solo un immenso fascicolo di appunti miei privati, raccolti in anni e anni.

E così è stato per tutti i miei altri libri; prima l’idea, poi il titolo, infine la stesura.

Tranne per uno.

Quando nel ‘93 consegnai alla Mondadori un perfetto manoscritto di 190 pagine riguardante le scuse umane, non avevo in mente nessun titolo in particolare, e per trovarlo feci più fatica che scriverlo.

Prima pensai a :  Tutte scuse!Caduti in pretestoL’Inventascuse, l’Acchiappascuse e il Cercascuse.

Mio fratello propose Scusami, ma…; mio padre Italiani che si scusano o Le scuse degli italiani che si scusano, mentre vicini di casa molto intellettuali mi consigliavano titoli grondanti cultura classica quali Profasìsomai (”Accampare scuse”), De excusatione, opera omniaApologia (”La Difesa”), che sarebbe stato perfetto se non ci avesse già pensato quel grafomane di Platone.

Amici poeti mi proposero di inventare un titolo che non c’entrasse nulla con l’argomento, ma che fosse altamente aulico come, ad esempio, Le bianche farfalle dell’Oklahoma.

Mia madre invece, adducendo il fatto che i pretesti e le scuse quasi sempre altro non sono che semplici menzogne, frottole, fandonie, bubbole, fanfaluche, insomma balle o palle che dir si voglia, mi suggerì Il Raccattapalle.

Nel frattempo io sfornavo Il Prontuario dei pretestiIl Vademecum della giustificazioneL’Enciclopedia della discolpaIl Galateo delle scuseT’insegno a scusartiL’ABC della scusa.

Alla fine scrissi tutti i titoli su dei bigliettini, li infilai in un cappello e feci pescare a caso dall’editor.
E nella prefazione abbi l’ottima scusa di raccontare questa storia concludendo: ”Quindi se questo titolo non piacerà, sappiate che non è stata colpa mia, ma del Fato.”

© Mitì Vigliero